Prologo

25 11 1
                                    

MAYA

I suoi occhi verde smeraldo fissavano il vuoto.

Sentivo ancora le urla di mamma. Gridava fortissimo, un ultimo e assordante urlo, prima che tutto diventasse grigio. Mi ricordo di essermi fermata a fissare mio padre, per un secondo, il suo ultimo secondo di vita, prima che una luce bianca illuminasse il viso e, I suoi occhi verdi diventassero neri.

Ricordo di aver visto una luce, forte e intensa, di aver urlato forte e poi.. E poi di aver visto Sam cadere sulle mie gambe, così, all'improvviso. Non ricordo altro, non voglio ricordare altro. I miei genitori, mio fratello, la mia famiglia, sono tutti morti. Ma non io. Io sono sopravvissuta, in un modo o nell'altro il mio corpo è sopravvissuto all'impatto. Avrei preferito morire. Avrei preferito che il mio corpo cedesse all'impatto, piuttosto che continuare a vivere così. Mio fratello, il mio fratellino, aveva otto anni, otto fottuti anni. Aveva mille sogni, mille desideri. Amava giocare a calcio e voleva diventare un calciatore famoso, come Messi o Cristiano Ronaldo. Non lo potrà mai fare. Gli hanno tolto la possibilità di crescere, di sfidare il mondo. Gli hanno tolto la vita. Avrei preferito morire piuttosto che vivere con il rimorso che lui avrebbe potuto continuare a vincere. I suoi occhini verdi, verde smeraldo. Due enormi occhioni che volevano conoscere il mondo intero, li ho visti spegnersi su di me. I suoi capelli marroni, con quell'odore che tanto amavo. Shampoo alla camomilla. Oddio, lui l'odiava. Diceva che era per femminucce, e lui era un ometto. Tra le mani stringeva ancora il suo Nintendo, grigio, che un tempo era stato il mio. Amavo guardarlo giocare, perchè lo vedevo così concentrato, così volenteroso di vincere, che nulla al mondo poteva attirare la sua attenzione. Nulla tranne Sophie, la bambina in classe con lui per cui aveva una cotta. Era così dolce. Ogni volta che pronunciava il suo nome, arrossiva e iniziava ad agitarsi, toccandosi continuamente il nasino, ricoperto di lentiggini. La voleva baciare. Voleva regalarle il suo primo bacio. Non potrà mai farlo. Non potrò mai vederlo crescere, litigare con un suo amico, piangere per amore, consigliarlo e proteggerlo, non potrò mai più vederlo. Il suo corpicino piccolo e esile mi cadde addosso con la stessa velocità con cui quella macchina piombò addosso alla nostra. Non riuscì a proteggerlo, non riuscì a mettere il mio corpo su di lui per salvarlo. Non riuscì a fare niente, tranne a stare impalata a osservare tutto. Ero impotente. Ero ferma, immobile, con gli occhi sbarrati e la testa vuota. Non riuscivo a pensare a niente, non riuscivo a muovermi. Sentivo solo le urla di mia madre. O forse l'urlo. Questione di un secondo e poi tutto divenne silenzioso, buio.

Era una donna fantastica. Faceva la professoressa di danza a tutte le mie compagne di classe. Insegnava danza classica, moderna, contemporanea. Tutti l'amavano. Anche io. Nessuno di quelle ragazze è mai passata a salutarmi in ospedale, si sono limitate a scrivermi un misero messaggio su Facebook. Mia madre era così diversa da me. Capelli lunghi e neri, occhi marroni, alta e magra. Amava la musica e il ballo, e proprio a un concerto ha incontrato mio padre, nella notte del 4 dicembre 1978. Amavo sentire la loro storia d'amore. La conoscevo a memoria, ma era l'unica cosa capace di farmi addormentare da piccola, quando facevo un brutto sogno. Mio padre suonava a New York, ogni sera, sempre nello stesso bar. La mattina studiava musica al conservatorio, la notte lavorava per pagarsi gli studi. La sua famiglia era piuttosto povera e, la sua fortuna, la deve tutta alla carriera che si è fatto a New York. Era un uomo orgoglioso, pieno di sè, a volte troppo fiducioso e troppo ottimista. Vedeva sempre il bicchiere mezzo pieno. Quella sera, mia madre e le sue amiche andarono in quel bar per brindare a un concorso. Erano state ammesse alla scuola di danza migliore d'America. Mamma era ricca, o meglio, I nonni erano due importanti banchieri, e non aveva per niente problemi economici. Mi hanno sempre detto che il loro fu un colpo di fulmine. Papà stava suonando e cantando, quando mamma iniziò a ballare spinta delle amiche. Dopo poco, mamma cadde tra le braccia di papà e da lì iniziò la loro storia d'amore. Un amore forte, che ha vissuto tante avventure, ma è sempre durato, fino alla morte.

"Fin che morte non vi separi.."

In tutti I sensi della frase.

Ricordo, o forse non è andata così, che papà prese la mano di mamma, in un ultimo disperato tentativo. Le ha sussurrato "Ti amo" e poi il vuoto. Il buio. Nella mia testa sento ancora il pezzo della canzone di mio padre, mischiato al balletto che mamma stava preparando con le sue allieve. Anche io amo scrivere, scrivere musica. Sin da piccola papà mi ha insegnato a suonare la chitarra, il piano forte e a cantare. Con Sam è successo l'opposto. Non l'ha mai spinto a fare musica, gli ha lasciato libera scelta e lui ha scelto di giocare a pallone. Amavo andarlo a veder  la domenica mattina. Lui giocava al centro del campo, davanti alla difesa. Sono sempre stata una frana con gli sport e, mio fratello e mio padre, mi prendevano sempre in giro perchè prima di ricordarmi anche solo il nome di un giocatore ci mettevo anni luce. Mi mancano I loro scherzetti, le loro battutine, mi manca non sentire più l'odore di popcorn uscire dalla cucina, o la musica di mio padre che accompagnava la serata. Mi manca la mia famiglia.

Non ero pronta a lasciarla. Sarei dovuto morire. Non sarei dovuta sopravvivere. Sono un'egoista. Sam, lui doveva vivere. Doveva crescere, realizzare tutti I suoi sogni e diventare un uomo. Ma questo non è successo. Il destino ha voluto così, e così dovrò accettare.dopotutto, sono ancora viva.. 

Still AliveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora