La ragazza e il lupo

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La ragazza entrò nella sua stanza, appoggiò la borsa sulla scrivania e si distese sul suo letto.
Era passata un'altra noiosa e lenta giornata d'estate in quella piccola cittadina, e come qualunque altra giornata era stata costretta ad aiutare la madre con il lavoro. Da quando era tornata a casa per le vacanze estive sua madre non aveva smesso di tormentarla. Non sopportava più quelle giornate tutte uguali, non vedeva l'ora che l'estate finisse così da poter tornare alla sua scuola per persone particolari come lei. Voleva rivedere i sui amici, i suoi insegnanti, il suo preside e il suo ragazzo, al quale dedicava la maggior parte dei suoi pensieri.
La stanchezza accumulata in quella giornata si stava facendo sentire ed ormai il sole stava già tramontando. "Haruuuu!!" senti gridare all'improvviso e subito dopo udì un gran frastuono. Era stata sua madre a gridare e Haru credette che quel rumore fosse qualche pentola che la madre aveva fatto cadere. Infatti stava cucinando e come al solito voleva sfogarsi sulla figlia. Haru si chiese perché sua madre dovesse prendersela sempre con lei e mai con il padre che non faceva mai nulla, ma in quel momento non voleva pensarci, era stanca, troppo stanca. Voleva ignorare qualsiasi urlo o rumore proveniente dal piano terra di casa sua, voleva stare da sola, non voleva altri pensieri e sicuramente una lamentela di sua madre non l'avrebbe aiutata. Una ciocca dei suoi capelli neri le cadde sugli occhi azzurri coprendoli dalla già fioca luce. I suoi occhi si facevano sempre più pesanti ed era sempre più difficile tenerli aperti, così decise di lasciarsi completamente avvolgere da quella stanchezza e li chiuse. Si sentì rilassata, tranquilla e lontana dal mondo, come se ogni singolo suono fosse svanito. Poi si accorse che in effetti le urla dal piano terra e i rumori erano cessati. Le sembrò strano e anche il suo istinto le fece percepire che c'era qualcosa che non andava, che c'era qualcosa di pericoloso. Decise di alzarsi dal suo letto, aprì la porta di camera sua e si diresse verso le scale per andare al piano terra. Ogni volta che faceva un passo quella sensazione di pericolo aumentava. Raggiunse le scale e ciò che vide la paralizzò. Il corpo inerte di sua madre giaceva in una pozza di sangue. Haru scese le scale correndo e si inginocchiò al fianco del corpo di sua madre. "Mamma! Mamma!" urlò con quanto fiato aveva in gola, smuovendola e sperando che reagisse. Non ebbe nessuna risposta. "Haru....." sentì dire da una voce soffocata ma familiare. Era la voce di suo padre che proveniva dalla cucina. Lei si alzò e si diresse verso di lui. Appena guardò dentro la stanza fu presa dal panico. Suo padre non era solo. Un'altra persona era lì con lui: un uomo alto, magro, quasi sciupato, i capelli di un castano chiaro e spettinati. Era vestito di stracci e bende avvolte sugli avambracci e sulle gambe. Quell'uomo stava sollevando suo padre per il collo, e appena Haru abbassò lo sguardo vide che l'altra mano dell'uomo era infilata nell'addome di suo padre. "Haru scappa......" mormorò suo padre, e subito dopo quelle parole l'uomo tolse la mano da lui, facendo fuoriuscire un fiotto di sangue. Quella mano non era sicuramente umana. Era più grande della norma e al posto delle unghie c'erano degli artigli. Haru, sconcertata da quella scena, non riusci più a ragionare lucidamente. Rimase lì, pietrificata. "U-un sangue di belva" sussurrò piano. "Ah, quindi sai cosa sono?" disse l'uomo con una voce molto profonda e roca, quasi bestiale. "Beh, non ha importanza", continuò, "tanto fra poco farai la loro stessa fine". Lasciò cadere il corpo del padre ormai morto ed iniziò a camminare verso la ragazza che, non sentendosi più le gambe, cadde a terra. Intanto l'uomo continuava a dirigersi verso di lei.
"Alla fine ti ho trovato..... Edward".

La Falce NeraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora