Il libero e il prigioniero

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Bill

Erano passati otto anni, da quel giorno in cui si era liberato dallo specchio; otto meravigliosi anni in cui aveva assaporato la vera vita. Amici, viaggi durante le ferie, un lavoro che tutto sommato gli piaceva e che gli permetteva di abitare in un bell'appartamento in Kurfunstenstrasse, in una bella zona di Berlino. Dal giorno della sua liberazione, nessuno si era accorto dello scambio che aveva fatto con Tom, il ragazzo da cui aveva preso le sembianze, nonostante avesse fatto un repentino cambio di look (e per questo aveva dovuto ringraziare la facilità con cui i ragazzi terrestri cambiavano le mode). Avrebbe mentito, se avesse detto che non provava alcun rimorso per quello che aveva, perché Tom gli piaceva molto e gli era simpatico, ma probabilmente non avrebbe intrapreso un'altra strada se fosse tornato indietro. La risposta a tutto la teneva nascosta nel suo cuore.

Erano le otto e mezza del mattino quando iniziò a prepararsi per andare al lavoro, cambiando i pantaloni del pigiama con un paio di jeans grigi aderenti nei punti giusti, e la calda felpa nera con una canotta grigia e una maglia retata sopra. Una sistemata ai capelli, che di recente erano stati portati al biondo naturale (oltre ad essere stati tagliati corti), e l'unica cosa che mancava al suo outfit erano gli accessori e la giacca di pelle. Finalmente era pronto per uscire e affrontare l'aria rinfrescata di Settembre.

Si riteneva fortunato ad aver trovato lavoro presso un'agenzia grafica, perché gli permetteva di esprimere la propria fantasia senza limiti; per non parlare di alcune sue colleghe che, nonostante fossero fidanzate, gli lanciavano sempre sguardi sensuali e provocatori. Di solito le giornate passavano così, lentamente o velocemente a seconda del lavoro che c'era da fare, e a volte il cellulare riceveva qualche messaggio da amici di vecchia data che gli chiedevano di uscire. Era bella la libertà.

Tom

Erano passati otto anni ormai, da quel maledetto giorno in cui quello che poteva considerare il suo migliore amico lo aveva tradito e imprigionato in quel mondo di silenzio. Pensava che sarebbe morto, quando aveva visto Bill rompere la superficie dello specchio (quel maledetto specchio) che li aveva fatti incontrare, e invece si era ritrovato vivo e vegeto in quell'oscura dimensione. Era prigioniero. All'inizio si era lasciato prendere dalla disperazione, e aveva lasciato che molte lacrime gli solcassero il viso nel tentativo di scacciar via la paura. Quando anche quelle terminarono, dopo chissà quanto tempo, erano rimasti solo l'odio e il desiderio di vendetta (gli unici due sentimenti che gli avevano permesso di andare avanti). L'unica nota positiva era l'aver scoperto di aver preso il controllo di quel posto, e aveva cercato fin da subito di renderlo il più possibile somigliante alla sua vera casa: la sua camera, sua madre che ogni tanto gli dava il tormento, e la città fuori dall'appartamento sebbene le persone che vi camminavano si ripetevano insistentemente. Niente cambiava in quei volti che vedeva ogni giorno, poiché la sua mente non ricordava abbastanza da poter creare un numero di fantasmi sufficienti da evitare di farlo annoiare; anche sua madre non avrebbe mai potuto mostrare gli anni che in realtà avrebbe dovuto avere. Lui era l'unico ad essere cresciuto, nello stesso modo in cui si era visto nella visione che gli aveva mostrato Bill anni prima, ed era così che lui voleva perché, se solo lo avesse desiderato, avrebbe potuto restare adolescente e vivere in eterno. Una prospettiva che si preferisce evitare quando si è costretti a vivere in una condizione indesiderata, e allora si preferisce aspettare la morte. Le sue giornate non si diversificavano molto le une dalle altre: dopo essersi alzato dal ricordo del suo letto, si vestiva con gli abiti che faceva magicamente apparire dentro all'armadio e "usciva" in città portando a spasso il cane Seth (il suo animale, non l'orrenda bestia di Bill). Era uno dei piccoli accorgimenti che si era creato per non impazzire nella solitudine, come lo erano la palestra e la sala giochi, tuttavia l'opera che, secondo lui, gli era riuscita meglio era la piccola figura esile seduta su una panchina in ferro verniciata di rosso: Bill, o meglio la sua copia, che Tom chiamava affettuosamente Billy o B.

"Ciao!" lo salutò il ragazzino con gli occhi che gli luccicavano. Sebbene fosse anch'egli una creazione di Tom gli era stato permesso, dal suo stesso creatore, di avere una coscienza e di sviluppare una propria personalità.

"Ciao" rispose di rimando Tom, gli faceva sempre uno strano effetto parlare con la copia di chi lo aveva tradito ma per come lo aveva creato non avrebbe avuto problemi.

"Ancora quel muso lungo? Dai è una bellissima giornata, non c'è bisogno di essere tristi" gli disse Bill sganciando un pugno leggero sul braccio di Tom, come faceva ogni volta che lo vedeva triste.

"Sì, è una bella giornata. Vuoi fare una passeggiata con me?" domandò Tom, certo di conoscere già la risposta

"CERTO!" esclamò Bill facendo anche un piccolo saltello, e con i grandi occhi nocciola che gli brillavano per la felicità.

NOTA AUTRICE: Non ci credo, l'ho fatto davvero. Sono riuscita a tirar fuori l'idea per il sequel di una ff che, sinceramente, non pensavo nemmeno potesse avere un minimo di successo. Scusate per la brevità del capitolo, ma dal prossimo in poi le cose andranno molto più per le lunghe per quanto riguarda il testo (non la pubblicazione). Spero con questo di far felice qualcuno di voi lettori, una sicuramente. Con questo vi lascio. Buona lettura.


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