Lo straniero

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[Colonna Sonora: Siúil a Rún (Walk my Love) - Celtic Woman ]

Kyle of Lochalsh è un piccolo villaggio scozzese che conta circa settecentocinquanta anime e fronteggia l’isola di Skye; come nella maggior parte delle Highlands, ciò che colpisce maggiormente l’occhio, in questo piccolo paradiso, sono i colori: il verde smeraldino dell’erba, il blu intenso del mare, l’azzurro perfetto del cielo, lo fanno sembrare un acquerello. La vita, qui, segue il ritmo lento e piacevole dei villaggi di pescatori, soprattutto quando è inverno e non ci sono i turisti. Mi ci sono rifugiata dopo la morte di Jo: avevo bisogno di vivere lontana da tutto, dai ricordi e dalla vita frenetica che conducevo, divisa fra Torino e Parigi. Avevo bisogno di star lontana da chi sapeva e non mi aiutava a voltar pagina, perché nella vita bisogna saperlo fare. Avevo bisogno della solida e confortevole accoglienza tipica degli scozzesi, del loro carattere forgiato dalle difficoltà e dei loro silenzi densi di significato. In questo posto ci viveva mia nonna e le vacanze che trascorrevo nel suo cottage in cima alla collina sono i più bei ricordi che conservo della mia infanzia.

- Hai sentito il vento? Viene da Est. Chissà cosa ci porterà, questa volta.

Sorrido, scuotendo piano il capo mentre asciugo i bicchieri. Nel pub ci siamo solo io e Pat, il proprietario: non è ancora ora di pranzo e dobbiamo sistemare alcune cose prima dell’apertura. Dalla cucina proviene il profumo invitante del pasticcio di carne preparato da Ian, ma lui e le altre due cameriere sono andati al molo a prendere il pesce fresco.

- Ho incontrato un uomo, mentre venivo al villaggio, stamattina. Non credo sia di qui; stava andando verso la casa di Bob. – mi decido a raccontargli

- Deve essere suo nipote. Mi aveva detto che lo avrebbe ospitato per un po’ e che avrebbe lavorato con lui. Ecco, visto? Avevo ragione a dire che il vento avrebbe portato novità. Come ti è sembrato?

- Non saprei. L’ho incrociato per pochi istanti, non ci siamo nemmeno salutati. Alto, moro, muscoloso. Imponente, direi.

- Insomma, un bell’uomo.

- Non so, Pat. Mi ha fatto una strana impressione.

- Perché?

- Non ne sono sicura. Forse mi ha inquietata.

Ian, Lucy e Mandy fanno ritorno, portando con loro la freschezza dei vent’anni, le risate e l’aria gelida di questa mattina di dicembre. Io e Pat non parliamo più dello straniero, ma io torno a pensare a lui: se dovessi spiegare perché ho avuto quella sensazione sul suo conto, non riuscirei a farlo. Il nostro incontro è stato davvero questione di pochi attimi, ci siamo incrociati, abbiamo scambiato uno sguardo e niente più: lui ha ripreso la sua strada verso la cima della collina e io la mia verso il villaggio. Però quello sguardo mi è entrato dentro. Sapeva di solitudine e di dolore, dietro una barriera di fiera durezza.

Quando lo vedo di nuovo è ormai sera; il pub è affollato, rumoroso: tutti gli uomini del villaggio si ritrovano qui per un giro di birra, finito il lavoro. Lucy e Mandy si destreggiano al bancone distribuendo boccali e io mi occupo di portare i pasti ai tavoli dribblando gli avventori, le loro battute non sempre gradite ma quasi mai finalizzate a qualcosa che vada oltre lo spirito goliardico.

Lui, lo straniero, entra proprio mentre io sto passando davanti alla porta di ingresso al pub. Il freddo e il suo sguardo mi travolgono all’improvviso. Lui mi sorride. Io fuggo. C’è qualcosa che mi attrae e mi respinge al tempo stesso, in lui.

Tutti lo guardano con sospetto, come sempre quando si ha a che fare con qualcuno di nuovo. Ma lui, granitico e indifferente, fende quel reticolo di occhiate diffidenti dirigendosi verso il bancone dove ordina una pinta di birra scura e un pasticcio di carne; la prima gli viene servita da un’adorante Mandy, il secondo glielo porto io, al tavolo che va ad occupare poco dopo.

- Ecco il suo pasticcio

- Grazie. Posso sapere come ti chiami?

- Eve.

- Grazie Eve.

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