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I due ragazzi uscirono dal parco e si diressero verso casa di lei avvolti solo dal silenzio placido che era calato tra loro e dalla fredda aria notturna, che giocava dispettosa con i loro vestiti.

Lei osservava il ragazzo, sotto la luce gialla dei lampioni il suo viso veniva inondato dai raggi artificiali e le era finalmente possibile riconoscere i suoi tratti.

Era un viso giovane, dai lineamenti puliti e delicati, un viso che non farebbe mai pensare a un ragazzo così frustrato e pieno dolore tanto da aver bisogno di esternarlo con una sconosciuta.

Le sue orecchie erano lievemente piegate verso l'esterno, come se si fossero tese per cogliere meglio ogni suono che creava il mondo attorno a lui e ogni parola importante che lasciava le labbra di un'altra persona.

Gli occhi erano sottili, allungati, vispi e carichi di quello con cui avevano avuto a che fare, pieni di voglia di vivere davvero e di immagini cupe e grigie di gente che fingeva di star bene quando soffriva.

Queste scene così scure e tristi contagiarono anche le iridi dei suoi occhi, di un marrone scuro quasi nero in cui era possibile scorgere le fiamme ardenti della foga e della smania di cambiare le cose.

Lui si accorse che la ragazza la stava osservando con curiosità e attenzione e le rivolse un tiepido sorrido. «Adoro camminare di notte.» Disse, sciogliendo le spalle larghe e infilando le mani nodose nelle tasche della felpa color bordeaux.

Le sue gambe lunghe andavano allo stesso passo di quelle più corte e tozze di lei, entrambi si sentivano complici di parole non dette e significati nascosti.

«Come hai fatto a trovarmi?» Chiese poi la ragazza, continuando a guardare davanti a sé. Un mulinello di foglie gialle e marroni si mosse sul marciapiede, lei si alzò il colletto della felpa mentre un brivido le correva lungo la spina dorsale.

«Stavo passeggiando nel parco e ho sentito qualcuno singhiozzare. Ho seguito quel suono e ho trovato te.» Rispose lui, con semplicità. Era strano, lei si sentiva così in imbarazzo per le parole appena sussurrate nel silenzio della notte.

Sperava che nessuno la potesse sentire piangere, che nessuno la potesse mai vedere crollare e cedere sotto a un peso troppo grande, che potesse negare l'esistenza di quello che era accaduto a chiunque tranne che al cielo, quel cielo che l'aveva giudicata con tanta ostilità e ferrea durezza. «Si è trattato di un caso.» Bisbigliò.

Il ragazzo di fermò per un attimo, sotto alla luce di un lampione il suo volto appariva triste, le luci proiettavano le ombre verso il basso. «No, non direi» dissentì, «Penso che tutto ciò che ci succede sia causato da un motivo ben preciso. Forse le cose accadono perché ce le meritiamo o forse perché ne abbiamo bisogno.»

«Perché tu avresti bisogno di me?» Lei era quasi incredula, non riuscì a trattenere il tono ilare della voce. Era qualche passo più avanti rispetto al ragazzo, lo guardava con sguardo sorpreso mentre faceva schioccare le nocche delle dita dentro alle tasche calde della felpa.

«Non lo so, per questo motivo sono così affascinato da te» rispose lui, riprendendo a camminare. Raggiunse in pochi attimi la ragazza e le si avvicinò, un'onda impetuosa frenata da una scogliera troppo alta.

Cercò nel suo sguardo qualcosa che gli facesse capire che cosa era quella ragazza. «Voglio scoprire perché ti ho incontrata.» Disse.

La ragazza venne avvolta dalle braccia del profumo maschile di lui, ne fu talmente inebriata che le girò la testa e il naso iniziò a bruciarle.

Si scostò dal ragazzo con una mano stretta ai lati della fronte. Non era solo il profumo a farla stare così, le parole del ragazzi e vero un effetto ancora più distruttivo e prorompente. «Hai sempre degli obbiettivi così alti?» Chiese.

«Ho imparato a riconoscere che cosa mi importa davvero della vita.» Rispose lui, seguendo la ragazza sulle strisce pedonali e attraversando la strada.

Era un bel quartiere di Seoul, quello, era pieno di boutique di vestiti e negozi di cosmetica che di giorno illuminavano i marciapiedi più della luce del sole e dalle porte in vetro aperte uscivano le note dei CD internazionali più famosi e profumi dorati e luccicanti.

«Quali sono le cose più importanti della tua vita?» Chiese la ragazza, sfruttando il silenzio meditabondo di lui per conoscere meglio il suo accompagnatore.

Lui distolse la mente dallo sfarzo a cui era abituato, un mondo così lontano dalle cose che lui riteneva davvero importanti. «Non sono cose. Sono dei concetti, delle idee che hanno lentamente preso forma nella mia mente.» Disse, guardando la ragazza.

Il suo naso era ancora rosso e aveva le labbra chiare e screpolate dal freddo, sembrava così fragile che si sarebbe potuta sfasciare al solo tocco.

Invece le sue domande così assetate di sapere di lui dimostravano che era determinata, capace di ottenere ciò che voleva e di affrontare ciò per cui stava piangendo così sommessamente.

«C'è qualcosa che ti ha portato a pensare in questo modo?» Chiese ancora. Voleva sapere altro su di lui, voleva capire come avesse maturato dei pensieri così contorti e intricati ad un'età così giovane, voleva capire come ragionasse la sua mente e cercare insieme a lui una soluzione ai problemi che la attraccavano saldamente ai piedi del pendio scosceso e impervio che voleva scalare.

«Sono sempre stato così» lui aggrottò le sopracciglia, «Prima nascondevo questa cosa a tutti, adesso, almeno di notte, posso essere me stesso.»

«Perché non di giorno?» Le domande le sorgevano autonomamente dalle labbra, erano acqua tiepida di sorgente che sgorgava dal cuore.

Lui era diventato una sorta di vampiro, un ragazzo che doveva nascondersi al mondo e poteva essere sé stesso solo quando questo andava a dormire, quindi non poteva dare troppo nell'occhio o fare rumore, non poteva dare il cento percento, o altrimenti avrebbe destato dal sonno leggero l'esistenza.

«Le persone che mi circondano e la mia vita condizionano ogni mio gesto e ogni mia parola, ormai solo quando esco la notte posso essere me stesso. E quando scrivo.» Soffiò lui, fermandosi sotto al portico in marmo di un palazzo a cinque piani. La porta in vetro regalava il riflesso della sua immagine, era molto più cupa e curva di qualche anno prima.

«Cosa scrivi?» di più, quella ragazza voleva sapere sempre di più. Perché una persona con tanta determinazione si era nascosta al parco per piangere?

«Canzoni» disse lui, assottigliando lo sguardo. Era orgoglioso di quello che riusciva a comporre, era riuscito a trasferire in quelle strofe una parte parte di lui. «Un giorno, se questa non è l'ultima volta che ci vediamo, ti farò leggere uno dei miei testi.»

La ragazza annuì subito, sorridendo in modo mesto e pacato. «Ne sarei davvero felice.» Era molto contenta che lui volesse condividere insieme a lei una cosa così intima come lo erano le canzoni. Era come se lei avesse avuto il coraggio di fargli leggere i suoi manoscritti.

Il ragazzo annuì a labbra strette mentre lei infilava la chiave nella toppa del portone.

Il loro tempo insieme era scaduto, una pessima sensazione di vuoto gli dilaniò in pochi secondi lo stomaco. «Buonanotte, allora. Spero di non vederti piangere più.»

La ragazza ridacchiò piano, imbarazzata, e si passò una mano calda dietro all'orecchio. «Ho smesso di piangere» disse, scuotendo la testa a destra e a sinistra, «ma domani sera sono di nuovo al parco.»

Il ragazzo sorrise e le sfiorò una spalla con la mano affusolata prima di lasciarla sola.

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¹⁵⁰ ᵐⁱⁿᵘᵗᵉˢ - ˡʲʰDove le storie prendono vita. Scoprilo ora