Percorrevo, per la terza volta in una settimana, la stessa strada, lo stesso percorso buio e tortuoso che mi avrebbe condotto al luogo che più mi faceva paura, che aveva accolto le mie lacrime e le mie parole gettate al vento, ma che, in quel periodo della mia vita, mi aveva dato conforto più di qualunque persona al mondo.
E proprio mentre mi avviavo, strisciando le mie vans rovinate sulla strada, alzai gli occhi verso l'alto e osservai le innumerevoli stelle che quella notte illuminavano il cielo. Sorrisi amaramente perché io, luminosa, non lo ero mai stata. O forse sì un tempo, quando i miei capelli ancora biondi incorniciavano il mio viso, quando vicino a me c'era mia madre e anche mio padre, quando nessun problema osava sfiorare i miei pensieri. Quando vivevo in una casa tutta mia e non in una piccola stanza condivisa di un orfanotrofio, da cui quella sera ero uscita di nascosto.
Allora, a 17 anni, ero totalmente diversa. Ero cupa, scura, nera. Ero buia.
Contavo i passi che mi separavano dalla grande struttura alla quale stavo per accedere, quando una folata di vento gelido mi colpì dritta in faccia e una ciocca dei miei capelli blu, sfuggita dalla mia coda alta, si depositò davanti agli occhi. Fu come se quell'aria fredda avesse portato alla mente tanti di quei ricordi da farmi scoppiare la testa. Ed ecco, in quel momento, li rividi. E insieme ai miei genitori, rividi anche me bambina con i miei lunghi capelli dorati sempre pettinati in modo impeccabile.
Eravamo in auto quel maledetto giorno di 7 anni fa, quando io con il mio carattere orribile di sempre, iniziai a piagnucolare perché volevo impazientemente una treccia. "Kayla, per l'amor del cielo, stiamo quasi per arrivare; abbi un po' di pazienza" Mi riproverò mia madre, mentre mio padre sghignazzava per i nostri battibecchi. Ma io sentivo caldo, non sopportavo più quei dannati capelli sulle spalle e poi volevo una delle mie adorate trecce che solo la mia mamma sapeva realizzare. Così iniziai ad urlare, attirando l'attenzione sia di mia madre che di mio padre. Quest'ultimo, distratto però dai miei capricci, non vide l'auto che sfrecciava ad alta velocità verso di noi. Ricordo solo il forte rumore di uno schianto, delle urla e poi nulla, il vuoto più totale.
Era questo l'ultimo ricordo che avevo dei miei genitori e che, puntualmente ogni notte, mi teneva sveglia o in preda agli incubi.
Dopo l'incidente mortale, che mi aveva portato via le mie più grandi certezze, io non avevo più vissuto una vita tranquilla. Avevo imparato a sopravvivere. Mi limitavo a mangiare, bere, persino a ridere ogni tanto; ma tutto ciò che facevo era sempre calcolato mai spontaneo.Poi iniziarono i problemi, gli assistenti sociali ed infine l'orfanotrofio che fu la mia seconda casa. I primi tempi furono terribili; in fondo ero solo una bambina di 10 anni ignara del destino che la attendeva.
Poi incontrai Paige, la mia migliore amica, con cui legai fin da subito. Le devo tanto, se non tutto quello che ho e che sono. Dividevamo la stanza, i soldi, i vestiti, le mie paure e le sue incertezze.
Quella sera aveva proposto di accompagnarmi, come del resto tutte le altre volte; ma non aveva insistito perché sapeva che avevo bisogno di stare sola, che quelli erano momenti miei, personali e , con un sorriso triste stampato sul volto ed un forte abbraccio, mi aveva lasciato andare.
Lungo la strada, mi persi nel ricordare che una volta amavo le trecce, mentre adesso portavo sempre delle code o degli chignon disordinati, perché odiavo i capelli sciolti o, più in generale odiavo i miei capelli in tutte le loro forme poiché mi ricordavano che se ero cresciuta da sola, era stata tutta colpa mia e dei miei capricci. Ancora di più odiavo il biondo, quel colore bello e splendente che a me ricordava tanto la perfezione. Ecco perché li avevo tinti e mi ero ripromessa di non portare più trecce in vita mia.
Ero talmente assorta nei miei pensieri che quasi non mi resi conto di essere arrivata. Lo capii dall' enorme scritta che spadroneggiava sul cancello principale: "cimitero di Brooklyn".
Prima di entrare presi un grande respiro e riuscii ad oltrepassare, scavalcandolo, il cancelletto secondario adibito al personale.
Adesso dovevo solamente percorrere ottanta passi, poi girare a destra, altri trenta passi, superare i tre gradini che avevo di fronte e nuovamente spostarmi sulla sinistra.
Ebbi un piccolo capogiro, ma mi ripresi subito. Ormai li avevo davanti.
Thomas Smith e la moglie Emilee White, 4 aprile 2010 erano le sole parole che comparivano sulla lapide insieme ad una loro foto che li ritraeva abbracciati e felici.
"Ciao mamma, ciao papà" furono le uniche parole che riuscii a dire prima di scoppiare in un pianto quasi isterico che non potevo più fermare.
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Ciao a tutti.
Ecco il prologo del mio libro "Blonde hair". Spero vi piaccia; lasciate qualche voto se è di vostro gradimento e fatemi sapere, tramite i commenti, cosa ne pensate.
Bene, non so più che dirvi ....
Quindi a presto
All the love
-M
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Blonde hair
Romance"Perché noi siamo come la notte, così intensa, buia, paurosa. Ma quando è illuminata dalla luna... beh in quel caso è tutta un'altra storia. Siamo così sbagliati che i nostri difetti, insieme, si annullano. E non importa il blu dei miei capelli o qu...