Prologo

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                                                                                                 Oblivion

<< Amelia! >>

Riuscivo a sentirlo. Sentivo il mio cuore, un sussulto dopo l'altro. Sembrava che stesse per balzarmi fuori dal petto. I palpiti divenivano sempre più lenti, si susseguivano affievolendosi nell'oceano affannoso dei miei respiri. La testa sembrava ragionare ancora, percepivo tutto, ogni singola sensazione. Gli occhi correvano all'impazzata, irrefrenabili movimenti oculari attraverso la stanza. Camici bianchi, siringhe, mani, altre mani, molte mani. Mani sulla mia gola, sul mio collo, sul mio cuore, pulsanti come martelli. E poi una, calda e vitale, una mano nella mia. Dita tra le mie dita, vita sulla mia vita.

<< Amelia, ti prego, resta con me... >>

<< Deve uscire, non può stare qui! >>

I colori stavano perdendo i loro pigmenti, la loro lucentezza e le voci, quelle, non erano più armoniche, ma solo impregnate di angoscia, affanno, preoccupazione. Sentivo pian piano svanire il mio modo di percepire il mondo e che io svanivo con lui. I battiti stavano per addormentarsi per sempre, stavano per concludere il loro lavoro dopo quasi vent'anni d'esistenza. Il legame mente-cuore era ormai pronto ad interrompersi, era pronto a neutralizzare la forza di lottare, a dare un taglio netto ai miei sensi, alle mie paure, alle mie sensazioni, a me. Il dolore mi stava tagliando in singoli pezzi, poi tagliava anche questi in altri più piccoli. Mi avrebbe ridotta in polvere, ne ero certa.

<< Sta andando in arresto... >>

Sì, mi stavo arrestando. Ancora qualche secondo e chissà in quale angelico luogo sarei stata condotta. Avrei potuto mantenere ancora il possesso di quel qualcosa che mi aveva sempre resa diversa da tutti gli altri, oppure sarebbe svanito anche questo, insieme a tutte le mie singole parti vitali?

<< Un milligrammo di epinefrina, subito! >>

<< E' ancora qui, lei? Esca immediatamente, le ripeto che non può stare qui! >>

<< No! Lasciatemi stare...Amelia combatti! >>

Ma le parole erano solo un sottofondo a volume eccessivamente basso. Una musica destinata a non percepirsi se non a pochi metri di distanza. Un ammasso vago e incostante di suoni ovattati, nient'altro.

Ad un tratto non sentivo più nulla, era tutto un imponente e malvagio silenzio di niente. Muraglia oscura sopra il mio corpo, sopra i miei occhi.

<< Così la perdiamo... ancora epinefrina! >>

Il silenzio era più forte di tutto. I camici non c'erano più. Si erano fatti fantasmi e poi vetro. La trasparenza li aveva risucchiati nel suo oblio e, subito dopo, distrutti in mille pezzi.

<< Passatemi le piastre... Dannazione Amelia, resta con noi! Al mio tre...>>

Il cuore concludeva la sua battaglia, l'interruzione del respiro dava vita al suo blackout. Avevo ancora gli occhi aperti, ma vedevo solo il nero. Le mie palpebre uncini ancorati alla vita. Eppure... sembravano anch'esse all'estremo delle loro forze.

<< Uno...due... >>

Per tutti ero una persona forte, me lo dicevano sempre. Forse però, non lo ero abbastanza.

<< Tre... Libera! >>

Poi, il buio.

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