Capitolo 18 (pt.2): Un nuovo committente

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Lya, 18 anni

«Lya? Sei qui?»

La voce di Tok, il suo migliore amico, la riscosse dalla malsana contemplazione di una delle ultime gabbie che erano state portate nel capanno all'esterno del rifugio, dove il sole batteva poco e nulla e dove gli animali potevano godere della flebile ombra estiva. Prima di andarsene, più di sei anni addietro, il Rostro aveva rinominato quella piccola catapecchia la "baracca degli incubi". L'aveva fatto per spaventare Lya e gli altri bambini, per convincerli a non avvicinarsi agli animali e ottenere senza sforzi il loro rispetto grazie al suo indomito coraggio.

Tutte cose che, adesso, a Lya parevano grandissime stupidaggini.

Nella catapecchia c'erano quel giorno tre gabbie accatastate l'una sull'altra, di cui solamente una brulicava di vita. Al suo interno scorrazzavano impazzite delle orecchie d'acciaio, con i loro occhietti rossi e spaventati che divoravano qualsiasi movimento esterno, attenti a ogni eventuale pericolo.

Quando Lya era entrata nella baracca, ore prima, le bestiole si erano improvvisamente fermate e l'avevano scrutata con attenzione mentre la giovane aveva preso posto di fronte a loro, dando il tempo agli animali di abituarsi alla sua presenza. Quelli si erano avvicinati schivi alle sbarre della gabbia, facendo per annusarla e riprendendo poi a scorrazzare con vitalità, ma con meno foga di prima.

Proprio come la giovane aveva sperato, le orecchie d'acciaio si erano tranquillizzate in fretta, continuando a ignorarla. In un certo senso era uno scambio equo: lei faceva compagnia a loro, mentre le bestiole l'aiutavano a superare una nuova, noiosa giornata.

Quelle particolari orecchie d'acciaio erano state acciuffate il giorno prima da una delle ultime mocciose che Klab aveva condotto al rifugio, Miky, dietro ordine del vecchiaccio e per il divertimento dei suoi amici. La bambina le aveva trovate nel bosco confinante con Lyede'arya, riuscendo a bloccarle con l'aiuto degli altri mocciosi e portandole al cospetto del vecchio la sera stessa. Lya non sapeva ancora molto a riguardo – non rivolgeva mai parole di troppo a Klab, nonostante tutti gli anni trascorsi tra i mocciosi... aveva però sentito dire che quelle particolari orecchie d'acciaio sarebbero state vendute a un ricco collezionista proveniente dalla Costa, dove animali come quelli erano semplicemente impossibili da trovare.

Seguivano il sangue e il metallo, le orecchie d'acciaio. Il ricordo di guerre passate, di gloria dimenticata.

Ce n'erano in abbondanza, in un regno abbandonato come il loro.

Lya sbadigliò, lanciando un'occhiata stanca verso la gabbia dove diversi paia di occhietti rossi erano fissi su di lei, come se avessero capito che a breve la giovane li avrebbe dovuti lasciare soli. Uno degli animali si avvicinò alle sbarre della gabbia, strofinando la testolina contro il metallo e guardando Lya con palese curiosità. Insistette finché la ragazza non allungò una mano e fece scorrere le dita sul soffice manto bianco del coniglio, soffermandosi sulle lunghe orecchie e sentendole fredde al tatto.

Pochi secondi dopo, altri animali si avvicinarono, cercando di attirare l'attenzione di Lya e prendendo a rosicchiare le sbarre. Muovevano distrattamente le orecchie, le pupille rosse puntate su di lei.

«Uno di questi giorni dovrai spiegarmi perché, quando è la mia mano che queste bestiacce vedono, la prima cosa a cui pensano è il cibo» brontolò Tok in tono annoiato, sedendosi accanto a Lya a gambe incrociate. La giovane gli lanciò un'occhiata di sbieco, vedendolo piegare la testa di lato, verso di lei; i capelli rossicci gli ricaddero sulla fronte, il sorrisetto appena accennato rispose al suo sguardo indagatore.

Lya sollevò appena un sopracciglio, mormorando: «Sarà che ti guardano in faccia e si spaventano.»

Tok ricambiò l'espressione con svogliatezza teatrale. «Oppure mi trovano gustoso. Non mi stupirebbe.» Gesticolò verso le orecchie d'acciaio, guardandole torve. «E poi devono essere animali particolarmente stupidi. Insomma, li ha catturati Miky – persino il Biondo riesce a sfuggire a quella ragazzina.»

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