3. Riabilitazione e fuga pt.1

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"Quando potrò andarmene da qui?"-chiedo, notando l'infermiera che è appena entrata in camera: di certo, non ho voglia di rivedere l'albino. Ma ho tante cose da fare, e devo per forza parlargli, per non avere più dubbi.
La donna, tuttavia, nemmeno si volta a guardarmi, ma si limita a posare un vassoio sul comodino vicino al mio letto.
"Queste sono le medicine che deve prendere. Il dottore le ha già spiegato tutto."-mi dice lei, fredda. La vedo, poi, sistemare il letto accanto al mio, con una certa scrupolosità e ossessiva attenzione: forse, arriverà una nuova paziente.
"Quando potrò andarmene da qui?"-chiedo di nuovo, alzando un po' la voce, e senza alcuna cautela, ma l'infermiera continua ad ignorarmi e a svolgere il suo minuzioso lavoro per pulire ciò che mi circonda. Infine, guardo il cibo che lei mi ha servito: disgustoso a guardarsi, figuriamoci a mangiarsi!
"Questo non lo mangio."-dico, indicando il vassoio e attirando, finalmente, l'attenzione della donna dai lunghi capelli marroni raccolti in uno chignon poco elegante, per poi voltarmi in direzione del muro, e nella direzione opposta a quella dove lei continua a sistemare il letto d'ospedale accanto al mio.
"Signorina Mirai, la dimetteremo non appena possibile. Ma lei cerchi di fare uno sforzo."-mi informa l'infermiera, costringendomi a girarmi, eppure lei nemmeno mi guarda in viso, ma è ancora intenda a lavorare.
"Il che significa?"-le domando, concentrandomi soltanto sulla prima frase e parte della sua acida risposta. Le mie parole, proferite in modo quasi maleducato e scontroso, sembrano infastidirla e convincerla a rivolgermi più attenzioni: grazie al cielo!
"Significa che ci vorrà ancora del tempo, prima che lei potrà lasciare l'ospedale."-mi confessa la donna con poca cautela, e guardandomi con aria tanto altezzosa quanto disgustata: sii più chiara, mostro!
"Questo per essere sicuri che lei stia bene davvero."-continua l'infermiera, per poi distrarsi nuovamente e riprendere la sua pulizia. A quanto pare, tuttavia, ella ha finalmente terminato il suo lavoro, perciò la vedo prendere in mano gli strumenti, utilizzati per pulire, allontanarsi dal letto che stava riordinando, e uscire dalla mia stanza, senza curarsi della mia presenza.
Che noia! Dovrò restare ancora qui, sdraiata su questo stupido letto a condurre una vita da malata! Eppure, io sto benissimo e ho tante cose da fare, quindi vorrei ribellarmi, ma capisco che sarebbe inutile: sicuramente, anche agli altri dottori non importa nulla di me. Nessuno, in fondo, si è mai preoccupato realmente di me, al punto di salvarmi. Nessuno, mi ha mai salvata, senza poi ferirmi nuovamente.
Basti pensare che, da quando sono diventata un'investigatrice di Ghoul, ho sempre combattuto, pensando di stare lottando contro il mostro che ha ucciso mia madre. Ciò riusciva a darmi forza, perché io necessitavo di fare giustizia; perché io amavo la giustizia. Oggi so, invece, che lei è uno di loro. Si: che mia madre è un Ghoul, e che io non sono nemmeno sua figlia. Anzi, che non lo sono mai stata.
Le persone, in realtà, sono sempre una delusione! Non importa, infatti, quanto tu impari a fidarti di loro, e quanto esse riescano ad esserti d'aiuto: arriverà sempre il momento in cui decideranno di tradire la tua fiducia, e di pensare soltanto a se stessi. In fondo, lo facciamo tutti, ed è una cosa normale: anche io me ne frego della gente.
C'ho, perfino, provato a dimenticare, e a sorridere. Ho tentato di scordare ciò che sono stata, e di affidarmi al mio vecchio capo, ma non sono riuscita a condannare mia madre come qualcosa di sbagliato, o come un mostro.
È vero: Juuzou mi ha aiutata tante volte; ma più volte mi ha lasciata perire in silenzio, e spesso mi ha ferita e offesa. In fondo, anche se quella non era la mia vera madre, io la amavo, e lui è il suo assassino. Io amavo il mio collega, e lui mi ha uccisa.
"Signor Shinohara, io non voglio fare ancora coppia con Juuzou."
"Non accadrà Mirai, non preoccuparti. Ho già pensato a tutto io."
Ricordo le parole del signor Shinohara, quando ieri è ritornato in ospedale, da solo, dopo aver accompagnato l'albino a casa, e spero tanto sia com'egli ha detto: le persone, infatti, non cambiano, né il passato può essere dimenticato. Anzi, i suoi effetti sulla nostra anima sono drastici e permanenti.

            •••••••

L'unico passatempo che mi è permesso di praticare, in questo lurido posto, è quello di lasciarmi distrarre dal piccolo televisore, affisso alla parete della mia stanza. Esso continua, imperterrito, a trasmettere immagini, che non smettono di scorrere e di susseguirsi velocemente. Ma il volume è così basso, che proprio non riesco a sentire. Eppure, non voglio chiamare l'infermiera per farmi aiutare, perché così non mi dimetterebbero di certo e non mi lascerebbero più tornare a lavoro, quindi mi do da fare e, preso un respiro profondo, scendo dal letto d'ospedale, mi avvicino al tavolo su cui è appoggiato il telecomando del televisore, lo scruto velocemente, e poi scelgo di premere il tasto che fa al mio caso. Alzo il volume, e adesso incomincio a sentire la voce della persona, di cui prima vedevo soltanto la bocca muoversi. Ella è seduta dinanzi una grande e moderna postazione, mentre alle sue spalle vi è uno schermo immenso. Inoltre, la signorina dai corti capelli biondi, dall'aria seria e quasi annoiata, e gli occhi che per un pelo non si chiudono, ha una voce fredda e passiva, e continua ad elencare notizie, servendosi dei fogli che stringe nelle mani: si tratta senza dubbio del telegiornale! Penso di avere ragione, ma ne ho la conferma quando riconosco il canale che trasmette ciò che sto guardando, e mi accorgo dell'ora. Soddisfatta della trasmissione, e di essere riuscita ad alzare il volume della televisione, nonostante la debolezza che mi sfratta, mi limito a ritornare a letto, per comodamente documentarmi su ciò che nel mondo continua a succedere, mentre io sono qui a non far niente. Ma per quanto provi a rimanere concentrata e attenta su ciascuna notizia comunicata dalla giornalista, ad un certo punto, non riesco a non socchiudere gli occhi, per la noia. Omicidi, atti incivili nei confronti dei concittadini, di violenza, che colpiscono, soprattutto, le donne, guerre, e scontri tra partiti politici: quante volte avrò già ascoltato roba del genere? Troppe. Tante quanto basta per poter ammettere che questo mondo fa davvero schifo, e che non succede mai nulla di nuovo. Tutti, infatti, si odiano, e distruggono. Anche io, dal mio canto, non riesco ad amare chi mi circonda: che problemi abbiamo noi umani? Eppure, non è mica così sbagliato essere avidi d'amore, se non si è mai stati amati. O sbaglio?
E, immersa nei miei pensieri, continuo ad essere disgustata, in silenzio, dalle notizie e dagli accadimenti che mi vengono narrati passivamente.
"Un Ghoul ha tentato di divorare un uomo. Egli è ferito, ma è riuscito a scampare al feroce attacco del suo predatore..."-la voce della giornalista in televisione attira, ad un tratto, la mia attenzione, e ciò che sento mi costringe ad aprire gli occhi di scatto. Poi, decido di richiuderli, credendo che, anche questa volta, si tratti dell'ordinario, fino a quando non mi giunge all'orecchio un qualcosa del tutto nuovo, e di completamente insolito. E, allora, li riapro, sconvolta dalle parole che continua a proferire la bionda donna.
"...grazie all'aiuto di un secondo Ghoul sopraggiunto velocemente, e venuto in suo soccorso."-riesco a sentire: un Ghoul che aiuta un umano, e lo difende da un suo simile?
E, rapita dalle immagini che continuano a scorrere sullo schermo del televisore, mentre la sua luce si riflette sul mio viso con violenza, vorrei capire cosa sia successo, e delle altre spiegazioni, ma l'infermiera entra nella mia stanza e, senza che nemmeno me ne accorga, dopo aver impugnato il telecomando, che avevo adagiato sul comodino a fianco al mio letto, spegne la televisione, impedendomi di documentarmi oltre.
"È l'ora della passeggiata, signorina."-mi informa la donna esile che mi sono ritrovata dinanzi: stupida, ma necessaria, riabilitazione!

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