Buone mani

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Mosca

3 Dicembre 1533


Sputò sangue e catarro. Nel petto, in fondo, c'era un male che lo stava uccidendo lentamente da una settimana. Sentiva i polmoni gonfiarsi di liquido. Quasi non muoveva più le braccia, mentre le gambe erano bloccate da tempo. Anche la vista, in qualche modo, sembrava meno nitida e piena di ombre surreali, nere chiazze sui colori naturali del suo palazzo. Inverno. L'inverno era la stagione della morte.

Gli occhi ruotarono per osservare le persone raccolte attorno al sontuoso capezzale: una donna, tre uomini e un bambino. Faticava a ricordare chi fossero e cosa volessero da lui. Ma, di tanto in tanto, chiamava il nome di Elena e la donna faceva un passo in avanti. Era preoccupata, la fronte corrugata e le labbra strette in una morsa carnosa. Lo sguardo di lei era così posato, serio. Basilio avrebbe potuto perdersi nell'immensità di quel volto delicato.

« Non ha più tempo. » disse uno degli uomini, vestito di bianco e dalla faccia seria. A Basilio non piaceva per niente.

« Ma se non parla nemmeno! » ribatté il vecchio in pelliccia appoggiato contro la parete « Come dovrebbe proclamare il suo successore? »

Non poteva parlare? Basilio tentò di far uscire l'aria dalla bocca e un grumo di sangue cadde sulla grande tovaglia rossa che aveva davanti. Tossì e raschiò il fondo della gola per liberarla. Non ci riuscì, tossì nuovamente e cominciò a muovere una mano. Lo aveva visto? Elena, hai visto

« Aspettate...guardate. » sussurrò Elena.

Tutti gli occhi dei presenti puntarono la mano di Basilio. Il vecchio sovrano se ne rallegrò e indicò il bambino che si nascondeva dietro la tenda del letto a baldacchino. Un bimbo di tre anni, scuro di capelli, dalla carnagione bianca e l'atteggiamento insicuro. Basilio era certo che fosse la mossa giusta da fare, anche se non sapeva bene perché.

« Ivan. Sta indicando Ivan! »

« Indicare non significa designare! » borbottò il terzo individuo, un uomo dalla corporatura immensa e i baffi neri. « E sono certo che il nanerottolo non possiede le facoltà necessarie per reggere il trono. »

« Farò da vicaria finché Ivan non sarà in grado di governare. » disse Elena, ignorando la replica successiva.

Basilio la guardò e sorrise. Elena sapeva sempre cosa fare.

« Ora lasciamolo riposare. Tutti fuori. » concluse a voce alta la donna. Si avvicinò poi alla testa del consorte e sussurrò « Firmerò io l'atto di successione, non preoccuparti. Ti lascio Ivan come compagnia per qualche minuto. »

Dopo un rispettoso inchino, i quattro adulti uscirono dalla grande stanza drappeggiata di rosso. Calò il silenzio. Dalla finestra sulla sinistra proveniva una debole luce. Basilio guardò in quella direzione e notò che fuori stava nevicando. Oltre il velo bianco riusciva a scorgere i pinnacoli di alcuni edifici e l'orizzonte irregolare di Mosca. La Roma legittima. Il cuore del suo regno gelido, un regno che aveva contribuito ad espandere e rafforzare.

Percepì un lieve tocco sulla mano. Ruotò la testa per sorprendere il bambino dai capelli scuri che gli afferrava un dito con insistenza. Gli occhi del pargolo esprimevano ansia o forse preoccupazione. Basilio cercò di sorridere, ma fu colto da un eccesso di tosse e dovette sputare altro sangue. Emise un rantolo, mentre un dolore pungente si faceva strada dal petto. L'attacco aveva spaventato il bimbo, che era arretrato fino al lato più in ombra della stanza.

"No, non avere paura" avrebbe voluto dire Basilio. In quel momento, tuttavia, un suono di passi rapidi ruppe il silenzio della camera. Qualcuno aveva percorso per intero il corridoio che giungeva alla sua stanza e si era fermato davanti alla porta di legno. Una pausa, un sospiro leggero. La maniglia girò lentamente verso il basso.

« Perdonatemi, Granduca. Sono tornato per vedere come stavate. » sussurrò mellifluo il grande uomo con i baffi neri.

Basilio era spaventato da quella faccia porcina, anche se non ricordava bene il motivo. Seguì con gli occhi i movimenti di quel signore troppo largo e troppo alto; la lunga tunica color oro non riusciva a levigare o assottigliare gli accumuli di grasso della pancia e delle braccia. L'uomo, quasi sovrappensiero, scivolò accanto ai bordi del letto. 

Da quella angolatura, Basilio poteva notare il gozzo prominente e le labbra carnose. Nella sua mente prendeva forma un nome, una casata, una bandiera gialla con un uno stemma ricamato sopra. 

« Vedo che ha resistito molto più del previsto. Addirittura una settimana. »

L'uomo si era spostato di fianco a lui e occupava la porzione di stanza illuminata dalla finestra. Basilio cominciò a tremare e la tosse, il vomito, i sudori freddi e la febbre furono solo un ricordo lontano. Osservò con orrore le dita grassocce che si allungavano lentamente verso il suo collo. 

« Non fate quella faccia. » disse l'uomo, sorridendo sornione « La famiglia Sujskij sarà lieta di continuare il vostro operato. Il regno è in buone mani. »

Basilio sentì la pressione crescere. Era una presa salda, sicura, priva di compassione. Tutto il suo corpo prese a formicolare, la gola si strinse, la stanza cominciò a vorticare. Non poteva respirare, il catarro e il sangue formavano un globo dietro la lingua. Annaspò, agitò le braccia, afferrò un lembo di tenda. La vista si oscurò. Buio. Sempre più buio. Il cuore perdeva battiti. Buio. Poi nulla.

« Do svidanija. »  

Viktor Sujskij si asciugò il sudore dalla fronte. Prese un fazzoletto giallo dalla tasca della tunica e si strofinò le mani. Mentre puliva con minuzia i palmi e i polpastrelli, notò con la coda dell'occhio il giovane Ivan, nascosto dietro una poltrona rossa. Si bloccò, sorrise ancora una volta, poi uscì dalla stanza canticchiando. 

Ivan Vasil'evič, erede al trono del Granducato di Mosca, abbandonò il suo nascondiglio solo diversi minuti più tardi. Con passettini timorosi raggiunse il letto di suo padre. Fissò con insistenza la figura distesa sul materasso e cominciò a piangere. 

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