Capitolo 5 - Tutto al suo posto

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Entrò dentro quell'appartamento con al seguito tutti gli altri agenti: si erano affrettati poiché percepirono dalla voce di chi li aveva telefonati che qualcosa di brutto era successo.

Quando mise piede dentro la dimora, il poliziotto capì tutto. Capì perché la voce della persona che li aveva contattati era nervosa e spaventata. Appena giunto, comprese il motivo di quella folla.

Si avvicinò al gruppetto che si era messo davanti alla porta spalancata del bagno.

Si fece largo in mezzo a tutta quella gente e quando poté vedere cosa c'era dentro la stanza, spalancò gli occhi.

«Ok, ok, adesso dovete uscire tutti da questa casa» ordinò con voce ferma ai presenti che, seguendo gli ordini, si allontanarono mormorando esclamazioni e lamentandosi per la scortesia.

«Ragazzi, adesso tocca a noi» asserì entrando in bagno. Si avvicinò per osservare meglio il corpo che giaceva esanime dentro la piccola vasca, una volta di marmo bianco, adesso macchiata di rosso.

Era un agente in servizio da anni ormai, aveva moglie e figli, e vedere un ragazzo che aveva più o meno l'età del suo secondogenito lo fece intenerire non poco.

Si interrogò sul motivo che potesse aver spinto il giovane a prendere una decisione così drastica e si sentì mancare per un attimo: se avesse potuto, avrebbe tanto voluto aiutarlo.

Insieme all'aiuto di altri agenti tirò fuori il corpo e lo coprì con la sacca.

«Capo, ho trovato questo foglio» lo informò uno degli agenti, che si precipitò al cospetto del suo superiore sventolando in alto un foglio di carta.

«Ci penso io, a questo» ribatté il poliziotto, afferrando velocemente il foglietto e mettendolo in tasca.

Dopo di che, chiamò la scientifica che arrivò sul posto un'ora dopo.

Confermarono l'avvenuto decesso e deposero il cadavere in una sacca nera, portandolo poi nell'obitorio per prepararlo al funerale che si sarebbe tenuto da lì a poco.

Nonostante i tanti anni di servizio, il poliziotto rimane lo stesso turbato dalla vista di quel ragazzo, che da li a poco sarebbe comparso sulla tv e i giornali locali. Per quanto volesse dimenticare l'accaduto, non vi riuscì e decise di leggere la lettera di addio per capire quali fossero i moventi del suicidio.

Aprì il foglietto e iniziò a leggere con interesse; gli occhi scorrevano veloci su quelle parole tanto amare quanto vere, ne assaporò ogni singola sillaba, parola dopo parola.

Terminata la lettura una sensazione di vuoto dentro lo pervase. Quasi d'istinto, accese il PC per cominciare a ricercare quel fratello menzionato nella lettera.

Se aveva capito bene, il fratello era ancora vivo, ma non aveva fatto nessun nome. Aveva preso a cuore il ragazzo e gli dispiaceva per lui. Se il fratello era stato così importante per lui ed era ancora vivo, aveva il diritto di sapere della sua morte. Sarebbe stato molto difficile risalire a lui, ma doveva farcela.

~ ~ ~

1 mese dopo

Damian uscì fuori dall'appartamento per ritirare la posta. Era giovedì e il giorno prima aveva nevicato, dunque per raggiungere il portalettere fece non poca fatica visto il metro di neve che ostacolava il suo cammino.

Era esausto. Suo figlio Thomas aveva solo tre anni e, avendo pianto tutta la notte, non gli aveva permesso di riposare serenamente.

Prese le lettere, senza prestare attenzione al mittente e, una volta rientrato a casa, le poggiò con noncuranza sul mobiletto del salone.

Fu proprio il piccolo Thomas, incuriosito dalla busta bianca, che lo prese tra le sue mani, per poi dandolo al padre.

Damian fece un'espressione stupita e prese la busta che il figlio gli stava porgendo dolcemente. Quel bambino gli ricordava tanto il suo fratellino... Gli mancava molto ma non aveva mai voluto parlarne a nessuno. Si era creato una nuova vita e non voleva che eventi passati la sconvolgessero.

Il mittente era un certo agente Collins; la polizia? Cos'era successo per ricevere una lettera dalla polizia?

Si sedette sul divano e iniziò a leggere, con il cuore gli balzava sul petto.

"Egregio signor Wilson,

Questa è una missiva inviatale per informarla di una tragica notizia:

Suo fratello Austin, ormai da un mese, ha perso la vita.

Mi dispiace essere così diretto nell'informarla di un argomento tanto delicato e mi rammarico per non averle potuto scrivere prima, purtroppo rintracciarla è stato davvero difficile per svariate motivazioni, tra cui il cambio di cognome che lei ha deciso di fare anni prima.

Le porgo le mie più sentite condoglianze.

In allegato troverà la lettera che suo fratello Austin ha stilato prima di togliersi la vita, mi sembrava giusto che fosse lei a tenerla, in suo ricordo.

Per maggiori informazioni riguardanti la sepoltura, le allego anche l'indirizzo del cimitero.

I miei cordiali saluti,
agente Collins."

Damian lesse quelle poche righe e nel suo volto un'espressione di incredulità si manifestò.

"Morto?" pensò "Mio fratello è morto?"

"Impossibile, sarà uno scherzo di qualche ragazzino burlone" disse tra sé scuotendo il capo, incapace di assimilare la notizia.

Continuava a ripetersi questa frase, ma appena cominciò a leggere l'altra lettera, capì che era la verità. Già dalle prime righe i suoi occhi si arrossarono e le lacrime iniziarono a scendere. Non riuscì a terminare la lettera, tanta era la sofferenza che provava in quel momento.

Si alzò di botto esclamando in preda alla disperazione: «Dannazione!»

Tirò una serie di pugni al muro che gli spaccarono le nocche e si accasciò per terra, con la schiena sul muro.

Si sentiva in colpa, il suo piccolo guerriero era morto per colpa sua.

Si maledisse per essere stato un vile. Lo aveva abbandonato ai soprusi materni, aveva permesso che tutto il male che lui sveva subito toccasse anche il fratellino. Pensò di essere un codardo. E lo era davvero.

"Perché non l'ho portato via con me quando potevo? Perché non ho denunciato quella donna, prendendomi io la responsabilità? Perché sono fuggito come un codardo e non ho dato la possibilità a quell'anima innocente di vivere una vita felice? Perché?" Questi erano i mille interrogativi che adesso Damian si poneva. Domande che non potevano avere alcuna risposta, se non una: perché era stato un egoista.

Tuttavia, tutti quegli interrogativi non avevano più senso, adesso, avrebbe dovuto riflettere e agire quando ne aveva l'occasione. Austin era morto e niente, né il pentimento, né lo struggimento o la pietà, potevano porvi rimedio.

Ormai non c'era più, era scomparso.

«Papo, papo, papo, perché piangi?» gli chiese Thomas, in preda alla paura.

Suo figlio era stato tutto il tempo accanto a lui, e ora lo guardava con occhi un po' spaventati ma curiosi.

«N-nulla tesoro, non preoccuparti, d-davvero» rispose Damian, cercando di ricomporsi come meglio poté.

Il figlio non gli diede nemmeno il tempo di terminare la frase, che subito gli si gettò tra le braccia abbracciandolo forte e dandogli bacetti in tutta la faccia arrossata.

«Perché stai male?»

Damian non rispose, ma sorrise al figlioletto, stringendolo a sua volta mentre si faceva accarezzare la testa.

«Ti sei fatto la bua? Se vuoi ti do tanti bacini così passa tutto» ribadì innocentemente il piccolo, che ancora lo guardava stupito.

Damian ricambiò lo sguardo con dolcezza e gli accarezzò dolcemente il visino smarrito.

«No, non mi fa male nulla, sono solo triste perché oggi ho scoperto che in paradiso è arrivato un nuovo angelo.»

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