3. Riabilitazione e fuga pt.2

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Tornata dalla quotidiana passeggiata, che i dottori non dimenticano mai di somministrare al mio debole corpo, sono stremata. Vorrei gettarmi con violenza sul letto, ma non ho la forza di fare nemmeno quello, dunque mi limito ad avvicinarmi al materasso sempre di più, fino a che non sono sicura di toccare la sua morbidezza. Due lacrime, poi, rigano il mio viso: le infermiere sono così distaccate, e non mi rivolgono nemmeno la parola, se non per ordinarmi di fare ciò che loro vogliono che io porti a termine; non ce la faccio più a stare da sola. Ma perché mi sento così, se ci sono abituata? Eppure, è come se stessi vivendo una nuova vita, dopo essere apparentemente morta.
Effettivamente, mi manca tutto della realtà in cui prima sopravvivevo, e anche mio padre. Infatti, ho tentato di dimenticarmi di lui, allontanandolo e vietandogli di farmi ancora del male, di mia madre, la cui assenza era come una spada affilata che mi trafiggeva l'anima, e di Juuzou, che mai si è curato più di tanto di me; ma loro fanno parte di ciò che sono, nonostante non gliene importi niente. Ho provato a comportarmi da ragazza normale, ma io non sono come tutte le altre. Ho cercato di nascondere di essere debole e di non aver sofferto, ma proprio non ce la faccio a mostrarmi forte. Adesso, nonostante sia sdraiata sul letto d'ospedale, mi sembra di stare cadendo nel vuoto, mentre tutto inizia a farsi buio. Non vedo nulla, ma qualcosa la vorrei notare anch'io. Magari una mano: magari, una che vuole salvarmi. Eppure, non riesco a scorgere niente in questo silenzio tombale; in questo vuoto abissale. Fino a che il nero che mi ha, rapidamente, avvolto, e che ha attanagliato i miei occhi, non sembra ricordami qualcosa: i capelli della donna, con i piedi immersi nell'acqua del mare, erano dello stesso colore di questo incubo. Ed io, non so nemmeno perché, ma voglio trovarla. Devo, perché necessito della sua presenza.
Ad un tratto, poi, il solo pensare a quella figura, mi fa stare meglio e tutto riprende ad avere colore: in fondo, non è mica tutto finito, perché io ho ancora un obbiettivo. Prima, infatti, la mia realizzazione personale era strettamente legata alla vendetta per la morte di mia madre. Ma anche ora posso essere soddisfatta di me stessa. E per essere davvero felice, ho bisogno di studiare a fondo cosa mia madre fu. E per conquistare la vera felicità, devo anche trovare la donna del mio sogno: in cuor mio sono certa che, grazie a lei, non mi sentirò più sola, perché soltanto in sua compagnia, in quel sogno, sono stata davvero sicura di non esserlo.
E se progettassi una fuga?

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"Buonanotte, signorina."-mi saluta l'infermiera, per poi spegnere la luce e lasciare la stanza. Ed io sono contenta: la notte è il momento della giornata perfetto, per fuggire via da ciò che non ci piace; per raggiungere quello che desideriamo, e ripararci da chi ci fa male.
Allora, prese le poche cose che ricordo fossero mie, e messe in un borsone malridotto che ho trovato in giro, mi alzo dal letto, e posiziono sotto le lenzuola un po' di cuscini, per dare l'impressione, a chi verrà a controllarmi, di stare ancora a dormire. Poi, raggiungo la porta,  la apro, e scruto il buio che essa celava. Guardo prima a destra e, infine, a sinistra, e noto che il corridoio è visibilmente vuoto, quindi mi decido ad uscire dalla mia stanza. Cammino, ma quasi in punta di piedi. Drizzo le orecchie, e sto bene attenda a cosa ho davanti, e mi guardo anche le spalle. Tuttavia, ad un certo punto, forse per la troppa prudenza, vado a sbattere contro qualcuno.
Ma non ho nemmeno il tempo di guardarlo in viso, che quel tale mi impedisce di passare e di allontanarmi oltre, ma mi riconduce, con la forza e afferrandomi per il braccio, in camera, dopo avermi impedito di urlare per lo spavento, premendo la sua mano sulla mia bocca, senza farmi troppo male. Poi, chiusa nuovamente la porta della stanza, egli smette di obbligarmi a tacere, e io posso riprendere a respirare a sufficienza. Eppure, il mio rapitore non si allontana da me, ma continua ad essermi parecchio vicino, nonostante non mi stia più toccando.
"Che cosa avevi intenzione di fare, scema?"-mi sento sussurrare, e adesso posso guardare la persona con cui mi sono scontrata in faccia. Infatti, riesco a notare appena, a causa del buio, i corti capelli neri del ragazzo, i suoi occhi scuri, lo sguardo indifferente, cupo e aggressivo con cui continua ad osservarmi, e il camice bianco che indossa, il quale mi suggerisce che anche chi ho di fronte sia un paziente ricoverato in ospedale: niente da fare, passerò un'altra notte in questo posto orribile, lontana dai miei amici e dai colleghi della CCG!
"Se proprio vuoi scappare, lo faremo insieme!"-continua, però, il giovane, sorridendomi. Quindi, i miei occhi si illuminano, e io sono contenta di essermi sbagliata sulle intenzioni del mio complice, mentre nel sorriso del giovane posso ora scorgere un non so ché di malizioso; e di interessante: qualcuno è venuto a salvarmi? Allora, che fuga sia!

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Salve a tutti, come va? ^^
Io sono felicissima di essere tornata a narrare la vita di Mirai, e spero che anche a voi faccia piacere continuare a leggere della sua storia.
Prima di salutarvi, inoltre, vorrei proprio sapere da voi come, secondo il vostro parere, si evolverà il mio racconto, e quali sono le idee che vi siete fatti a riguardo: chi sarà mai il ragazzo che vuole aiutare la nostra protagonista a fuggire dall'ospedale? E del Ghoul che ha aiutato quell'umano che ne pensate?

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