2. Rinascita

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È quasi sera, mentre vedo il sole tramontare, dalla finestra. Uno strano strumento, che si collega al mio corpo grazie a dei tubi sottili, emette suoni insoliti; suoni veloci e istantanei, continui, insistenti e assillanti. E i colori che si susseguono sullo schermo di una sorta di computer, fisso alla parete, non mi fanno di certo stare più tranquilla: sembra di essere in un laboratorio. Si, come quelli degli scienziati! Tutto ciò un esperimento, ed io, invece, potrei essere la cavia.
"Impressionante! Posso definirlo quasi un miracolo!"-sussurra un uomo ad un'altra persona che gli è accanto, cercando di impedirmi di ascoltare, eppure io riesco ugualmente a sentire cosa dicono, mentre vedo l'anziano signore passare alla donna dei fogli. Entrambi continuano a studiarli, a bocca aperta.
Io, invece, sono stanca, nonostante sia sdraiata su un letto, e confusa, ma non ho la forza per chiedere spiegazioni. Vorrei ritirare le braccia, ma, oramai, quelle appartengono agli strani tubi e apparecchi che mi circondano. Mi fa quasi impressione, tuttavia, continuare a guardare i due sconosciuti lavorare, quindi mi distraggo, per un attimo, socchiudendo gli occhi.
"Signorina Mirai."-attira la mia attenzione l'uomo dai corti capelli grigi, costringendomi a riprendere a concentrarmi sulla sua figura.
"Finalmente, si è risvegliata da un coma durato mesi!"-continua lui, ma io proprio non capisco: coma? Poi, egli allunga una mano e la adagia sulla mia.
"So che può sembrare strano, ma è andata proprio così. Molto presto, ricorderai tutto e riacquisterai energia. Devi solo riposare." -dice sorridendomi dolcemente.
"In fondo, ha pur sempre subito un duro colpo alla testa, una delle zone più delicate del corpo."-spiega l'uomo, lasciandomi la mano, e decidendo di scrivere qualcosa su uno dei tanti fogli che ha in mano. Poi, egli alza la testa, e riprende a guardarmi. Prima mi guarda, spaesata, poi sorride ancora.
"Non ricorda? È stato un Ghoul a farle questo."-dice, infine: credo di stare per ricordare ogni cosa. Si, esatto. Pensandoci bene, ho in mente un volto mascherato, una donna dai lunghi capelli neri, e un mantello, anch'esso nero; mi ricordo di Juuzou, e dell'aiuto che non mi ha rivolto quando quel mostro mi ha attaccata: è colpa sua se sono qui.
Ad un tratto, vedo il signore voltarsi, dopo essersi accorto che qualcuno ha, lentamente, aperto di poco la porta. E grazie al suo movimento, io riconosco delle lettere scritte, un nome, quello di chi mi sta davanti, e un camice, nella veste bianca che lui indossa: un dottore? Poi, comprendo che quella al suo fianco è un'infermiera, e il luogo in cui mi trovo un ospedale: dunque, io sarei quella ferita?
"Oh vieni pure, entra!"-esclama l'uomo, incitando l'ospite ad entrare, dopo che egli è rimasto, per un po', sull'uscio della porta della stanza. Vedo una ragazza avvicinarsi a me, e al letto su cui sono sdraiata. I suoi passi sono timorosi e incerti: ha paura? Oppure ciò che vede è una sorpresa?
Ma quando la giovane, vestita di tutto punto, mi rivolge un debole sorriso, come se provasse pietà per me, riconosco subito colei che mi è venuta a trovare: era da tanto tempo che non vedevo Minami. Mi sono mancati il suo volto allegro e spensierato, i corti capelli corvino e gli occhi neri pungenti, e delicati al tempo stesso, adornati sempre da un filo di trucco, non troppo aggressivo; ma che emana, ugualmente, il suo fascino.
"La riconosci, Mirai?"-mi chiede gentilmente il dottore, quasi preoccupato. Io annuisco: non riesco nemmeno a parlare; o, forse, non ne ho semplicemente voglia.
"Nessun danno cerebrale, e nemmeno alla memoria! Ringrazia il cielo, cara."-scherza l'uomo, ma nelle sue parole riesco a scorgere qualcosa di sincero e serio. Poi, egli prende a guardare la mia vecchia collega.
"Falle compagnia."-le suggerisce, posando la mano sulla sua spalla.
"Le farà bene."-conclude, mi guarda, mi sorride, e, infine, lascia la stanza. Io, intanto, giaccio ancora su questo stupido letto d'ospedale.

•••••••

"Sono felice di sapere che tu stia bene, Mirai. A presto!"-mi saluta la corvino, dopo avermi informato di dover correre a lavoro, e dopo aver passato un po' di tempo con me, quasi del tutto in silenzio; un silenzio che, in parte, ho fatto sì che si creasse io. Ad un certo punto, vedo la giovane alzarsi, farmi cenno con la mano, e raggiungere la porta.
"E rimettiti in fretta!"-esclama, facendomi l'occhiolino, e voltandosi, per un attimo, a guardarmi. Poi, la sua figura scompare nell'oscurità di quello che c'è fuori da questa stanza, e dietro la porta, da Minami chiusa. E ora che sono di nuovo sola, l'unica cosa che posso fare è osservare la finestra: il cielo si tinge di un blu sempre più scuro.
All'improvviso, la porta si riapre, ed io, riconoscendo il volto sorridente di chi è venuto a trovarmi, sorrido, spontaneamente.
"Buonasera, cara."-mi saluta Shinohara, sorridendo anche lui. Io lo guardo; e più lo osservo, più mi accorgo che il mio capo non è cambiato per niente.
"Disturbiamo, forse?"-chiede lui: perché disturbiamo, se è solo? Sono confusa, fino a quando non sbuca da fuori la porta della stanza qualcun altro; anche lui qualcuno di molto familiare.
"Mirai, ciao!"-esclama Juuzou, sorpreso, ma contento; forse, di vedermi.
Ma alla vista del mio vecchio collega, io non ho certo la sua stessa piacevole reazione, e non sono capace di stare tranquilla.
"Vattene via!"-urlo, quasi senza accorgermene, dopo essermi alzata, in fretta e di scatto, dal letto. Mi tremano le gambe, e sento gli occhi umidi: perché piango?
Perché tremo?
Perché ho paura?
Per fortuna, gli infermieri e il personale dell'ospedale non impiegano molto a venire in mio aiuto, e, in poco tempo, la stanza è gremita di gente.
"Vi prego di andarvene."-suggerisce il dottore di prima, e così è. Sono dispiaciuta di aver reagito in questo modo. Ma, in fondo, non è normale avere paura del proprio assassino?
E, nonostante Juuzou se ne sia, oramai, andato, seguito dal signor Shinohara, e accompagnato dall'uomo dai corti capelli grigi, io continuo a ripensare al mio amico: lo trovo diverso. I suoi capelli, infatti, non sono più bianchi come la neve, ma ricordano il carbone. Gli occhi sono rimasti uguali; quelle perle sono ancora meravigliosamente rosse, com'erano prima, eppure il modo in cui osservano il mondo non sembra più lo stesso. Anzi, nello sguardo di Juuzou, ho potuto scorgere un non so che di malinconico e di nostalgico. Poi, mi concentro sull'immagine del sorriso che mi ha rivolto, sempre trasparente e speranzoso, ma, forse, un po' più consapevole. Ad un tratto, decido di focalizzare la mia attenzione su un dettaglio totalmente nuovo. Appena il mio capo è entrato, infatti, ho subito notato qualcosa di insolito e di diverso, quasi di sbagliato, in lui; e ripenso ai fermargli che trattenevano alcuni dei ciuffi più ribelli dei suoi capelli, rappresentanti il numero romano venti; il numero che simboleggia la crescita e la vita.
O, meglio, la rinascita.
E, se mi sforzo, riesco anche a ricordare dei piccoli particolari di quella sanguinosa battaglia, prima che cadessi a terra, colpita e ferita dalla Kagune di un Ghoul: una donna misteriosa; un mostro che aveva un solo occhio rosso, e che conosceva l'albino, ma non con il suo vero nome. Infatti, lei parlava di un certo Rei.

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