Falling in the hopes
In autostrada, ignoro il traffico intenso del sabato notte, gli occhi pizzicano ed il sonno comincia a farsi sentire, la stanchezza vorrebbe prendere il sopravvento, ma non glielo permetto.
Ho gli occhi puntati sul mezzo che mi precede, lo sto seguendo da un paio d'ore senza mai lasciarmi distanziare.
Stringo le mani sul volante.
È un'ambulanza. L'ambulanza che trasporta mio padre.
Accanto a lui, immagino affogata nell'angoscia mia madre, il suo viso che molto probabilmente mostra una rigida tranquillità, un falso sorriso oppure così tirato da sembrare essere cucito su un'orrida bambola di pezza, da offrire a mio padre nella barella lì accanto.
"Tutto bene ragazze, state tranquille...." Ci direbbe per confortarci.
Ma non va tutto bene, lo so e lo sapevo...non potevamo continuare ad ignorare tutto ciò. Soprattutto mio padre.
Chiusa nel suo cuore a doppia mandata c'è la verità che per lungo tempo ha tentato di nascondere a me e mia sorella minore, nel tentativo di lasciarci vivere con una continua serenità che però, ahimè, era ed è tutt'ora falsa. Non andava mai tutto bene, non c'è mai stato il "bene" che tanto bramavamo e l'ignorare la questione non faceva altro che peggiorare la situazione.
Pietoso sforzo per risparmiare alle proprie figlie la sofferenza, caricando tutto il peso della situazione sulle sue spalle.
Lei è sempre stata così: voleva proteggerci, sopratutto mia sorella. Voleva risparmiarci tutte le sofferenze del mondo, in qualche modo, anche sapendo che noi, sopratutto io, già eravamo al corrente di tutta la situazione.
Malgrado i suoi sforzi di risparmiarci il dolore di vedere il suo viso angosciato e quello di nostro padre contorto dalla preoccupazione mentre cerca di darle conforto, cercando di mascherare meglio che può la sua angoscia.
Immagino che ancora non sia crollata, dopotutto è sempre stata così: forte e decisa. Io non sono come lei, non lo sono mai stata e mai lo sarò. Questa è una delle poche cose che rimpiango.
Malgrado il pieno agosto, la sera ormai inoltrata rinfresca l'aria.
Rabbrividisco, il presentimento di ciò che accadrà è un pesante abbraccio.
L'ambulanza corre lungo la strada, nel traffico, con me dietro. Sento un peso al cuore, una stretta allo stomaco. Tutto mi confonde, eppure è facile da comprendere: è solo difficile accettare la realtà per quel che è...
Ma nel profondo non voglio, non posso accettare questo.
Il solo pensiero mi accartoccia i polmoni e stringe il cuore in una morsa d'acciaio. Potrei auto convincermi di accettare ciò ma sarebbe inutile: in realtà non accetterei questo né ora né mai.
Sono trascorsi pochi mesi, veloci e lenti al tempo stesso, dal giorno in cui un medico ha formulato la sua diagnosi. Mesi trascorsi a rilento tra visite, terapie, illusioni.
Così funziona: ti imbottiscono di farmaci finché non scoppi, ti riempiono la testa di inutili false speranze, inutili illusioni...altrettanto inutili parole di conforto.
Ogni volta che sentivo la parola "terapia" scuotevo la testa e la abbassavo in segno di rassegnazione: cos'altro avrei potuto fare oltre a sperare?
Mi stavo aggrappano ad una corda fatta d'aria.
Ci stavamo appoggiando a qualcosa che non è mai esistito realmente.
La cosa peggiore era la consapevolezza di avere ragione su tutta quella faccenda: sapere già l'esito.
False speranze alimentavano i nostri cuori ridotti in frantumi, speravamo di poter riattaccare ogni singola scheggia, ma non siamo riuscite nemmeno a crederci davvero.
Giorni infiniti pieni di sgomento e paura, in un continuo alternarsi di speranza e disperazione.
Veloce è stato invece l'arrivo dell'inverno, e della fine del ciclo di cure.
"E ora?" Ci siamo chiesti cercando di capire quale fosse il seguito, quale il prossimo evento da affrontare. Le false speranze di mia madre alimentavano la speranza della mia sorellina minore, ma non poteva convincere me di una realtà che non esisteva.
Non c'era più nulla ormai. Niente di niente.
"Ora non resta che aspettare qualche tempo e poi magari ripetere la cura" era l'inverosimile risposta a cui ho voluto credere con ostinata, falsa e disperata convinzione.
Un tentativo di non uscire segnata da quell'incubo.
Peccato che le nostre speranze si sono spezzate come il filo che reggeva la vita di mio padre.

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Liars
ContoNon è propriamente una storia, piuttosto si tratta di una sorta di raccolta. Ogni volta che questa mia subdola ed incomprensibile mente elabora qualcosa che potrebbe essere usato come "oggetto di spunto" o "idea" allora comincio a scrivere. Magari...