The right door - La porta giusta

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Sabato 26 ottobre 2013...
Riposi l'IPhone nella tasca posteriore dei jeans, perseguitato dalla data lampeggiante negli occhi. Sembrava essere stampata su tutte le pareti circostanti.

Pochi i minuti, e ancor meno le ore.

Avrei a breve tagliato quel nastro rosso e fatto il mio ingresso nella nuova vita da artista.

Le tempie fra le mani, il respiro affannoso, una morsa allo stomaco.

Che uno spiritello dispettoso avesse scambiato il mio intestino per una lunga sciarpa con cui giocare?

Ansia. Panico.

"Shawn, solo sette minuti... stiamo per cominciare!" mi intimò Jack, lo scenografo; lo vidi sparire tra l'enormi pieghe del sipario, mentre tutti gli altri membri dello staff, indaffarati, raggiungevano i posti concordati.

Una scossa d'adrenalina mi fece sobbalzare.

Una voglia incontrollabile di aprire quelle tende, irrompere sul palco con tra le braccia la mia fedele chitarra.

Ascoltare gli applausi e le urla del pubblico.

Non più una miniatura su YouTube, bensì un cantante, un artista, al servizio della musica.

Afferrai di scatto il mio peluche portafortuna, Leo. Sicuro di averlo sentito sussurrarmi "Puoi farcela, sei grande!", lo strinsi al petto, e lo posizionai tra i tralicci dell'impianto luci, in modo che potesse godersi al meglio lo spettacolo.

Sei minuti.

Il panico si era nuovamente impadronito di me.

Camminavo nervosamente per tutto il perimetro delle quinte.

Asciugavo continuamente la fronte imperlata di sudore con la manica della camicia a quadri.

Decisi di toglierla, rimanendo in t-shirt. Era ormai fradicia.

I miei genitori erano in ritardo.

Continuavo a guardarmi intorno, smarrito. Non erano lì.

Ho bisogno di loro, pensai, non posso affrontare il mio primo concerto da solo.

Un respiro profondo.

Avevo bisogno di fare una breve sosta in bagno, non potevo salire sul palco col rischio di doverla trattenere più del dovuto.

Ma dov'era?

Nessuno nei paraggi a cui chiedere. Avrei dovuto cercarlo da solo.

Imboccai il corridoio oltre l'ampia zona antecedente il backstage.

Un lunghissimo corridoio, puntualizzai tra me e me.

Mi fermai per un istante.

C'erano troppe porte anonime.

Speravo almeno in un cartello WC.

Nulla.

Un altro respiro profondo mentre mi contorcevo sul posto: dovevo sbrigarmi.

La prima porta sembrava stranamente sempre più lontana.

Allungando il passo come un giocatore in possesso della palla sulla fascia laterale, riuscì a raggiungerla, il battito stranamente accelerato.

Con disinvoltura portai in basso la maniglia.

Chiusa, dannazione!

Mi fiondai sulla seconda porta, distante pochi passi.

La vista iniziava ad annebbiarsi. Piccole gocce trasparenti rotolavano sulla fronte.

Ancora quella sensazione.

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