Il suono della paura

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Mosca

19 Gennaio 1534


Elena guardava fuori dalla finestra della fortezza. L'acqua del Moscova era una parete di cristallo, uno specchio che rifletteva il profilo scuro del Cremlino. Erano passati quaranta giorni dalla morte del Granduca, ma a lei parevano molti di più. La ragnatela dell'aristocrazia aveva già cominciato a stringersi e infittirsi. Riusciva ad avvertirne addirittura l'odore, quel misto di trepidazione e malcontento che caratterizzava ogni cambiamento in seno al governo del regno. Lei era la piccola mosca che, per errore, si era posata sulla convergenza di molte fila appiccicose; i ragni si avvicinavano.

Un pianto acuto distolse la sua attenzione dall'ipnotica lastra di ghiaccio. Esibì il miglior sorriso di cui era capace e andò a calmare Ivan: il piccolo era caduto e aveva battuto il ginocchio sul pavimento. Lo prese in braccio, si sedette sul grande letto a baldacchino e cominciò a sussurrare una ninna nanna. Lentamente, come il defluire del fiume dalle anse in estate, la voce di Ivan si affievolì e poi svanì nel dolce respiro del sonno. Elena pose suo figlio sotto le coperte e lo guardò per diversi minuti. 

Qualcuno bussò. 

« Al momento non sono reperibile. »

Rispondeva in quel modo da settimane, ormai. Anche se non lo dava a vedere, un terrore profondo si era annidato nel suo cuore. Terrore per ciò che avrebbe fatto, per ciò che avrebbe dovuto fare. Se aveva molti alleati nella piccola nobiltà, altrettanti nemici attendevano nell'ombra un suo passo falso, pronti a sbranarla. Cani randagi in cerca di ossa.

« Il fratello del Granduca è venuto a far visita, mia signora. Pensavo lo volesse sapere. » rispose un uomo dall'altro lato della porta. 

Elena non ricordava il nome del servo. Individuò velocemente la pelliccia bianca che solitamente indossava alle cerimonie e se la mise sulle spalle. 

« Che attenda un momento. Offritegli della voda. » 

Quando fu certa di essere nuovamente sola, si accomodò dinnanzi al grande specchio della camera. Stese un sottile velo di bianco sul volto e un leggero tocco di porpora sulle gote; pose la tiara d'oro sul capo con garbata accuratezza. Concluse il procedimento con uno spruzzo di acqua di rose sul collo e uno sul petto lievemente scoperto. Osservò quindi la sua immagine riflessa: non assomigliava più ad una donna impaurita e insicura. La parte difficile, ovviamente, consisteva nell'assecondare il camuffamento attraverso gli atteggiamenti.

Uscì dalla stanza da letto e si trovò faccia a faccia con Basilio. Rimase interdetta per un istante mentre incrociava l'occhio fisso e severo del dipinto a parete. Non disse nulla e trattenne le lacrime che minacciavano di rovinare il lavoro appena svolto sulla sua immagine. Doveva far spostare il quadro.

Percorse quindi il lungo corridoio dorato che portava dalla zona privata del palazzo alle sale di ricevimento. Due guardie dal volto spigoloso le aprirono la porta.

« Il Cremlino è davvero bellissimo, ma credo sia possibile espanderlo ancora con... »

Viktor Sujskij interruppe la frase a metà. Era seduto su una grande poltrona di velluto rosso e reggeva un bicchiere di vetro; indossava una pelliccia bruna dal pelo folto e un paio di stivali neri. Accanto a lui, visibilmente contrariato per la conclusione del discorso, stava un uomo magro e dalla lunga barba scura. Assomigliava molto a Basilio, ma aveva qualcosa di ferino. Ad Elena ricordò un giovane lupo intento a scrutare nella foresta buia.

« Elena, ti stavamo aspettando! Vieni, accomodati. » disse amabilmente Viktor.

"Accomodati". Loro erano gli ospiti. Non poteva prendere ordini da un aristocratico, specialmente se questi apparteneva alla nota famiglia Sujskij. Decise di rimanere in piedi più per sfida che per vera scelta. 

« Sono molto impegnata, ho solo pochi minuti. Viktor, a cosa devo la tua presenza? »

L'espressione unta e grassa del nobile si aprì in una chiara esibizione di stupore.

« Sono venuto a parlare con un paio di amici per decidere di alcune questioni. »

Un paio di amici. Alcune questioni. Quell'uomo era più viscido dei vermi che si trovavano nel fango dopo il disgelo.

« Poi ho incontrato il giovane Andrej, qui, e ho pensato di scambiare due chiacchiere. » concluse il paffuto Viktor, sorridendo all'altro.

« Bene, parlerai un'altra volta. » Elena si rivolse ad Andrej « Se vuole una zona più appartata per.. »

« No, qui andrà benissimo. »

Elena represse un moto d'ira. L'impassibilità era la sua arma migliore.

« Sono molto addolorato per la morte di mio fratello. Ho atteso il periodo di lutto per rispetto nei suoi confronti, ma ora ho premura di accertarmi che la sua eredità sia in buone mani. Sicuramente non quelle di una donna. »

« Il Granducato spetta ad Ivan. Io fungo solo da vicaria per il tempo necessario. Inoltre... »

« Ivan deve stare sotto l'ala protettrice della famiglia Vasil'evič. Ho deciso di propormi in qualità di tutore. »

« Ha deciso di proporsi? Non ha l'autorità per decidere una cosa del genere. Io sono la madre. Inoltre... »

« Non penso che una donna possa... »

« Inoltre! » il tono di voce salì di mezza tacca « Basilio ha decretato con un atto scritto che sia io a tenere le redini del regno finché Ivan non sarà pronto. »

Elena Glinskaja e Andrej Ivanovič si guardarono in cagnesco per diversi minuti. Viktor, che non aveva recepito l'ordine di andarsene, osservava la scena con genuino interesse, sorseggiando la sua voda.

« Spero vivamente che la Duma intervenga su questa faccenda, altrimenti vedo un futuro tetro per il regno. Se Ivan dovesse crescere alla mercé di una donna, diventerebbe un principe terribile. » disse scocciato Andrej, alzandosi dalla poltrona « Prendo congedo. Che il buon Dio ci protegga. »

Elena rimase immobile, seguendo i movimenti del fratello di Basilio. Quando la sottile figura scomparve oltre la soglia della grande sala, rivolse un saluto forzato a Viktor e si ritirò nuovamente nelle sue stanze. Era stato un incontro incredibilmente breve. Un lampo. 

Tolse il trucco dalla faccia e la pelliccia dalle spalle. Poi venne presa dal panico: la situazione era peggiore di quanto avesse immaginato. I suoi nemici si annidavano anche in seno alla famiglia, addirittura tra i parenti prossimi del suo defunto consorte. Quali e quante serpi le strisciavano tra i piedi, attendendo il momento in cui avrebbe scoperto la caviglia? Non poteva morire, non poteva lasciare i suoi figli in quel mondo di orrori e demoni.

Pressata dalla necessità di reagire, di fare qualcosa, Elena cominciò ad urlare e a piangere.

Il piccolo Ivan, svegliato dalle grida di sua madre, restò in silenzio ad ascoltare il suono della paura.








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