[seconda parte: (Tilleadh gu) Eilean] - Fiori

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[Colonna Sonora: I need you - Adrian Von Ziegler]

- Ian, puoi venire qui? C’è da mettere un chiodo in questo punto.

- Aspetta, Eve. Sto cercando di… 

- Ah! Oddiooddiooddio! Un topo! Ammazzalo!

- Ma no, è Figaro, mi è scappato.

- Figaro? 

- Sì, il mio criceto!

- A me sembra un topo. A te, Lucy, cosa sembra?

- Ma no, Mandy. è un criceto, non vedi?

- François, tesoro. Quante volte ti ho detto di non lasciarlo uscire dalla gabbia? Potrebbe succedergli qualcosa. 

L’estate stava arrivando, la si poteva percepire nella brezza che accarezzava i capelli intrufolandosi dalle finestre aperte. Anche la luce, era diversa: il cielo terso era di un azzurro accecante che faceva apparire ancora più verdi i manti erbosi e splendente la distesa d’acqua su cui si affacciava quel piccolo villaggio. Il profumo del mare si era fatto più intenso e la natura si era risvegliata in un tripudio di colori e suoni: così, erano tornati i toni del rossastro dell’erica sulle rocce, le tinte variegate delle primule e delle orchidee, il canto dei gabbiani, il frinire dei grilli, il vociare dei turisti. Ogni cosa sprigionava un’energia vitale intensa e travolgente.

I lavori di ristrutturazione del pub erano terminati in pochi mesi, grazie al contributo di tutti gli abitanti di Kyle. Quella sera avrebbero fatto una festa di inaugurazione della quale si sarebbe parlato a lungo nei mesi a venire: Eve si era impegnata molto in quel progetto, perdendo intere notti di sonno per organizzare ogni particolare. Chi la conosceva meglio sapeva che quello era il suo modo per reagire alla partenza improvvisa di Arthur e a quel periodo buio che l’aveva preceduta; inoltre, François era tornato con lei, dato che non c’era più alcun pericolo per loro due.

Non aveva più avuto notizie di Arthur, non avrebbe saputo nemmeno come contattarlo se non chiedendo di lui presso la polizia di Edimburgo. Ci aveva pensato, qualche volta, spesso a dire il vero, ma aveva sempre rinunciato: se lui se ne era andato senza salutarla, si diceva, significava che non gli importava di lei; in fondo, fra loro non c’era stato altro che quell’unico bacio, una notte che sembrava ormai lontana anni luce, tanto strana che a volte Eve si chiedeva se non l’avesse sognata. Sentiva tuttavia la sua mancanza. Quando François dormiva e lei aveva spento tutte le luci, per poi cercar di prendere sonno abbracciata al cuscino in quel letto che sembrava troppo grande per lei, troppo freddo, ripensava al caldo abbraccio di Arthur, alla sua stretta forte e rassicurante. Si chiedeva cosa sarebbe potuto essere, fra loro, se le cose fossero andate diversamente. Si convinceva che il suo era soltanto un desiderio infantile per qualcosa che le veniva negato e a fatica si addormentava mentre nella sua mente i ricordi di Jo e di Arthur si mescolavano sovrapponendosi. Al mattino, il cuscino era sempre un po’ umido delle sue lacrime, il suo animo portava ancora i segni di un passato troppo vicino e troppo doloroso, le cicatrici ancora fresche della paura provata quando Wallace la minacciava, quelle più antiche che le aveva lasciato la scomparsa di Jo e un’adolescenza travagliata,  ma lei aveva fatto quello che faceva sempre: era andata avanti, giorno dopo giorno, stringendo i denti e cercando sempre un motivo per sorridere; lo trovava in suo figlio, nei ragazzi del pub, in Pat che si era risvegliato dal coma da poco ed era tornato alla vita di sempre, forte e solido come una quercia.

Un passo dopo l’altro era riuscita a tornare serena, almeno ad apparirlo. Dello spirito degli abitanti di Kyle of Lochalsh aveva ereditato ed assorbito quella propensione a non piangersi addosso, non lasciarsi mai andare, ma resistere, combattere, cadere e rialzarsi, ricostruire e fare di ogni colpo un punto di forza.

Negli ultimi giorni, però, stavano accadendo delle cose che l’avevano preoccupata, sebbene non avesse avuto il coraggio di parlarne con nessuno: aveva il sentore di essere osservata e che qualcuno fosse entrato in casa sua, anche se non mancava nulla e niente sembrava fuori posto. 

Anche quel pomeriggio, quello prima della festa di inaugurazione del pub, quando aprì la porta del cottage in cui viveva, percepì quella sensazione. Eppure, Loth non dava segno di inquietudine: era placidamente accucciato sul tappeto in salotto; se fosse entrato un intruso, non avrebbe fatto così.

Eve avrebbe voluto non pensarci più, convincersi che si trattasse soltanto della sua mente che le giocava brutti scherzi. Ma quando entrò nella propria stanza da letto e trovò quel mazzo di rose poggiato sul cuscino, le tremarono le gambe. 

Non perse tempo a riflettere sul da farsi: era necessario, innanzi tutto, allontanarsi da lì; cercando di non spaventarlo, prese François e lo fece salire in auto. Lo avrebbe condotto al sicuro, poi avrebbe pensato al resto. Avrebbe dovuto chiamare la polizia, ma aveva il timore di aver ingigantito le cose: magari quel mazzo di rose le era stato lasciato da qualcuno che voleva soltanto farle una sorpresa, niente più. 

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