Chapter 11

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Erano passati minuti.
Ore.
Giorni.
Settimane.
Mesi.

Minuti da quando Stefano aveva cominciato a mettere sacchetti alla rinfusa dentro a quella sacca sportiva.
Ore da quando aveva sentito le sirene della polizia.
Giorni da quando si era messo a correre nel bosco.
Settimane da quando era svenuto.
E mesi da quando Sascha lo aveva trovato lì, e lo aveva trascinato in casa loro.

E ora era arrivato il momento di agire personalmente.
La sua prima missione.

Non avrebbe mai pensato che un giorno si sarebbe ritrovato a dover rubare dei documenti del governo.
Strano, no?

Era un ragazzo sensibile, dolce e premuroso.
Ma a mali estremi, estremi rimedi.

Ora era lì, appoggiato alla parete di un edificio non troppo alto nel centro della cittá, le mani in tasca.

Sarebbe stato difficile riconoscerlo dato che indossava un cappello e degli occhiali da sole.
Ma era quello il suo intento.

Era mezzogiorno spaccato, il tempo era uggioso.
Non era quel brutto tempo che le persone amano.

Con le nuvole nere che ricoprivano totalmente il cielo e le gocce di poggia che ticchettavano sulle finestre.

Era quella insopportabile via di mezzo tra il bello e il cattivo tempo.
Il cielo bianco, non troppo freddo e che non faceva neanche piovere o nevicare.

Stefano amava il brutto tempo.
Adorava stare chiuso in casa sotto una coperta a leggere davanti alla grande finestra di camera sua.
O a guardare un film, o una serie tv.
Insomma, a rilassarsi.

Mentre questo tempo incerto lo rendeva triste e giù di corda.

Il ragazzo quando era uscito di casa era determinato.
Si sentiva forte, pronto e in grado di affrontare qualsiasi cosa.

Mentre ora che il tempo passava e si avvicinava sempre di più l'ora nella quale il politico sarebbe uscito, l'ansia lo stava assalendo.
Ora aveva paura.

Aveva paura di fallire.
Di essere preso dalla polizia.
Di essere ucciso da Giuseppe.
Di essere allontanato dal gruppo e quindi allontanato da Sascha.

Cominciò a torturarsi il labbro inferiore quasi fino a farlo sanguinare.
Poi qualcuno si avvicinò.

Era più o meno vestito come lui.
Aveva il cappuccio della felpa alzato, un cappellino e degli occhiali da sole.

Gli passò di fianco, e Stefano ebbe la sensazione che si volesse rivolgere proprio a lui.
E così era.

Si posizionò davanti a lui, rimanendo di profilo, e gli si avvicinò all'orecchio.
Stefano prese a tremare, ma cercò di stare calmo.

Che fosse qualcuno del governo che aveva sventato i suoi piani?
Che fosse qualcuno della banda avversaria che ora stava tentando di minacciarlo di morte?

-Il leone è nell'arena-

E detto questo si allontanò.

Ora Stefano capiva.
Non era nessuno del governo o della banda rivale.
Era solo un conoscente del suo gruppo che gli aveva mandato un segnale.

Immediatamente si alzò il cappuccio della felpa e camminò a passo veloce, svoltando subito l'angolo.
Era il momento di agire.

Il cuore cominciò a battergli all'impazzata, ma doveva mantenere la calma.

A momenti sembrava stesse correndo.
Gli tremavano le gambe, tutto.
Ma l'adrenalina cominciò a salirgli in corpo.

Ecco, forse troppa adrenalina.

Vertigo | SaschefanoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora