Ordine di morte

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Mosca

15 Settembre 1534


« Prendo atto della decisione di mio fratello, che ha guidato con forza e saggezza il regno. Tuttavia, considerate le sue discutibili capacità di giudizio in punto di morte, ritegno sia meglio abbandonare l'idea di mantenere al potere un infante e promuovere un capo di maggiore forza. » 

« Elena Vasil'evna Glinskaja, madre del bambino, è legittimata da Dio e dalle nostre regole a svolgere la funzione di vicaria. Questo è quanto. »

« Ne sono consapevole, santissimo Macario. Tuttavia, credo che una donna non possa ricoprire una carica di tale importanza senza combinare disastri. »

« Le famiglie del Granducato sono più adatte al governo! »

« Sicuramente non i Belskij! »

« Che tu possa sprofondare nel letame, villico! La tua famiglia fa da balia ai porci! »

« Signori, non è per questo che ci siamo riuniti... »

Elena era seduta, il capo leggermente chino e lo sguardo concentrato sulla punta degli stivali. Il salone della Duma, per quanto ampio, non riusciva a disperdere l'eco delle voci. Anzi, pareva addirittura amplificarle. Il brusio incessante le faceva dolere il cranio e pulsare le tempie. Insulti, rivendicazioni, bugie, scellerate proposte. Per quanto ne sapeva, quella riunione aveva il solo scopo di decidere quale famiglia di nobili avrebbe ottenuto la reggenza. A nessuno importava di lei o del piccolo Ivan. Molti dei presenti, probabilmente, nemmeno la consideravano come un essere umano.

Sollevò gli occhi per osservare il consiglio del Granducato. Erano in tanti, disposti sulle poltrone attorno all'esagerato tavolo d'oro e argento: Viktor, Nicolaji e Dimitrij, esponenti del ramo Sujskij; Igor e Boris, dei Belskij; Andrej e Jurij, fratelli di Basilio; Ivan Fëdorovič per gli Obolenskij e un'altra decina di cui non ricordava il nome. Si attaccavano ferocemente da qualche minuto, intenti unicamente a trovare il peggior difetto della famiglia rivale. Solo Macario, monaco e consigliere religioso dei Principi di Mosca, manteneva un tono moderato. 

Lei, in qualità di reggente, avrebbe dovuto guidare e dirigere quell'assemblea, eppure non riusciva a dire una parola. Le voci possenti, gracchianti o melliflue degli aristocratici del Granducato la facevano stare male, una male fisico. Doveva compiere un grande sforzo per continuare a respirare regolarmente. La calma le scivolava dalle dita.

« Possiamo tornare alla questione del trono? » irruppe Viktor con la solita flemma.

« Un ottimo suggerimento. » concordò Andrej, lo sguardo da lupo che saettava dovunque.

« Il trono dovrebbe andare ai Sujskij, ne sono convinto! »

« E per quale ragione? Gli Obolenskij sono perfettamente in grado di gestire il Granducato. Voglio ricordarti- »

« Ricordo anche che io e Jurij siamo figli del grande Ivan che ha costruito questo regno e questo posto! Il sangue dovrebbe essere l'elemento determinante! »

« I Belskij hanno un maggior numero di terreni e ricchezze! »

Elena si prese il capo fra le mani: le vertigini non se ne andavano e una strana sensazione di freddo aveva cominciato a risalirle la schiena. Nemmeno chiudere gli occhi serviva granché. Perché? Perché non riusciva a farsi sentire, a intervenire nella discussione? Possedeva un documento scritto da Basilio che indicava suo figlio come erede al trono di Mosca. Bastava quello. Era tutto a posto! Ma quei cani...i luridi, meschini, subdoli, avari randagi della cerchia aristocratica!

« Dovremmo prendere in custodia Ivan finché non avrà l'età coerente per la sua nomina. » biascicò il rinsecchito Igor.

« Istruirlo, agevolarlo! » confermò uno dei Sujskij, sorridendo.   

« Tenerlo al sicuro fino a quel momento. »

Tenerlo al sicuro. Quella frase rimbombò nella mente di Elena. Coperti dai palmi delle mani, i suoi occhi si persero nelle visioni ingannevoli dell'oscurità. Vide o immaginò Ivan mentre tentava in tutti i modi di divincolarsi dalla presa ferrea di fauci sbavanti; il bambino, spaventato a morte, urlava il suo nome e piangeva. Poi, come uno scherzo, Ivan si trasformò in una marionetta sorretta da fili di acciaio che facevano sanguinare braccia, gambe e collo. La marionetta si ruppe immediatamente, squarciata dalla volontà del suo controllore.

« NO! » urlò Elena.

Calò il silenzio. I volti dei nobili ruotarono all'unisono nella sua direzione. Uomini grassi, cadenti, squallidi, aggrappati alla ricchezza per evitare il baratro della commiserazione. Erano stupiti, come se una delle statue disposte lungo le pareti avesse improvvisamente preso vita.

« Ivan resterà sotto la protezione mia e del Cremlino. Qualunque cosa si decida, lui non verrà trasferito. »

Seguì un gran baccano.

« Taci, donna! » « Non spetta a te questa scelta! » « Le cagne dovrebbero stare al guinzaglio! » « Perché è qui? » « Saremo noi a decidere, come il buon Dio ha ordinato! » 

« Mia signora. » intervenne Viktor con un sorriso pieno « Questo consiglio si è riunito per correggere alcuni errori che sono stati commessi di recente. A noi tutti sta a cuore il benessere e la felicità di Ivan, ma ci spetta l'ingrato compito di assicurare un futuro al Granducato. »

Elena restò immobile ad osservare le sue parole perdersi in mezzo ad insulti, risa sguaiate e sbeffeggiamenti. Era calma in quel momento. Calma come non lo era mai stata prima. Perché, nell'accenno di follia che aveva cominciato a rodere le sue capacità di giudizio, aveva realizzato una cosa: Ivan non sarebbe mai stato al sicuro. Mai.

« Bene. Molto bene. » la sua voce tremava un poco, ma forse era per l'emozione « Convengo che la posizione di mio figlio, Ivan Vasil'evič, legittimo sovrano del Granducato di Mosca e principe di Russia, non è più assicurata dal consiglio dei nobili. Perciò, in qualità di vicaria e reggente... »

Lo doveva fare. Sì, non vi erano alternative. Gli altri regni della Russia avrebbero compreso la drastica situazione. Il popolo sarebbe stato dalla sua parte. Ivan doveva essere salvato. 

« Ordino l'immediata incarcerazione e decapitazione di tutti i membri della Duma! »            

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