1. Estate

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Sono da sola. Esatto! Come sempre, anche questa volte posso contare sulle mie sole forze; anzi, devo e sono costretta a farlo. Eppure, riesco a reggermi in piedi. Eppure, vorrei poter lasciarmi andare: la sabbia, sotto ai miei piedi, sembra essere soffice. Vorrei, ma non riesco, quasi come fossi solo una comparsa, e tutto ciò che mi circonda la scenografia di un film. Ma, nonostante appaia tutto finto, ogni cosa qua è bella e, dopo tanto tempo, mi sento, finalmente, a casa. Le onde del mare continuano a danzare, e a baciare la sabbia, mentre i caldi raggi del sole illuminano l'oceano. Ho sempre detestato la spiaggia, eppure adesso mi sento bene; sono felice di essere qui, quasi come se qualcuno avesse bisogno di vedermi, e mi stesse aspettando da tanto tempo. O sono io che attendo l'arrivo di una persona che mi venga a salvare? Eppure, non credo di essere in pericolo. Ho giusto un po' di paura, perché mi guardo attorno, ma non vedo nessuno; sono agitata, come se davvero avessi dato appuntamento a qualcuno. Ma non ricordo nulla, né tanto meno di aver deciso di andare al mare. Ad un tratto, una leggere brezza marina muove i miei capelli, ma non ho freddo. Anzi, sto benissimo. Sono solo un po' stanca: vorrei riposare! L'ultima cosa che ricordo è di essere stata colpita da un Ghoul, ma non riesco a capire: cosa ci faccio qui, a piedi nudi sulla sabbia, ad osservare l'elegante movimento dell'oceano?
Adesso, regna uno strano, ma rilassante, silenzio: mi piace! Sento delle voci, ma non vedo nessuno. Vorrei muovermi, correre e divertirmi; andare alla ricerca di altra gente. Soltanto adesso, infatti, capisco cosa significa essere soli. Ed è triste. Mi mancano mio padre, i miei colleghi; e Juuzou dov'è? Mi manca la mia mamma! Allora corro: voglio andare a cercarli, per non sentirmi più sola! Quindi, anche se non so dove essi possano essere, muovo qualche passo, velocemente e a fatica, fino a perdere di vista la spiaggia. Poi, ritorno, istintivamente, indietro e al posto di prima: finalmente, qualcuno è qui per me! Dunque, corro. Corro, per raggiungere la donna con lunghi capelli neri che è voltata verso il mare, con i piedi immersi nella bellezza dell'oceano. Non la conosco, ma le urlo, ugualmente, di voltarsi: ne ho bisogno; so di avere davvero bisogno del suo amore. E quando riesco a vederla in viso, noto che lei sta sorridendo; sta sorridendo proprio a me.
"Eccoti, Mirai. Finalmente sei venuta a cercarmi!"-mi sento dire dalla sconosciuta. Ma la cosa più strana, tra tutte, è che la sua voce l'ho già sentita, e che lei sembra essere felice di vedermi.

Juuzou
Sono all'ospedale. Dando ascolto gli altri, ora ho imparato a definire questo un luogo buio e triste anch'io. Ma cos'è, per davvero, la felicità? E cosa vuol dire essere felici? I miei passi sono lenti, ma rilassati. Eppure, non mi va di saltellare, o di dire qualcosa. Anzi, lascio che il silenzio regnante continui ad avvolgere la buia atmosfera che mi circonda; che mi ha sempre circondato. Gli sguardi della gente sono fissi su di me. C'è chi si concentra sul mio corpo, chi si sofferma a guardare i miei capelli, oramai neri, e chi, invece, si meraviglia delle strane cuciture che percorrono le mie braccia, e gran parte di tutto il resto. Ma ci sono abituato: sono abituato a non essere amato; ad essere guardato, e ad essere scrutato per bene. Gli occhi delle persone, giudici severi, infatti, non mi incutono più paura; la voce di chi non mi vuole bene è più pungente di una scheggia di vetro, e più affilata di uno dei coltelli che nascondo sotto la giacca, ma non ci faccio quasi più caso, quando questa mi colpisce. Il signor Shinohara dice sempre che si è felici, quando si ha qualcuno con cui condividere la felicità; qualcuno disposto a mettere il nostro sorriso al primo posto. Ma esiste veramente una persona così, anche per me?
"Mi scusi, cerco la stanza di Mirai Kimura."-dico, sorridendo, ad un'infermiera.
"Continui per di lì, è la stanza numero tredici."-mi informa la persona dinanzi a me, dopo avermi osservato attentamente; dopo avermi squadrato dalla testa ai piedi, e dopo avermi disprezzato per un attimo. Tredici: ho cercato di dimenticare quel numero e il suo significato. Eppure, la morte mi ha sempre riguardato da così vicino! Apro la porta della stanza indicatami dalla signorina di prima, e noto Mirai che, come sempre, é distesa sul suo letto. In silenzio, e con gli occhi socchiusi, ella continua a dormire, e a fregarsene di tutto il dolore che la circonda: non soltanto lei, ma anche io sono morto, e incapace di voler continuare a vivere. 
"Ciao Mirai."-le sussurro. Shinohara mi ha detto, infatti, che chi è in coma non può parlare, ma riesce a sentire, ugualmente, tutto ciò che succede attorno a lui: speriamo sia davvero così! Continua a guardarla, ma senza toccarla, perché non ne ho il coraggio; non ho il coraggio di toccare qualcosa che giace inerme e indifesa, per colpa mia. Continuo a guardare quella ragazza, e non riesco a smettere di rimproverarmi. Perché, stavolta, ho proprio fallito.

            •••••••

Lasciato l'ospedale, dopo aver visitato, come ogni giorno, la mia vecchia collega, raggiungo, velocemente la CCG: oggi fa proprio tanto caldo! Aperta la porta dell'ufficio, noto un certo  familiare disordine; il mio. Poi, sposto lo sguardo sulla scrivania di Mirai: è vuota; quasi come me. Quasi, perché io sono più vuoto, ma, soprattutto, perché sopra vi giacciono una borsa e dei documenti. Ma la cosa che più mi sorprende è notare una ragazza non troppo alta, e con lunghi capelli marroni, agitare le mani, e ridere debolmente ed elegantemente, dinanzi alle parole del signor Shinohara. Io, intanto, saluto il mio capo, e lo costringo a girarsi: voglio delle spiegazioni.
"Ah Juuzou. Sei arrivato!"-mi saluta l'investigatore dai corti capelli marroni, un po' rosso in viso. Poi, posa un braccio sulla spalla della giovane dagli occhi marroni.
"Lei è Etsuko, la tua nuova subordinata. Insomma, la ragazza di cui ti ho parlato! Ecco, io spero davvero che andrete d'accordo!"-continua Shinohara, mentre io prendo ad osservare la persona accanto a lui, e vedo che mi sta sorridendo; ma non ho mai visto un sorriso più bello di quello. Mai qualcuno me ne aveva rivolto uno simile. O, forse, si?
"Piacere! In verità, sono già certa che andremo molto d'accordo!"-dice la ragazza, per poi allungare la mano. E dopo averla stretta, qualcosa in me è come se si sia aggiustato. Guardo la finestra, ma non avevo mai visto un sole più caldo di quello che, oggi, splende alto in cielo; e di quello che ha i capelli marroni e splende dinanzi a me.

            •••••••

Mirai
Apro gli occhi. Cerco il mare, la sabbia; ma non vedo nulla di tutto ciò, dinanzi a me. La stanza bianca in cui mi trovo, anzi, è molto più buia del luogo dei miei sogni: dove sono? E da quanto tempo sono qui? Un leggero venticello mi colpisce, e mi spinge a cercare con lo sguardo una finestra aperta. Poi, ad un tratto, vedo il sole; un meraviglioso sole illuminare una piccola area della stanza, e la raggiungo, liberandomi delle coperte che mi avvolgevano, e scendendo dal letto, dove prima dormivo. Mi affaccio, e vedo dei bambini giocare beati e rincorrere un pallone: non posso che non sorridere. Ad un tratto, sento la porta aprirsi, e quasi trasalisco. Vedo una persona vestita di bianco sorridere immensamente, dopo avermi osservata ed essere rimasta, per un po' di tempo, a bocca aperta.
"Signorina Mirai! Lei...si è svegliata?"-mi sento chiedere, mentre continuo a cercare il mare. Poi, non comprendendo le parole dell'uomo dai corti capelli grigi, mi volto a guardare i bambini divertirsi, dalla finestra. Fa caldo, e sembra essere estate.

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