2011
Austin aveva sempre avuto il timore della pioggia. Fin da piccolo, Damian lo aveva confortato, stringendolo fra le sue braccia e lui si sentiva al sicuro. Niente poteva fargli del male quando sapeva che lui era lì.
Ma Damian non c'era. Damian era via e chissà che fine gli aveva riservato il destino.
Un giorno di pioggia la madre, senza dargli nessuna spiegazione al riguardo, lo portò al mare.
Faceva così tanto freddo che Austin tremava, coperto solo da un misero cappottino tutto rattoppato.
Sua madre gli faceva paura, era strana: i suoi occhi erano gonfi e rossi, la sua pelle vitrea e il suo viso contratto in una smorfia maligna.
«Mamma, mamma, dove mi stai portando?» domandò mentre guardava davanti a sé, non voleva rischiare di cadere. Non udendo una risposta, però, continuò a lamentarsi. «Mi fai male, vai più piano, ti prego» esclamò piagnucolando mentre la madre stringeva ancora di più il suo polso, lasciandogli segni rossastri.
«Zitto e muoviti!» contestò lei, fulminandolo con lo sguardo e ignorando le pretese del figlio. Continuò a camminare, senza più voltarsi per guardarlo negli occhi.
La tempesta sfregiava il cielo con i suoi lampi spaventosi e l'acqua scendeva imperterrita, bagnando il piccolo corpicino.
Pensò di urlare a squarciagola ma cacciò immediatamente l'idea dalla testa: non vi era nessuno nemmeno nelle giornate più assolate, figuriamoci nel bel mezzo di quella spaventosa bufera.
Decise di aspettare e vedere come si sarebbe evoluta la situazione; nonostante fosse impaurito, non gli rimaneva altra scelta. Nessuna via di fuga.
Maledisse ancora una volta Dio e il fratello. Entrambi lo avevano abbandonato alla mercé di una madre mentalmente instabile e sprovvista di senso materno.
Giunsero finalmente in riva al mare e naturalmente non vi era nessuno. Rosalie allentò la presa dal polso del figlio, senza però lasciarlo.
Stava in silenzio, non lo guardava neanche, non lo rendeva partecipe delle sue azioni.
Entrò in acqua, con al seguito il bambino che aveva smesso di dimenarsi e dai suoi bellissimi occhi, un tempo pieni di vita, uscirono goccioloni di lacrime, che, silenziose, si posarono sulle sue guancette paffute.
Arrivarono a un punto in cui il mare copriva il busto del piccolo.
Rosalie si voltò di scatto verso il figlioletto e, rivelando tutto la frustrazione di anni malaugurati, mormorò quasi fra sé «Perdonami, Austin.»
Prima ancora che Austin comprendesse appieno le sue intenzioni, le ossute mani della madre strinsero il suo esile collo con decisione.
Voleva ucciderlo, voleva liberarsene per porre rimedio alle sue sofferenze: Damian se n'era andato due anni prima e, dopo aver ucciso il più piccolo, sarebbe stata libera dai suoi demoni, i demoni che aveva messo al mondo, che aveva nutrito col suo latte, che aveva vestito, lavato, accudito. I demoni di adesso erano i suoi figli.
La mente di Rosalie era oppressa da questi pensieri malati. Senza un eccessivo sforzo, riuscì a immergere la testa del piccolo sott'acqua: Austin si dimenava appena, sembrava quasi accettare quell'infausto destino.
Il piccolo vide una luce bianca, poi riflessi di mille colori: non capiva, stava morendo?
Qualcuno aveva avuto pietà decidendo di non farlo più soffrire?
Vedeva le lacrime della madre che scendevano dal suo viso. Quasi di riflesso, allungò una mano pulendo le lacrime della madre.
Poi, il buio.
"Dottore, dottore, si è svegliato, si è svegliato!"
Furono le prime parole che percepì aprendo gli occhi; la vista era annebbiata, la luce era fastidiosa, bruciandogli gli occhi.
"Sono morto?" pensò d'istinto la piccola creatura, ancora in stato confusionale. "È questo il paradiso e lei è un angelo?" voltando leggermente il collo indolenzito verso di lei.
Ma il forte odore del disinfettante gli fece capire che si trovava nel letto di una stanza d'ospedale.
Dopo qualche secondo, un uomo si avvicinò al capezzale, osservandolo con espressione pietosa; Austin si agitò immediatamente nel vederlo e si dimenò per quello che le poche forze rimaste gli permisero. Era così simile a loro... agli orchi cattivi travestiti da Babbo Natale.
Gli fecero una visita di controllo, accertandosi de suo stato di salute, dopo di che aggiunsero un medicinale alla sua flebo e lo lasciarono solo; non ci mise molto tempo a sprofondare nuovamente nel sonno. Solo così riusciva a tenere a bada il dolore. Sì, fisico, ma soprattutto mentale. La ragazza, rivelatasi poi un'infermiera, entrò nella camera solo per distribuire i pasti ma, vedendolo riposare, decise di non disturbarlo: avrebbe avuto tempo per mangiare.
Il giorno dopo gli raccontarono ogni particolare, partendo dal principio.
Parlarono di come un pescatore, dopo aver visto una donna cercar di uccidere un bambino, avesse chiamato immediatamente la polizia e l'ambulanza.
Dopo aver chiuso, si era precipitato in aiuto del piccolo, allontanando con uno spintone la madre sciagurata che non aveva opposto resistenza. Aveva estratto il ragazzino dall'acqua e lo aveva portato a riva; vedendo che non respirava più gli aveva praticato prima un massaggio cardiaco e successivamente una respirazione bocca a bocca, al fine di fargli sputare la moltitudine d'acqua presente nei polmoni.
Gli dissero anche di come si fosse salvato per miracolo, rimanendo in coma per due settimane e di come avessero fatto una scoperta sconvolgente: la madre, ormai da tempo, soffriva di disturbi della psiche e in un attimo di pazzia aveva tentato di ucciderlo.
In quel momento si trovava in un centro psichiatrico.
Due settimane dopo il ricovero gli diedero una brutta notizia. Rosalie si era tolta la vita, ingurgitando più pasticche di quanto il suo corpo riuscisse a sopportare.
E in quel momento capì di essere realmente solo.
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Close Your Eyes
General FictionEra buio, il pavimento freddo e umido, la porta dipinta di rossa mi guardava, udiva e dava ascolto alle mie sofferenze. Il mio viso venne alzato aggressivamente mentre scrutavo la bianca barba di cui tanto avevo paura. Le sue urla e il suo corpo si...