E ti si legge negli occhi perché
non c'è alcun peso da nascondere
e quel vestito da stringere un po'
buone intenzioni che non bastano
e tieni a mente le parole
solo le più belle
rotta è la tua voce
mentre il cielo piange
sei sola, sola, sola
ti senti sola, sola, sola.
(Sola, Francesca Michelin)Mia madre mi strinse a sé, mi accarezzò i lunghi capelli castani che ricadevano morbidi lungo le mie spalle. Voleva darmi un po' di conforto, voleva cercare di lenire il vasto dolore che mi stava dilaniando.
«Piangi tesoro mio, piangi... Sfogati, libera la tua sofferenza. Ci sono io qui con te. Ti aiuterò, ti starò vicino».
Parlava poco mia madre, soprattutto quando l'infelicità del mio esistere, prendeva in me il sopravvento. E lei ne era devastata, immensamente, profondamente affranta, per quel destino nefasto e ingiusto che era toccato a lei e a me. Mi implorava, con occhi che mai mi abbandonavano, di sfogarmi, di prendere il mio dolore e buttarlo fuori, su di lei, sul mondo, ovunque, purché lo allontanassi dai miei giorni, ma il dolore, quel compagno che nessuno vorrebbe ma che tutti prima o poi conosciamo, beh lui, quel grandissimo scellerato, non ha avuto pietà di noi.
«Oh mamma, come farò? La mia vita non ha più alcun senso, non posso vivere senza di lui. Perché, perché è successo di nuovo? Perché le persone che amiamo, ci abbandonano? Prima è stato papà a lasciarci e ora, e ora se n'è andato per sempre anche Davide. Non è giusto! Io l'amavo, era tutto per me, dovevamo fare ancora tante cose insieme. Io non supererò mai questa cosa. Voglio morire, voglio morire anch'io» mormorai in preda alla disperazione più totale.
Ed ero fuori controllo, lacerata dalla sofferenza, senza più alcun briciolo di lucidità. C'era solo il mio dolore, la mia solitudine e null'altro.
«Silvia, smettila! Non dire mai più una cosa del genere».
Un sonoro schiaffo colpì la mia guancia e interruppe i miei singhiozzi. Sentii la pelle bruciare e istintivamente vi appoggiai la mano e massaggiai la parte dolorante. Mia madre mi aveva appena dato un bel ceffone, non lo aveva mai fatto prima, mai.
E non era una punizione quel gesto inconsulto, ma amore, amore per quella figlia che, settimana dopo settimana, rinunciava al sole, all'aria, all'ossigeno.
«Questa è la vita: si nasce e si muore. È Dio a decidere il come, il quando e il perché e noi non possiamo farci nulla. Dobbiamo rassegnarci, dobbiamo darci tempo per assorbire il dolore causato dalla perdita. Elaborare un lutto non è una cosa semplice, ma è un meccanismo automatico, è necessario andare avanti, bisogna farsene una ragione. E poi ricordati che nessuno se ne va per sempre. Tuo padre, Davide, sono qui con te, nel tuo cuore e nulla potrà cancellare il loro ricordo».
La voce di mia madre si addolcì sul finire e il suo sguardo divenne lucido di lacrime ancora da versare.
«Lo so, lo so, ma è così difficile. Non posso riuscirci, non posso andare avanti, non ne ho la forza».
«Oh sì che puoi, piccola mia. Io ci sono riuscita e puoi farlo anche tu» disse lei palesando quel suo essere guerriera coraggiosa in un mondo di tristezza.
«Come hai fatto mamma? Come? Ti prego, dimmelo. Aiutami...».
In quei momenti, mi aggrappavo alle parole, cercavo aiuto in una selva che non aveva via d'uscita perché ero intrappolata in quel luogo che non esisteva più. Il mondo dei miei ricordi, di quello che ero stata con lui, di quello che non sarei più potuta essere, di quell'amore che non poteva ritornare.
«Non esiste un manuale purtroppo, è la forza di volontà che ti aiuta, è il tempo, è l'amore. Io sono andata avanti soprattutto per te, tuo padre avrebbe voluto così. E sono sicura che anche Davide vorrebbe che tu continuassi la tua vita. Sei così giovane e poi è già passato quasi un anno da quando... da quando...».
«Da quando Davide è morto» sibilai, continuando la sua frase.
Dirlo ad alta voce faceva ancora più male. Rendeva pesante e reale la sua assenza. E quell'assenza era un buco, una voragine che solcava il mio petto, era gelo sul mio cuore atrofizzato, era paralisi di un'esistenza che si era fermata nell'esatto istante in cui lui aveva smesso di essere al mio fianco.
«Sì e tu non puoi continuare a ferire la tua anima in questo modo. La tua vita è fatta solo di lavoro, casa e visite al cimitero. Devi reagire Silvia, lo devi fare per te stessa, per tuo padre, per Davide ma soprattutto per me. Non posso più vederti così, il mio cuore si stringe ogni qualvolta appoggio il mio sguardo sui tuoi bellissimi occhi che non brillano più. Sono spenti, colmi di dolore e sofferenza e io farei qualunque cosa per vederli di nuovo risplendere, per rivedere il tuo meraviglioso sorriso, per assaporare di nuovo la tua gioia di vivere» asserì mia mamma, abbandonandosi alle lacrime.
«Mamma, per favore, non piangere. Scusami, scusami. Ti prometto che da oggi volterò pagina, ci proverò» sussurrai, stringendo le mie braccia intorno al suo collo.
Mi faceva male vederla così, e soprattutto mi faceva male sapere che ero io la causa della sua tristezza. Mia madre era sempre stata una forza della natura, il pilastro della mia vita. Se non ci fosse stata lei, non so cosa ne sarebbe stato di me. Ero piccola quando mio padre venne a mancare e lei si era presa cura di me, da sola. Si era impegnata per non farmi mancare nulla, lavorava notte e giorno per guadagnare i soldi necessari al mio mantenimento. E fu proprio per aiutarla, che una volta preso il diploma, cominciai anche io a lavorare. Mi sarebbe piaciuto continuare gli studi, ma i soldi non bastavano mai, e così avevo preferito contribuire ad aumentare le nostre finanze, se non altro per garantirci una vita dignitosa. Fortunatamente la ricerca di un impiego era stata breve, grazie ad un'amica di famiglia, che mi aveva fatto assumere come segretaria in uno studio associato di consulenza d'impresa. Da quel giorno la mia vita è cambiata, perché è lì che ho conosciuto Davide, un facoltoso e splendido commercialista. Nonostante fosse evidente che avesse almeno dieci anni in più di me, questo non è servito a fermare le mie fantasticherie. È stato sufficiente infatti, guardarlo negli occhi per innamorarmene all'istante. Era un angelo biondo dagli occhi azzurri e dal fisico prestante e di certo non passava inosservato. All'inizio fu davvero difficile per me lavorare a stretto contatto con lui. Diventavo rossa ogni volta che mi rivolgeva la parola e balbettavo quando dovevo rispondere a qualche sua domanda. Era davvero imbarazzante e la situazione stava diventando insostenibile, sia perché non riuscivo più a gestire i miei battiti impazziti, sia perché lui si era accorto di tutto e non faceva altro che stuzzicarmi e provocarmi. Anzi, a dire il vero, si divertiva proprio a torturarmi e a giocare con la mia timidezza. Fino a quando un bel giorno, mi convocò nel suo ufficio.
«Buongiorno Signor Ferron, cosa posso fare per lei?». Chiesi con il solito imbarazzo.
«Ciao Silvia. Vieni qui» mi disse, facendomi segno di avvicinarmi alla sua scrivania.
Con passo incerto, giunsi accanto alla sedia dove lui era comodamente adagiato.
«Devi aggiornare la mia lista di appuntamenti» mi informò. «Qui ci sono tutte le indicazioni» continuò, indicandomi un piccolo foglio dove c'erano trascritti dei nomi e degli orari.
Io mi abbassai per prendere la nota e fu allora che percepii il suo fiato leggero sul mio collo.
«Che profumo usi?». Mi domandò, cogliendomi di sorpresa.
«Ehm, io... io non uso sempre la stessa fragranza» balbettai, in totale imbarazzo.
«Ah, capisco. Comunque è a dir poco divino quello che hai messo oggi» mormorò, rendendo le mie guance vermiglie.
«Prima che tu te ne vada, mi servono alcune fotocopie. Puoi farle qui» disse ancora, gesticolando verso la fotocopiatrice.
Cercando di acquisire nuovamente la mia compostezza perduta, presi i documenti che lui mi porse e cominciai a fare le copie che mi aveva richiesto. Dopo qualche secondo, sentii la sua presenza dietro di me, mi voltai e in una frazione di secondo, mi ritrovai intrappolata al muro. Il suo corpo premeva contro il mio e le sue mani erano appoggiate accanto alla mia testa. Lo guardai sconvolta, ma non ebbi il tempo di dire qualcosa, perché lui mi tappò la bocca con un bacio travolgente. Non so ancora come feci, ma riuscii a sopravvivere a quell'assalto e da allora, io e Davide, diventammo inseparabili. La nostra storia d'amore è stata intensa e passionale. Ci amavamo molto e non potevamo fare a meno l'uno dell'altra. Negli ultimi tempi avevamo anche iniziato a far progetti sul futuro, parlando di matrimonio e sognando di diventare un giorno genitori. Era tutto perfetto, fino a quando una maledetta malformazione congenita lo ha portato via da me e dal mio amore incondizionato, rubando la mia stessa vita.
I primi mesi sono stati devastanti, non riuscivo ad alzarmi dal letto e mia madre addirittura mi imboccava pur di farmi mangiare qualcosa, ma ad un certo punto, per ovvie ragioni, sono stata costretta a riprendere il mio lavoro. Non potevo rimanere a casa per sempre e inoltre le bollette da pagare non attendevano di certo i miei comodi. Quindi la mattina mi svegliavo, andavo in ufficio e prima di rientrare a casa passavo a portare un fiore sulla tomba di Davide e su quella di mio padre. Era uno schema ben preciso, che seguivo minuziosamente e che cambiava solo durante il fine settimana, quando finalmente potevo passare ore e ore a piangere e a dar sfogo alla mia rabbia e al mio dolore. Ma dopo la conversazione che avevo avuto con mia madre e forse anche spronata dalle sue parole e dal suo stato d'animo, dovevo necessariamente fare un ulteriore sforzo, dovevo cercare di acquietare almeno un po' la mia angoscia, dovevo assolutamente ricominciare a vivere.Tutti i diritti riservati.
© Filely
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Oltre le nuvole e il cielo
RomanceSilvia è una giovane donna, distrutta dalla perdita prematura della persona che amava. Giorno dopo giorno, lacerata dal dolore, vive la sua vita nel solo ricordo di lui, fino a quando al cimitero, dove si reca tutti i giorni, incontra Noah, un uomo...