capitolo 1.

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"Perfino il silenzio
ha una storia da raccontarti"

JACQUELINE WOODSON

La mia è questa.
Nacqui nel 1999, sana e vegeta da una madre meravigliosa e un padre straordinario che mi avrebbero accompagnato fino ad un certo punto della mia vita. L'infanzia è quella fase della vita in cui non sai chi sei, perché vivi o dove ti trovi; sai solo di essere vivo e sai di dover vivere a pieni polmoni ogni istante istintivamente. Quando sei piccolo non ti chiedi veramente quante sono le stelle, perché si muore, dov'è Dio o perché le isole si siano allontanate dalla terra, sono tutte domande che arrivano dopo, quando non servono, né tanto meno le vuoi. Arrivano veloci, una dopo l'altra come un treno o un esercito ai confini del mondo, affamate e pronte a consumare ogni neurone disponibile. È da anni che alcune domande mi divorano, la maggior parte delle volte decisi di spegnere il cervello e non pensarci ma altre sono state favorite dal destino. La mia prima infanzia sembra essere stata meravigliosa, feste in giardino, giochi in piscina dentro la nostra villetta, spiaggiate in famiglia o semplici giornate insieme ai miei genitori; Speravo che da due persone meravigliose ne arrivasse una terza, ma sfortunatamente io divenni un disastro pochi anni dopo. Sfoglio piano quelle foto che dovrebbero risalire al '2000, mamma era così diversa, giovane, delicata, pura, non posso fare a meno di ammirarla e di desiderare di avere in dono la sua naturale bellezza, la sua pelle candida, le fossette accanto alle guance, il suo dolce sorriso, i suoi occhi profondi e pieni d'amore. Mamma era stupenda, i suoi capelli mori ricadevano sulle spalle, morbidi e ondulati di natura, seduta sul piccolo trono in pelle che avevamo in soggiorno, era l'incontro tra bellezza e purezza. Accanto a lei, mio padre: spalle larghe, un viso tondo e sorridente, un uomo estremamente dolce e affascinante che rivolgeva lo sguardo all'obiettivo tenendosi tra le sue grandi braccia una piccola bambina. Ero piccola, troppo piccola per accorgermi di tutto quel mondo che mi girava attorno, tutta quella vita, quell'amore che mi veniva dato; soltanto accarezzando queste foto riaffiorano i ricordi e i brividi trapassano la mia spina dorsale facendomi quasi sussultare. Mamma parlava spesso di papà quando ero piccola, diceva che era un gentil uomo, che tutti provavano stima per lui, che faceva del bene, aiutava i poveri e giocava con gli orfani; Me ne accorgo, passando per le strade del mio mondo, la gente urla il mio cognome, sorride, mi saluta e mi offre tutto ciò che ha da offrire raccontandomi di mio padre, come se l'unica paura fosse il buio nella mia mente, un amnesia mattutina che di colpo mi faccia dimenticare chi sono e chi è stato mio padre. Nel pensargli a volte sorrido, mi passo la mano tra i capelli e mi accarezzo le mani, spero che compaia, spero di sentire la sua voce, spero in qualcosa che mi faccia sperare ancora e ancora e ancora ogni giorno. Papá è sempre stato una figura importante nella mia vita, una sorta di salvezza, un qualcosa a cui aggrapparmi nel momento del bisogno perché ogni volta che le fitte di dolore attraversavano il mio corpo, Dio non era abbastanza. A volte ci scambiamo piccoli segreti e scuse, carezze e pianti, a volte mi piace averlo con me e sentirmi protetta e immune a tutti i possibili mali; Mi piace pensare ad una figura maschile nella mia vita, qualcosa che non ho mai avuto, un ruolo che un fidanzato o un marito non potrà mai ricoprire. Mi chiedo ogni giorno se la sua presenza avrebbe influito più o meno nella mia vita, che donna sarei oggi, quali sarebbero le mie passioni e quali sarebbero i miei dolori, ma non trovo risposta. Mamma tira fuori le sue foto occasionalmente, sorride e mi dice che gli assomiglio tanto, i suoi occhi sono lucidi e brillano, mi chiedo se lo ama ancora, se smetterà mai di amarlo così follemente, se un giorno tornerà ad essere quella di prima. Il giorno del mio secondo compleanno, papà morì e in quel momento mamma perse tutto, era in macchina con un amico a fare commissioni finché per colpa di una piccola distrazione finirono schiacciati in una morsa da cui riuscì a salvarsi soltanto il suo amico, attualmente mio zio, con una gamba distrutta. Non ricordo niente della sua morte e tanto meno della reazione di mamma ma ciò che mi ricordo bene è che da allora la nostra vita cambiò radicalmente. Mamma rimase in lutto per molti mesi poi la vidi armata di un borsone pieno di roba, mi prese in braccio e quel giorno andammo da alcuni zii, passammo con loro la notte e il giorno dopo mamma mi salutò in lacrime e se ne andò lasciandomi con la promessa di tornare a riprendermi. Era partita per un lungo viaggio per l'Italia dopo aver cercato lavoro in tutti i posti possibili del nostro paese, ma chi avrebbe fatto lavorare una donna in lutto con una bambina sulle spalle in un paese arabo? Ve lo dico io, Nessuno. Partì in aereo e appena approdata in Italia venne accolta da una sua sorella per un piccolo periodo, lavorò in ospedale come adetta alle pulizie e ogni tanto mi mandava vestiti e soldi che poi non mi venivano dati ma di cui facevano beneficio i figli dei miei zii. Fù terribile per mamma scoprire che tutto quel lavoro, quel sacrificio, andasse ad altri e non a sua figlia.

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