Capitolo 6 (pt.2): Dobbiamo sbrigarci

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Il Principe

Era buio inoltrato nelle Terre del Tempo, e gli zoccoli duri di un bianco destriero risuonavano nella foresta oscura. Erano gli unici rumori in un silenzio etereo, protagonista di vite lontane, timori dimenticati. Quel giorno, però, accompagnavano un giovane uomo e la sua lenta sfilata: la cappa nera che ricadeva sopra il manto candido del suo animale, nascondendolo in parte e danzando nell'aria a causa della velocità; le dita serrate attorno alle redini, che lo spronavano in avanti con fare sicuro.

Il principe cavalcava silenzioso, senza accenni d'affanno, seguendo la larga strada sterrata che risaliva il bosco notturno e giungendo in cima a un'alta collina desolata che affacciava su un cielo nero. Una volta superati gli alti alberi di pino, che divennero sempre più radi fino a lasciar spazio alla radura in fondo, il principe smontò da cavallo con un rapido movimento. Legò il destriero a uno dei rami più vicini e si voltò verso quell'immensa oscurità.

Si fece strada verso la notte che imprigionava le terre oltre la collina.

«Siete proprio sicuro di voler proseguire, mio signore?»

Un fruscio dietro il giovane indicò l'arrivo di James, lo scienziato di corte, che rimase a debita distanza. Non sarebbe voluto andare avanti, il ragazzo lo sapeva... eppure, se solo glielo avesse ordinato, non avrebbe mostrato alcuna esitazione

«Assolutamente certo, James» rispose il principe senza traccia di insicurezza, incrociando le braccia e continuando a studiare il paesaggio silenzioso di fronte a sé. Un imponente cancello nero, alto almeno tre volte il ragazzo, si innalzava nella sua magnificenza incassato nella roccia che sembrava estendersi all'infinito da destra verso sinistra, e viceversa in una barriera impenetrabile. Bloccava la strada di chiunque fosse riuscito ad arrivare fino a quel punto, intimidendo qualsiasi creatura fosse stata abbastanza coraggiosa da spingersi fin lì.

Il principe avanzò con fierezza verso la grande barriera, il lungo mantello che accarezzava la nuda terra. Si fermò di fronte a un piccolo lucchetto quasi invisibile a occhio nudo, perso tra le strette ramificazioni del cancello.

«Un aggeggio tanto minuscolo per un passaggio tanto imponente» sospirò James con sarcasmo malcelato, rimanendo dietro il principe, a debita distanza.

Il ragazzo, intanto, ripescò da dentro la camicia una lunga collana, con a essa legata una chiave nera. La sollevò davanti a sé per un secondo prima di infilarla con decisione nel lucchetto.

Il cancello cigolò.

«Le suggerirei di allontanarsi, mio signore.»

Le labbra del giovane si incurvarono e, con accortezza, iniziò a indietreggiare seguendo i movimenti di quel mostro oscuro. «Rilassati, James. Considera tutto questo come un'occasione per vedere il mondo. Come la chiamerebbe un dyaren... una vacanza

Lo scienziato sbuffò, allontanandosi dal principe fin quando la sua voce non giunse dagli alberi più bui alle sue spalle. «Se intendete una vacanza all'inferno, principe, allora non posso che darle ragione.»

James non aggiunse altro, e il ragazzo attese che il cancello si fosse aperto abbastanza da far seguitare il proprio cavallo. Ne afferrò le redini e lo sospinse in avanti, attraversando il passaggio al centro dell'inferriata.

La chiave, notò distrattamente, era scomparsa.

«Non le nasconderò la mia riluttanza, mio signore. Quest'idea non mi convince del tutto.»

Il principe lanciò un'occhiata dietro di sé, lasciando scintillare gli occhi verde smeraldo sotto il cappuccio nero. «Sei ancora in tempo per andartene, scienziato. La strada per l'Ingresso di Dya è più lunga di quella che ci separa da Chev.»

«Se avessi desiderato rimanere al castello lo avrei detto subito.»

Il ragazzo sospirò, salendo in groppa al cavallo e infilando gli stivali nelle staffe. Al minimo colpo degli speroni lo stallone partì al trotto, seguendo una lunga e stretta strada scarsamente illuminata dalla luna, che si estendeva per quel che agli occhi pareva essere un tragitto quasi infinito.

«Allora vorrai dirmi perché ti lamenti.» Il tono del principe era ora palesemente annoiato, mentre la sua voce rimbombava nella foresta immota.

Seguì un breve silenzio, interrotto solamente dagli spostamenti d'aria causati dai movimenti dello scienziato, che si affiancò al giovane con una risatina.

«Deve pur concedermi il privilegio di parlare, mio signore.» James sembrava divertito. «Altrimenti che piacere ci sarebbe in un viaggio simile. Silenziosi e imbronciati per la gioia del re.»

Il suono dei passi lenti e misurati del cavallo riempiva gli spazi circostanti, e i lunghi rami della foresta sembravano allungarsi verso i due compagni, minacciosi e silenti.

Nonostante il suo atteggiamento pacato, gli occhi del principe continuarono a muoversi senza sosta, posandosi su qualsiasi ombra, in allerta verso qualsiasi scricchiolio.

E quella particolare foresta ne era piena.

«Gli alberi sembrano quasi avere vita» mormorò James, con voce piena di stupore. «Mio principe, lei pensa che...?»

«Non ne sono sicuro.» Il tono del giovane era incerto, titubante mentre l'oscurità li avvolgeva. «L'unica certezza è che la notte è ancora lunga e il silenzio pesante. Dobbiamo sbrigarci se vogliamo arrivare in tempo.»

Fece per accelerare il passo quando il cavallo incominciò a nitrire e scalpitare, minacciando di liberarsi dalla presa del ragazzo e agitando il muso con vigore. Foglie morte vennero smosse dal vento salato che sibilò piano, portando con loro un muto avvertimento che costrinse il principe a bloccare il proprio destriero.

Provò a calmarlo con alcune parole sussurrate in un orecchio, in una lingua candida come la neve.

Una volta che tutto fu fermo, il principe fece voltare lo stallone verso la radura da dove erano giunti poco prima, notando come lentamente i rami degli alberi ai cigli opposti della strada si stessero unendo tra di loro, formando una parete nera e fitta dall'aspetto resistente, che avanzava con lentezza intrecciando forme mai viste e mormorando parole incomprensibili sospese nella notte.

Il principe spronò il cavallo ad avanzare, lanciando un'ultima occhiata verso gli alberi alle loro spalle. Questa volta lo incitò ad andare più velocemente di prima, ma non di corsa, mai di corsa.

Non era saggio correre in quella foresta.

«Dobbiamo sbrigarci» furono le sue ultime parole prima di ripartire, la mascella serrata e lo scienziato al fianco.

Dobbiamo sbrigarci.

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