4. Idiota

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Nell'oscurità della notte e nel silenzio rumoroso e ansioso dell'ospedale, continuiamo ad essere soltanto io e il mio complice.
Camminiamo, evitando di attirare troppo l'attenzione dei dottori che chiacchierano tra loro, e bevono del caffè, di cui riesco a sentire, facilmente, il buon odore.
Ad un certo punto, vediamo delle persone correre in una certa direzione, e scambiarsi dati furtivi sul ferito, che viene trasportato sulla fredda barella, colpita dagli aliti di chi la accompagna.
Altri medici, invece, continuano a muovere nervosamente le mani, seduti e con il viso chino a terra, affianco a coloro che non la smettono di andare avanti e indietro. Questi, però, ogni tanto, si fermano per un secondo; sbuffano, e danno un'occhiata all'orologio da polso che indossano. Poi, si portano le mani sulla testa: il tempo per chi è qui sembra non passare mai; lo so, perché c'ho vissuto anch'io. Ma, finalmente, presto sarò fuori dall'ospedale.
Per fortuna, posso già intravedere l'uscita, sorvegliata da mille infermiere e dottori in camice bianco o verde e da altre persone che continuano ad uscire e ad entrare, e ciò che è fuori: ce la faremo a scappare, passando inosservati tra la marea di gente che è in cerca di informazioni sui propri cari ricoverati in ospedale? Forse, effettivamente, la confusione si rivelerà essere la nostra carta vincente, per fuggire.
"Potremmo approfittare della distrazione dei dottori, per scappare. Credo che, impegnati come sono, non noteranno i nostri camici bianchi."-suggerisco, parlando a bassa voce, e controllando la situazione, da dietro la parete, grazie alla quale io e il corvino siamo nascosti da chi controlla l'entrata. Le gambe mi fanno malissimo: siamo in ginocchio, e lui è dietro di me; entrambi, stiamo in silenzio per ascoltarci meglio, perché è arrivato il momento di confrontarci, nonostante, fino ad ora, non ci siamo detti poi granché. In fondo, siamo una squadra, no? Ed è arrivato il momento di attuare il nostro piano, quindi mi alzo in piedi.
"Tsk!"-lo strano ed effimero verso pronunciato dal mio compagno, mi costringe a voltarmi nella sua direzione.
"Di certo, non noteranno il mio."-dice il corvino, con sguardo minaccioso e sorridendomi maliziosamente, per poi spingermi in avanti, e farmi uscire dal nostro nascondiglio. E, in poco tempo, sono circondata dai dottori che, essendosi accorti della mia inaspettata e indesiderata presenza, mi chiedono se ci sia qualcosa che non va. Io, invece, non so proprio cosa fare, ma continuo a rimanere immobile, e ad occupare il posto centrale della nicchia di persone che si sono raggruppate attorno a me, imprendendomi di fuggire.
"Mirai, cosa c'è che non va?"-mi chiede il dottore dai corti capelli grigi che, spesso, si occupa delle mie condizioni, preoccupato. I miei occhi, intanto, catturano l'immagine del mio complice intento a fuggire: quel traditore sta passando inosservato, grazie a me.
"Sta scappando!"-urlo, costringendo i medici che mi sono vicini ad accorgersi del corvino, a cui, per fortuna, viene immediatamente impedito di fuggire: se resto io, resti pure tu.
Ti odio, razza di idiota.

            •••••••

A distanza di un po' di giorni dalla mia tentata fuga dall'ospedale, continuo, sdraiata sullo stesso letto di sempre, a ripensare a quanto accaduto quella notte, e all'imbecille che mi ha ingannata e ha tentato di usarmi per un suo tornaconto personale: sono stata una stupida, a fidarmi di uno sconosciuto! A quanto pare, concedo decisamente troppo in fretta la mia fiducia agli altri, e finisco col dipendere dal prossimo, e col rimanere fregata: non accadrà più! Anzi, sarò io a non permettere che accada nuovamente.
Guardo fuori dalla finestra aperta, il cielo è sereno, come al solito, e il sole splende su tutto; un po' meno su di me, perché la sua luce non riesce a penetrare in questa stupida stanza buia. Eppure, il dolce cinguettio degli uccelli, che continuano ad aleggiare e a sbattere sinuosamente le loro ali per sostenersi, allieta, anche questa volta, il mio pomeriggio.
Ad un tratto, però, sento la porta aprirsi.
"Buon pomeriggio, signorina."-mi saluta un infermiera, sorridendomi, e molto più cordialmente di come lo hanno fatto delle sue colleghe, i giorni precedenti a questo, ed entrando nella stanza, con un vassoio in mano: tanto non mi mancherà niente di questo posto.
"Domani potrò andarmene, vero?"-chiedo, e aspetto, impaziente, la risposta della donna, mentre la vedo posare il cibo portatomi, sul comodino a fianco al mio letto.
"Si, verrà dimessa domattina, signorina."-mi comunica l'infermiera, continuando a preoccuparsi del mio pranzo.
Allora, prendo un respiro profondo, socchiudo gli occhi, libero l'aria in fuori, e, per la prima volta dopo tanto tempo, sorrido: sono passati un po' di giorni da quando sono qui, ma, alla fine, lascerò l'ospedale. Poi, ripenso alla mia idea di fuggire, e mi rendo conto che se non fosse stato per quel paziente meschino, avrei lasciato questo posto anche prima.
L'importante, però, è che questa agonia in solitudine sia finita: spero davvero che il babbeo di quella notte paghi per la sua cattiveria, e, nonostante ciò che sia successo, sono felice di non avergli permesso di scappare. In fondo, poi, non dovrò nemmeno più rivederlo.

            •••••••

"Mirai! Come sono felice di vedere che tu stia bene!"-mi saluta la signora Miyoshi, dopo avermi aperto la porta. Ero sicura di aver informato il mio capo che sarei stata dimessa questa mattina, ma, a quanto pare, egli non deve aver detto niente a sua moglie, la quale, oltre ad essere contenta, sembra anche molto sorpresa di vedermi.
"Salve, signora. Come sta?"-chiedo alla donna, che mi avvicina a sé, per poi stringermi forte e abbracciarmi.
"A chiederlo dovrei essere io, tesoro!"-mi dice, poi, fino a quando, con le lacrime agli occhi, non allungo le braccia e ricambio il generoso gesto concessomi. Ad un certo punto, vedo due persone raggiungerci sull'uscio della porta di casa
"C'è Mirai, c'è Mirai!"-urlano i figli di Shinohara, saltellando avanti e indietro, e costringendo la madre ad allontanarsi da me e a privarmi del suo calore; del calore di una mamma, mentre i bambini continuano a muoversi e a richiamare la mia attenzione.
"Bambini, bambini! Calmatevi."-una voce mi costringe a guardare dentro la casa, fino a quando non vedo il mio capo uscire, raggiungere i suoi figli e calmarli, posando una mano su ciascuna delle piccole testoline dei bambini.
"Mirai resterà da noi, questa sera. Quindi avete tutto il tempo per parlarle e giocare."-dice l'investigatore. I bambini, intanto, esultano vittoriosi e la signora Miyoshi mi prega di entrare in casa. Io, invece, rimango immobile a fissare il meraviglioso sorriso di Shinohara, con il quale, ancora una volta, quell'uomo mi accoglie amorevolmente nella sua vita.

            •••••••

Entrata nella casa del mio capo, mi rendo conto che tutto è come me lo ricordavo: ogni cosa è al suo posto, e dov'è giusto che essa sia.
Penso di ricredermi, quando noto la custodia di una chitarra e un borsone non troppo capiente e grande a terra, dal quale posso intravedere qualche vecchia t-shirt a tinta unica e alcune coppie di calzini di diverso colore.
"Scusa il disordine, Mirai. Ma mio nipote è venuto a vivere in casa nostra, e resterà qui per un po' di tempo."-incomincia Shinohara.
Poi la porta della stanza che un tempo mi ospitava si apre e notando un ragazzo in boxer e a petto nudo, pochi cirri neri che sfuggono agli altri in testa e cadono sulla grande fronte altrimenti scoperta, sgrano gli occhi e involontariamente spalanco la bocca. Per poco non svengo, quando il castano lo prende sottobraccio, gli scompiglia la chioma già disordinata, presentandomi e riferendosi a lui come suo nipote. La vista mi si offusca dinanzi a quella di un'idiota.

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