2 - Ritorno a Whitmore Hall - versione aggiornata

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La nostra auto a noleggio si ferma dinnanzi un imponente cancello di ferro battuto incassato in un muro di pietra candida sul quale grossi viticci di glicine hanno intrecciato, con gli anni, una danza di color violetto lungo tutto il perimetro che corre a perdita d'occhio su entrambi i lati del confine della proprietà.

Tra le strette fessure della cancellata in stile liberty riesco ad intravedere un viale di ghiaia bianca che si inerpicava su di una morbida collina, in cima alla quale immagino si trovi la tenuta di famiglia dei Whitmore, "La mia famiglia" penso con un brivido di emozione misto a paura, la stessa famiglia con cui l'altera donna seduta accanto a me ha deciso, mio malgrado, di tagliare ogni rapporto dopo la morte di papà.

Mia madre tira giù il finestrino elettrico e, sporgendosi fuori dall'abitacolo, digita con rapidità sorprendente un codice di 5 cifre su di una piccola tastiera nascosta dietro una colonnina color fumo. Al suono elettrico che ne segue, il pesante cancello comincia ad aprirsi lentamente.

"Ci siamo!" penso sentendo all'improvviso un'ansia crescente stringermi la gola. Non credevo che ritornare nei luoghi dove avevo vissuto i primi anni della mia vita potesse scuotermi tanto. In realtà non ho mai avuto ricordi di questo posto, se no frammenti confusi simili a brandelli di sogno che di tanto in tanto, negli ultimi tempi, si sono riaffacciati alla mente come flash improvvisi. Visioni confuse e annebbiate di un passato che non ricordo, o che almeno non so di ricordare. Volti, profumi e luoghi sconosciuti che però hanno un non so che di famigliare ed inquietante. Mi strofino le mani sudate sulla stoffa dei jeans scoloriti. Mia madre non mi guarda ma sembra intuire cosa mi stia passando per la mente; senza voltarsi allunga una mano sfiorandomi appena il polso con la punta delle dita, e quel tocco lieve, seppur rapido e fugace, riesce immediatamente a farmi sentire meno agitata.

La macchina prende a muoversi e lentamente risaliamo la collina. Già da questi pochi metri si intuisce che il parco che circonda la tenuta deve essere immenso, oltre che bellissimo. Un perfetto prato all'inglese dal verde lussureggiante si apre a ventaglio intorno a noi. Sulla mia destra riconosco una quercia dall'arbusto ampio e possente i cui folti rami, ripiegandosi verso il basso, creano un cappello denso di foglie verde scuro dai riflessi ambrati. Tutto intorno aceri dai tronchi longilinei e le cortecce argentee arrivano con le loro folte fronde ad accarezzare il cielo turchese mentre un fruscio di foglie mosse dal vento fa da colonna sonora a questo angolo di paradiso. Alla nostra sinistra l'altura scivola leggera degradando tra magnolie e betulle, mentre in lontananza, tra l'intrigo di sempreverde perfettamente potati, mi sembra di scorgere il baluginio argenteo di uno specchio d'acqua. All'improvviso, come in un libro di fiabe, fa la sua magica apparizione Whitmore Hall ergendosi fiera e magnifica come un castello fatato. Resto senza fiato. Sapevo che mio padre era stato l'erede di una famiglia di nobili e ricchi migranti inglesi, rispettati allevatori di cavalli di razza oltre che fortunati coltivatori di seta e tabacco, ma mai prima d'ora avevo davvero riflettuto sul fatto che questo lo avesse portato inevitabilmente a vivere una vita di lusso ed agi d'altri tempi che per una semplice ragazza di città come me erano a dir poco inimmaginabili. Questa principesca dimora dove era vissuto da ragazzo, e dove anche io ora sarei stata costretta a vivere, era stata costruita più di un secolo prima dal suo trisavolo giunto dal vecchio continente con la precisa intensione di fare di questi luoghi un perfetto avamposto britannico.

La villa, in perfetto stile coloniale, emerge come una visione in cima alla collina, ed è forse proprio questa posizione a renderla se possibile, ancora più maestosa ed imponente. Mi basta uno sguardo per capire che perfino la Casa Bianca impallidirebbe dinnanzi un'opera simile. Un lungo portico delimitato da alte colonne ne sottolinea l'aspetto austero tipico del sud, accentuato dall'altezzoso ingresso in stile francese realizzato in legno grezzo finemente intarsiato. Costruita su pianta rettangolare, l'edificio si sviluppa su due piani, e a giudicare dalla quantità di finestre non è difficile immaginare che il numero di stanze sia davvero impressionante. Il nostro pick-up si ferma nello slargo ovoidale dinnanzi all'ingresso principale della casa. Una piccola fontana in stile italiano primi del 700 gorgheggiando timidamente ci dà il suo benvenuto. Qualcosa mi dice che non si tratta di una fedele riproduzione, bensì di una opera originale trasportata fin qui da qualche dimora fiorentina. Scendo dall'auto frastornata da tanta bellezza e solo in questo momento mi accorgo che alla mia destra, in posizione immediatamente sottostante, fa bella mostra di se una scenografica piscina a sfioro circondata da un giardino all'inglese puntellato da palme nane e arricchito da un delizioso gazebo bianco sotto il quale riesco ad intravedere un barbecue in muratura e un tavolo in pietra provenzale. Chiunque sia stato l'architetto che ha curato la realizzazione di questo posto, devo ammettere che sa davvero il fatto suo. Mi schiarisco la voce cercando di raccogliere le idee. Per quasi tutta la mia vita ho vissuto in un delizioso appartamento di appena 90 metri quadri a False Creek, uno dei quartieri più belli e caratteristici di Vancouver, e onestamente ho sempre creduto di essere molto fortunata per questo. Ma nemmeno nei miei sogni più arditi avrei potuto immaginare di finire a vivere nella tenuta gemella di Tara, con tanto di immenso parco botanico e piscina hollywoodiana a disposizione. Sento la fronte imperlarsi di sudore e non so se è il caldo per me a dir poco soffocante, o l'agitazione a farmi stare così.

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