«Ti prego, Valentine, intercedi per me...» il tono della voce di Aren aveva assunto una nota lacrimevole e vagamente piagnucolosa, che non avrebbe voluto far apparire «Sto morendo, lentamente. Ogni giorno che passa sento le mie forze affievolirsi, sempre di più, ho bisogno di rientrare nel Circolo!»
Valentine alzò gli occhi al cielo, aveva acconsentito ad incontrare Aren dopo che per giorni questi l'aveva tormentato e supplicato quasi in ginocchio, ma se ne stava pentendo amaramente. Non aveva alcuna intenzione di ascoltare la sua nenia soporifera di preghiere pietose, aveva ben altro a cui pensare: schiere di clienti lo stavano aspettando e lui stava perdendo tempo con lui.
«Non ti nutri di Cyril?» domandò, inarcando un sopracciglio.
«Non posso permettermi di prosciugarlo» fu la secca e amara risposta dell'altro.
Le sue ultime parole aleggiarono nell'aria intrisa dal forte odore di anice dell'Absinth Salon. Il luogo dell'incontro era stato scelto da Valentine, che andava matto per la cosiddetta "bevanda della fata verde", specialità del locale. Ne prese un sorso e lasciò che il liquido dolceamaro gli scivolasse lungo la gola, sprigionando piacevoli lingue di fuoco che lo avvolsero, facendolo sorridere soddisfatto:
l'assenzio era l'unica nota positiva dell'intera serata.
Anche Aren aveva provato quell'intruglio, ma si era ritrovato a tossire senza controllo, guadagnandosi le occhiate di disapprovazione di tutta la clientela, o meglio, di quella non ancora ottenebrata dai fumi dell'alcol.
«Cosa saresti disposto a fare?» la domanda cadde inaspettata ed improvvisa, come un sasso in un lago che ne turba la placida superficie. Valentine si era già spazientito e voleva capire subito che intenzioni avesse l'altro, non ne poteva più di sentirlo piagnucolare.
Aveva catturato con il suo sguardo adamantino gli occhi acquamarina di Aren e li scandagliava. Scavava nel profondo dell'iride color del mare, screziata di viola, e immergendosi nel baratro nero che si spalancava nel mezzo, andava alla ricerca dei suoi pensieri più profondi. Stava usando una tecnica che riservava ai clienti: carpiva le loro più angoscianti paure, i loro pensieri più spaventosi, sopiti negli anfratti più remoti della mente, dimenticati, per poi risvegliarli e riportarli alla luce sottoforma degli incubi di cui poi si deliziava e saziava.
In questo caso, però, si stava limitando a scrutare i pensieri di Aren, per cercare la risposta alla sua domanda: non avrebbe compromesso la sua posizione senza una garanzia della sua determinazione, o disperazione che fosse, a tal punto da spingersi a fare qualunque cosa, a rischiare il tutto e per tutto.
«Qualsiasi cosa, Valentine, qualsiasi» Aren non riusciva proprio ad eliminare quell'odiosa piega da bambino frignone che aveva assunto la sua voce.
«Sai, vero, che questo potrebbe comportare delle scelte, anche scelte molto dolorose?»
Aren sussultò, Valentine vide la sua iniziale sicurezza vacillare, ma non crollare; la sua scelta era ferma, definitiva: voleva a tutti i costi rientrare nel Circolo. L'Incubo si ritrovò a sorridere, una sottile increspatura delle labbra, niente di più: il Conte, alla fine, aveva avuto ragione.
«Sei un Vampiro, Aren. Ci sono delle regole ferree e ben precise da seguire per preservare quelli della tua razza. E tu hai contravvenuto alla più importante delle Leggi: ti sei innamorato. Di un Umano, per giunta, rischiando di compromettere tutto...Credi davvero che il Conte sia disposto a riammetterti senza pretendere nulla in cambio?»
Aren sospirò e si lasciò cadere contro lo schienale della poltroncina di velluto rosso. Da un lato aveva paura di quello che il Conte avrebbe potuto chiedergli; la punizione che gli aveva inflitto era stata terribile e lo stava consumando lentamente, non osava pensare a cosa avrebbe potuto voler in cambio da lui per essere riammesso. Eppure, quella situazione di prigionia ed esclusione lo stava logorando. Legato indissolubilmente al giovane di cui aveva osato innamorarsi, era stato condannato a cibarsi esclusivamente del suo sangue, mettendolo in una posizione estremamente difficile: non poteva permettersi di prosciugarlo, ma nel contempo non poteva nemmeno rimanere a digiuno troppo a lungo. La mancanza di sangue lo indeboliva e lo rendeva più pericoloso, aggressivo, i suoi istinti tendevano a prevalere sul suo autocontrollo. Nutrirsi di altri non sarebbe servito a nulla, abbeverandosi del loro sangue avrebbe solo aumentato il desiderio di quello di Cyril, molto più nutriente e soddisfacente.
Aren venne bruscamente strappato dai suoi pensieri dal rumore della poltrona che strisciava sul pavimento in legno, Valentine, dopo aver gettato un'occhiata delusa al bicchiere vuoto, si era alzato con l'intenzione di andarsene. Il Vampiro gli gettò un ultimo sguardo supplichevole, in attesa.
«Vedrò cosa posso fare» fu la laconica risposta di Valentine, mentre si infilava il cappotto; ma ad Aren bastavano quelle poche parole, per lui erano già una garanzia di successo.
Seguì con lo sguardo l'Incubo mentre si allontanava, e rimase affascinato dal suo incedere accattivante, dalle movenze sensuali ed eleganti, sottolineate dalle falde del cappotto che accarezzavano ogni suo movimento, rubò il suo sguardo vagamente annoiato ma penetrante, che lasciava scivolare sugli avventori, mentre già pregustava gli incubi che gli avrebbero offerto quella notte, e si ritrovò a sorridere, capendo il motivo per cui il Conte lo prediligesse sopra tutti gli altri.
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Incubi Sereni
VampireAren è un reietto, un escluso: è stato cacciato dal Circolo per aver osato innamorarsi, di un Umano, per giunta, rischiando di compromettere la sicurezza del Circolo stesso che da anni protegge e nasconde le creature della notte agli sguardi degli A...