Capitolo 3 - Tragen

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Silas, Marco e Jessie erano in cammino da ormai due giorni. Erano diretti a nord, verso il confine tra il regno di Dwarnas, in cui si trovavano, e quello di Bridnas. Tutte le Ombre, dopo una missione, erano tenute a fare rapporto presso la Cittadella, il quartier generale dell'Ordine, situata nel sottosuolo di Asyia.
Normalmente i tre ragazzi avrebbero scelto di imitare le carovane di mercanti e aggirato la palude in cui si trovavano passando per la grande prateria che le girava intorno da est. Tuttavia in quella zona era stato avvistato di recente un gran numero di divoratori; un piccolo gruppo era riuscito addirittura a trucidare metà di una famiglia di mercanti di Dwarnas e non avrebbe lasciato sopravvissuti, se un manipolo di soldati di ritorno dalla licenza non avesse colto le urla delle vittime e fosse accorso a uccidere quei mostri disgustosi.
E così il piccolo gruppo aveva optato per un percorso molto più difficoltoso ma che avrebbe offerto loro maggiore riparo da eventuali nemici.
«Ah, disgustoso...» disse Marco scuotendo la mano per liberarla da un'indefinita melma grigiastra.
Jessie si avvicinò ad analizzare con occhio critico la sostanza sulla mano del fratello. «Sembra quella sbobba che ci davano all'orfanotrofio, ve la ricordate?»
E come dimenticare quella robaccia che odorava di piedi? Era un miscuglio di ogni sorta di schifezza commestibile che la cuoca, una donna grassoccia da tutti conosciuta come Signorina Coggles, chiamava "pasticcio a sorpresa"...e la sorpresa era che il sapore era anche peggio dell'odore. Nella mente di Silas si fece strada l'ultimo ricordo che aveva della Signorina Coggles, quello di un divoratore che la sventrava fuori dall'orfanotrofio tra i sibili gorgoglianti dei suoi simili e le urla delle loro vittime. Il giovane scosse la testa per scacciare quelle immagini di un passato ora lontano.
«Jessie, Marco, guardate.»
I tre guerrieri erano finalmente giunti al limitare della palude e potevano scorgere in lontananza Kola, la prima città del regno di Bridnas dopo il confine a sud; tuttavia, ancora tre giorni di viaggio dividevano Silas e i suoi compagni dalla Cittadella.
«Finalmente!» urlò Marco superando Silas e correndo verso la bassa vegetazione che segnava la fine della palude. Il ragazzo si gettò a terra rotolandosi e riempiendosi il soprabito di fili d'erba e facendo finire la piccola sacca con le provviste a qualche metro di distanza. «Sia lodato l'Albero della Vita! Siamo usciti da quella stramaledetta palude!» Jessie scoppiò a ridere davanti all'impeto di follia del fratello e nemmeno Silas riuscì a trattenere le risate.
«Avanti, Marco, non è stato poi così terribile.»
«Non è stato poi così terribile?»Rispose questi alla sorella «Sono stato morso da ben tre serpenti, la puzza era insopportabile e guarda la mia tenuta!» con un gesto plateale indicò i propri vestiti un tempo neri e ora ricoperti di chiazze marroni «Potrei fondare L'Ordine delle pozze di fango, conciati così!»
«Forza, principessa, nemmeno tua sorella si lagna quanto te» disse Silas con un sorriso sghembo sulla faccia.
«Tu taci e spiegami com'è che sei l'unico fresco come una rosa, qui.».
In effetti non si sarebbe mai detto che Silas avesse appena trascorso due giorni in mezzo ad una palude: i suoi vestiti erano impeccabili e il suo aspetto fresco e riposato. Purtroppo era tutta apparenza, visto che, come spesso gli succedeva, il ragazzo non aveva chiuso occhio in quanto le due notti precedenti erano state infestate dagli incubi che lo tormentavano sin da bambino. Sin dalla morte della sua famiglia.
«Se te lo dicessi, amico mio, poi dovrei ucciderti»
«E io gli darei una mano!» disse Jessie scoccando un sonoro bacio sulla guancia del fratello.
«Sì, certo, e poi dove lo trovereste un compagno d'avventure così bello e simpatico?»
Silas e Jessie scoppiarono a ridere e ripresero la marcia verso Kola lasciando a Marco e il suo ego un momento di intimità.
Il resto del viaggio fu piuttosto tranquillo, malgrado i recenti avvistamenti di divoratori. I tre marciavano velocemente e instancabili: L'Ordine addestrava i propri membri non solo spiritualmente rendendoli esperti nell'arte della manipolazione del Flusso ma anche fisicamente con duri allenamenti volti a renderli vere e proprie macchine da guerra. Tutto era iniziato con la Grande Guerra, il più grande conflitto della storia dei Cinque Regni che, settecento anni prima, aveva visto la razza umana cercare di sterminare l'allora prosperosa razza delle ninfe. A scatenare questo genocidio erano state le mire espansionistiche di Re Chargon Secondo, sovrano del regno di Tannas, che puntava alla conquista dei territori a nord, allora dominio delle ninfe; queste ultime, un popolo da sempre pacifico e dedito alle arti della manipolazione del Flusso a fini medici, non erano assolutamente in grado di sostenere una guerra contro il più grande dei Cinque Regni. La regina Hokuen chiese quindi aiuto agli umani dei Regni vicini e, se da un lato molti decisero di ignorarla, molti altri capirono che Chargon andava fermato prima che fosse tardi e fondarono un proprio esercito segreto, L'Ordine delle Ombre. L'Ordine si stabilì ad Asyia e i suoi membri, guidati dalle ninfe, impararono le basi della manipolazione del Flusso cosicché nel giro di un mese poco più di millecinquecento uomini avevano acquisito un potenziale bellico in grado di affrontare l'esercito di Tannas, che venne sconfitto del tutto in poco meno di sei mesi. Le ninfe, ormai ridotte ad un quinto della loro popolazione originale, non poterono sopportare di vivere in un mondo che evidentemente non le voleva e che ora era intriso del sangue dei caduti e delle lacrime dei sopravvissuti; per questo, sotto la guida di Hokuen, decisero di lasciare i Cinque Regni agli uomini e di ritirarsi oltre la Grande Foresta che da ovest si estendeva sconfinata in un ammasso di vita pulsante. Come ringraziamento ai loro paladini, le ninfe insegnarono ai fabbri dell'Ordine a infondere il Flusso nell'acciaio per creare il pahad perché potessero difendere adeguatamente la terra che a lungo aveva fatto loro da casa.
Da allora i membri dell'Ordine sono rinomati per le loro capacità fisiche al limite dell'umano. E anche Silas e i suoi compagni avevano corpi sovrumani che permisero loro di raggiungere Kola al calar del sole. Il buio non aveva ancora del tutto inghiottito la piccola cittadina e le strade erano gremite dei mercanti che facevano ritorno a casa dopo aver smontato le loro piccole bancarelle nella piazza centrale. I tre ragazzi attraversarono la città e in un'ora appena si ritrovarono all'estremo opposto a quello da cui erano arrivati. Qui si diressero verso un piccolo edificio dall'aria trasandata alla cui porta, illuminata da due lampade a olio, era appesa una vecchia insegna di legno logoro che recava la scritta "I tre boccali". Le Ombre entrarono nella locanda e d'improvviso si ritrovarono in un ambiente caldo e sommariamente illuminato da grosse lampade a olio mezzo arrugginite. Ai lati della porta erano disseminati alcuni vecchi tavolacci dal legno consunto a cui stavano seduti gli avventori più disparati. Silas si diresse verso il bancone dietro al quale stava in piedi un uomo alto e scheletrico con la testa quasi completamente calva e una faccia simile a quella di un roditore.
«Ben tornato, mio signore, fatto un buon viaggio?» disse l'uomo appena riconobbe il giovane che un decina di giorni prima era passato a cercare un riparo assieme ai suoi compagni.
«Non sono cose che ti riguardino.» tagliò secco Silas «Hai fatto ciò che ti ho chiesto?»
«Oh, certo mio signore!» disse l'uomo asciugandosi le mani sul grembiule sudicio «Le vostre cavalcature sono riposate e ben nutrite come avete ordinato.» Il locandiere zoppicò oltre il bancone per avvicinarsi al ragazzo e parlò con la sua voce viscida «Vi faccio accomodare in una stanza, mio signore?»
«Preparala, intanto io e i miei compagni andremo nelle stalle.» Silas non desiderava che allontanarsi da quell'ometto e dal suo odore nauseante.
«Certo, mio signore, accomodatevi.» Il locandiere indicò la porta alla sua destra, quella che conduceva al cortile anteposto alle stalle. Silas fece cenno ai gemelli di seguirlo e i tre uscirono nuovamente nella fresca aria notturna di Kola; attraversato un piccolo cortile coperto di erbacce, i ragazzi entrarono in una grossa baracca di legno che faceva da stalla. Il posto si sarebbe detto completamente vuoto, se non fosse stato per un basso gorgoglio che proveniva dalla zona sul fondo, quella che la luce della luna non riusciva a raggiungere. Marco si mise in testa al gruppo, alzò una mano chiusa a pugno e un secondo dopo questa venne avvolta da un'intensa fiamma che rischiarò l'ambiente. Sdraiati a terra sul fondo della stalla stavano tre enormi animali simili a tigri ma grandi almeno tre volte tanto. Avevano zampe possenti che terminavano in artigli lunghi quanto una mano, una lunga coda lunga e sinuosa ed erano coperti da una folta pelliccia.
«Hey, Sygrin, svegliati dormigliona» Marco si inginocchiò ad accarezzare il manto color caramello dell'animale a lui più vicino. La bestia si riscosse all'istante e saltò addosso al ragazzo leccandogli il volto con l'enorme lingua e costringendolo a spegnere la fiamma. Era un animale possente, alto quasi due metri al garrese e dall'aria pericolosa che, però, si comportava come il più giocherellone dei cani.
Era un tragen, una tigre della foresta: da un paio di secoli l'Ordine le allevava e le usava come cavalcature per la loro grande resistenza e come compagni in battaglia per la loro forza e ferocia. Erano animali fedeli come pochi e avevano un'innata affinità con i manipolatori del Flusso.
Silas accese la piccola sfera luminosa che aveva usato nella villa di Klema Ifor e anche gli altri due animali si riscossero, disturbati dalla luce, e si avvicinarono per accogliere i rispettivi cavalieri.
«Ciao Altarf» il tragen di Silas gli si fece più vicino e il ragazzo gli passò la mano sotto al muso, accarezzandone la folta pelliccia grigia.
«Valu! Mi sei mancato un sacco!» Jessie abbracciò il suo tragen, che emise un lieve ruggito d'approvazione nel sentire la testa della sua padrona che gli affondava nel manto rossiccio.
Improvvisamente Altarf prese a ringhiare sonoramente puntando i grandi occhi con la pupilla a fessura verso l'entrata della stalla. I ragazzi si voltarono e sulla porta scorsero la figura ossuta e ricurva del locandiere.
«Cosa vuoi?» chiese Jessie, brusca.
«La vostra stanza è pronta, miei signori.» sibilò l'oste «Vi ho anche fatto preparare dell'acqua calda, nel caso vogliate lavarvi.»
«Oh sì! Ora si ragiona!» Marco si divincolò dalla presa di Sygrin «Non so voi, cari miei, ma io devo togliermi di dosso due giorni di cammino in una palude. Con il vostro permesso.» il ragazzo accarezzò la testa di Sygrin e si diresse svelto verso il cortile. Silas e Jessie imitarono il compagno e, salutati i propri tragen, tornarono nella locanda per lavarsi e finalmente riposare adeguatamente.

A pochi chilometri di distanza, sulla via che l'indomani i tre avrebbero percorso per fare ritorno alla Cittadella, l'aria iniziò a vibrare in modo strano. Dal terreno si sollevarono piccoli puntini luminosi simili alla polvere che si può veder fluttuare nell'aria illuminata da un raggio di sole. I granelli di luce iniziarono a vorticare prima lentamente poi sempre più veloce, addensandosi mano a mano che il loro numero cresceva in un disco luminoso. L'aria tutt'intorno era carica di elettricità. Il diametro del disco aumentò fino a raggiungere i due metri circa mentre la luce che ne scaturiva carbonizzava il terreno tutto attorno. Con un rombo di tuono il disco esplose in una miriade di schegge di pura luce lasciando al suo posto uno spiazzo di terra bruciata al cui centro una piccola massa scura si muoveva lentamente.

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