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Cara Karina,

mi manchi, e non posso farci niente.
Non posso impedire di far mancare il tuo corpo, al mio.

Mi manca quando ti sfioravo a malapena e la tua pelle si riempiva di brividi. Perché sappiamo entrambi, che i brividi non vengono con il freddo. Ma con la tua pelle, calda, contro la mia.

I brividi vengono se solo ti penso, se solo penso a tutte le cose che avrei voluto farti, ma che non ho fatto perché non ne abbiamo avuto il tempo. Perché la nostra storia è corsa via, è passata senza nemmeno salutare. Non ci ha dato la possibilità di amarci e goderci in pieno.

Con il senno di poi ho capito che non era destinata a durare, la nostra storia.

Pensandoci, quante ne ho fatte? Quante volte ti ho fatto provare quel dolore lancinante al petto?
Ma la cosa interessante è che tu mi hai sempre perdonato, me le hai perdonate sempre tutte. A volte in un paio d'ore, altre, quelle più pesanti, ci mettevo giorno a farmi perdonare.

Dicevi che avevi bisogno di spazio per pensare, che poi io di spazio non te ne ho dato mai.

Ricordo quella sera, agli inizi, avevi scoperto che mi vedevo con un'altra. Ed era vero. Lo facevo perché avevo paura che la nostra, fosse poi diventata una cosa seria. Ed io avevo paura delle cose serie, avevo paura di prendermi delle responsabilità, all'epoca.

Ricordo che non volevi più ne sentirmi, ne vedermi. Dicevi che non avremmo mai funzionato, e in un certo senso era, ed è, così.

Non funzioniamo. Non funzioniamo perché c'è troppa identicità di carattere.
Ma sai, questo non lo avrei mai accettato, e mai lo accetterò. Anche se non avevo mai amato una persona così, come ho amato te, così profondamente da far quasi uscire il cuore fuori dal petto, credevo che le anime che si somigliano sono destinate ad incontrarsi e a stare insieme. È sempre stata la mia teoria.

Ed io, prima di aver incontrato te, non volevo aver a che fare con la mia 'anima gemella'.

La sensazione di averti già persa, mi tormentava. Avevo quella vocina in testa che diceva che non dovevo lasciarti andare così, non doveva ancora finire. Ma finire che cosa, se ancora non era iniziato niente?

Quella voce non mi lasciava pace, e quindi decisi di venire sotto casa tua.

Tu non volli scendere, mi lasciati lì, sotto casa tua, senza provare un minimo di pietà.

Eri, e sei, una ragazza molto, forse troppo, orgogliosa. Quando sei arrabbiata non vuoi sapere di niente e di nessuno. E quella sera eri proprio incazzata nera con me.

Dicevi che non avevi mai permesso a nessuno di mancarti di rispetto, tanto meno a me. Un lurido ipocrita bastardo. Così mi chiamasti quel giorno, e mi ci sentivo a pieno.

Sono sempre stato affascinato dalla tua forza d'animo.
È una delle cose che mi è sempre piaciuta di te. Una delle cose che mi ha colpito dall'inizio.

Nonostante tu sembra una ragazza ingenua, una di quelle ragazze che preferiscono stare da sole, timide e asociali. Dentro sei una vera forza della natura, perennemente mestruata e stronza. Ma allo stesso tempo, se la persona più buona che io abbia mai conosciuto.

Eri un fottuto caos, il caos che avrebbe scombussolato la mia vita, reso me dipendente da tutto quello che sarebbe accaduto.

Hai sempre creduto che io sarei diventata una persona degna di tutto l'amore che il monda possa offrirgli.

Io non so davvero dove tu abbia visto tutto questo, dentro di me. So solo che se tu mi avresti chiesto la Luna, io te l'avrei portata senza alcuna esitazione. Avrei fatto di tutto per te, di tutto.

Quella sera, rimasi tutta la notte sotto casa tua. La mattina seguente saresti dovuta andare a scuola, quindi prima o poi saresti dovuta scendere.

Non avresti mai rinunciato ad un giorno di scuola a causa mia. Quell'anno avresti dovuto fare l'esame di maturità, e avevi promesso a te stessa di non perdere nemmeno un giorno, a meno che non sarebbe stato strettamente necessario.

Ricordo che mi svegliasti tu, su quella panchina dove ero ancora addormentato, con un bicchiere d'acqua gelida, e mi dicesti:<Sei fortunato che io abbia usato solo un bicchiere, adesso vattene. Hai fatto preoccupare mi madre e in più già non piaci a mio padre, e, la prossima volta, almeno portati da mangiare.>

Rimasi spiazzato dalle tue parole, non seppi replicare per alcuni secondi. Poi, analizzando parola per parola, dissi:<Hai parlato di "prossima volta", come sai che ce ne sarà un'altra?>

Cercasti, invanamente, di nascondere un sorristo, roteasti gli a occhi e dicesti:<Ti conosco da poco, ma abbastanza per dire che lo rifarai.>

Non risposi, ero troppo impegnato a guardar danzare le tue labbra carnose e pitturate di un bordeaux chiaro, che avrei voluto togliere con tanti di quei baci.

Fu così, per le tre sere successive, feci la stessa cosa, e tu mi svegliasti allo stesso modo. Finché, la terza mattina, invece di sentire quell'acqua gelida bagnarmi il viso, sentii le tue labbra sulle mie, la tua lingua che si faceva spazio nella mia bocca, quello che provai quel giorno, assaporando le tue labbra, non lo avevo ancora provato con nessuno.

Sono rimasto dell'idea che quello e stato il miglior risveglio della mia vita, finalmente tranquillo, rilassato, dopo quei lunghi gironi con l'ansia che non mi avresti perdonato più.

È stato il nostro primo bacio, quello che mi sono goduto di più, il primo di una lunga serie.

Non ricordo quale è stato il nostro ultimo bacio, so solo che se avessi saputo sarebbe stato l'ultimo, lo avrei vissuto esattamente come il primo.

La lettera che non riceverai maiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora