In ospedale.

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Ho scritto questo pezzo la settimana scorsa, la notte in cui ho cominciato a pensare che avrei dovuto scrivere qualcosa di vero, di autobiografico. Non immaginavo ancora che mi sarei messa a nudo su questa piattaforma, non pensavo che lo avrei fatto leggere a qualcuno. Ve lo riporto così com'è stato scritto, senza filtri, senza tagli.


Quanto fa 7X9? In questo momento mi sfugge.

Non ricordo una banalissima tabellina.

Non riesco nemmeno ad eseguire questo semplice calcolo.

7X9 è la disposizione dei pannelli sul soffitto che sto fissando da almeno un'ora.

Sono in ospedale e mi trovo distesa su una scomoda barella. Reggo una flebo in mano, ho un ago infilato nel braccio, e sulla faccia una mascherina troppo grande che mi copre quasi fino agli occhi. Non posso fare altro che questo, osservare questi pannelli sulla mia testa.

Ho freddo, non sto bene e mi viene da piangere.

Qui si riferiscono a me come "quella della malattia infettiva".

Il mio nome è deducibile dal braccialetto rosso che mi ha messo un infermiere carino all'accettazione. "Guarda che bel bracciale che ti regalo" mi ha detto.

"Lo appenderò alla bacheca dei ricordi", gli ho risposto.

Decido di contare i pannelli uno per uno. Non ci riesco. Mi perdo, ricomincio, fallisco, lascio stare. Chiudo gli occhi. Magari così il tempo passerà più in fretta.

Ripenso al tizio che poc'anzi mi ha accompagnata a fare un esame ai polmoni.

"Lei è una ballerina, vero signorina?"

"A dire il vero sono un'animatrice!"

"E che vuol dire? Che cos'è?"

"Faccio feste per bambini."

"Ah, allora non mi interessa, ho già uno in famigghia che fa le feste ai picciriddi."

Uhm, okay.

Ritorno alla realtà, scossa dalle urla di una povera donna che sta subendo qualcosa di veramente doloroso - a quanto pare anche disgustoso - nella stanza accanto. Vorrei tapparmi le orecchie, ma non posso.

7X9 quanto fa?

Mi guardo intorno.

Una signora grassa con una camicia a fiori cerca di alzarsi dal suo lettino. Non ha le scarpe. Vorrei aiutarla, ma non posso muovermi, riesco a sollevarmi giusto un po'. Sto per scusarmi con lei, vorrei dirle che se potessi l'aiuterei, ma lei mi rivolge uno sguardo in cagnesco ed inizia ad urlare "Rivoglio le mie scarpe!"

Come se ce le avessi io, le sue scarpe!

Mi sdraio un'altra volta e chiudo gli occhi.

Qualcuno le riporta le scarpe, lei nemmeno ringrazia, sento i suoi passi che si allontanano.

Adesso sono sola e sento più freddo di prima. Mi rannicchio un po', provo a pensare a qualcosa di bello, ma niente.

Il silenzio dura solo un attimo.

"Sa quanto me ne frega che il suo turno è finito? Lei deve medicare un'altra volta quella signora, è chiaro? Siamo dottori, perdio, io ho lavorato in Africa e ho visto cose peggiori! Dobbiamo vincere l'orrore ed andare avanti! E comunque, anche io a casa ho una moglie, dei figli ed una madre che mi aspettano, ma di certo non mi metto a pensare al mio turno! Lei è un'incompetente! Ha capito?"

Just Jess.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora