Capitolo 6

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Non ho la più pallida idea di dove sono quando qualcuno mi picchietta sulla spalla con le dita. Apro un occhio e vedo papà sorridermi. -Siamo atterrati tesoro, è ora di scendere.- Osserva Dylan e ridacchia. -E mi meraviglio di come sia riuscito a dormire tanto, in una posizione così scomoda...
-Non che io sia comoda, con addosso lui.- Gli pizzico forte una guancia e Dylan fa un istintivo salto lontano da me. Si lamenta un po', strofinandosi la guancia e poi mi rivolge un'occhiata risentita. -Perché mi hai fatto male?-
-Non lo so. È il primo modo in cui mi è venuto in mente di svegliarti, visto che siamo arrivati.- Mi slaccio la cintura di sicurezza e faccio per alzarmi, ma un mal di schiena e un mal di collo atroce me lo impediscono. -Beh, potevi anche evitare. Bastava che mi scrollassi una spalla.-
Mi vengono i sensi di colpa per averlo svegliato così male, ma a volte faccio le cose istintivamente, senza pensare.
Mi alzo lentamente e metto via i libri nello zaino, poi seguo Dylan e mio padre fuori dall'aereo. Prendo il trasportino di Felpato e lo porto con calma, visto che il cucciolo dentro sta dormendo. Ha fatto la carogna a metà volo, ma alla fine sono riuscita a mettergli in un pezzo di prosciutto -che mi sono fatta dare dalla hostess- una pastiglietta di tranquillante e si è addormentato poco dopo (siamo riusciti a non metterlo in stiva pagando una tassa in più perché è ancora un cucciolo).
Quando esco dall'aereo noto che è pomeriggio inoltrato e la cosa mi confonde abbastanza. Come è possibile la partenza alle sette del mattino per poi ritrovarsi, dopo più di quindici ore di volo, nel bel mezzo del pomeriggio dall' altra parte del mondo? Più cerco di spiegarmelo, peggio è. Mi viene il nervoso solo a pensarci.
Dalla pista ci dirigiamo al ritiro bagagli, dopo aver superato gli ultimi controlli, e poi siamo fuori.
Prendiamo un taxi e sento Roberto dire Deep Cove, ma il nome della strada non riesco a sentirlo, perché Dylan, spiaccicato accanto a me, mi parla. -Mettiti comoda ragazza mia, abbiamo un'oretta ancora di viaggio da fare. Tolgo Felpato dalla gabbietta e me lo posiziono sulle gambe; dorme ancora e se gli alzo una zampa questa ricade inerme, come se fosse morto.
Sbuffo annoiata. -Ancora? Ormai il mio culo è diventato piatto, potrei fare la tavola da surf.- Dylan ridacchia. -Per i miei gusti il mare qui è un po' troppo freddo, ma se vuoi andare a congelarti le chiappe... fai pure.-
-Dimenticavo che tu sei freddoloso.- E visto che sono bastarda allungo lentamente le mie dita pallide e fredde e gliele appoggio sul collo caldo. Si irrigidisce e spalanca gli occhi, poi inspira di botto. -Che mani da morto, cristo santo! Mi hai persino fatto venire i brividi.-
E dopo avermi mostrato il braccio con la pelle d'oca si vendica. Mi pizzica le gambe e la pancia, dove sa che mi fa male, visto che ho un leggero strato di ciccia protettivo. Mi accartoccio su me stessa dal dolore, sento ancora le impronte fantasma delle sue dita pizzicarmi la pelle. -Va bene, mi arrendo.- Dico con voce lamentosa. Dopo questo trambusto il cucciolo non si è ancora svegliato, meglio così. Gioco un po' con le sue orecchie morbide e mi perdo via a osservare il posto intorno a me, un po' grigio e triste.
-Adesso capisco perché sei così precisa quando uccidi qualcuno. Sei fredda, sia fisicamente che mentalmente e brava a cercare punti deboli, anche se i sensi di colpa non sono il tuo forte.- Mi sussurra all'orecchio per non farsi sentire dall'autista. Gli lancio un'occhiataccia della serie "è meglio se ne parliamo dopo".
Dopo quelli che mi sembrano venti minuti passiamo sopra un fiumiciattolo, il Fraser, dal colore improbabilmente verdognolo, in cui sono stipati un sacco di tronchi di legno, legati tra di loro e ancorati a qualcosa in modo che non si mettano a viaggiare per i cavoli loro. Per altri venti minuti l'autista guida in linea retta su knight street e infine ci troviamo vicino al porto, disseminato di conteiner di tutti i colori. Costeggiamo la strada fino ad arrivare ad un altro ponte e poi svoltiamo verso destra. Tutti gli edifici, le zone industriali e il grigiume lascia spazio a delle abitazioni più piccoline e contenute, circondate da molta vegetazione. La cosa che mi piace è che non mi sono persa, nonostante io abbia il navigatore in mano, perché la strada è tutta dritta e abbiamo girato raramente. Ci ritroviamo a un semaforo su cui c'è il cartello blu di Deep Cove e giriamo a sinistra, passando davanti al Raven Pub. Devo tenerlo a mente, potrebbe essere un bel posto per uscire. In meno di dieci minuti l'autista svolta in una via, Badger Road, leggermente in salita e arriviamo poco dopo. Ci fa scendere e ci aiuta a tirare fuori i bagagli e dopo che Roberto lo ha pagato se ne va. -Venite, per di qua.- Ci fa segno con la mano di seguirlo, e così facciamo. Saliamo ancora, in una vietta dentro la via, finché non entriamo praticamente dentro la foresta. Dopo una curva a sinistra e una a destra relativamente grandi -anzi, grandi abbastanza da farci passare un tir- posso finalmente vedere dove vivrò per il prossimo e imprecisato tempo. Tiro un sospiro di sollievo all'idea che non dobbiamo vivere nel grigiume in cui siamo passati mezz'ora fa. Si presenta davanti a noi in tutta la sua imponenza di pietra e vetrate dall'aspetto gotico. -Ho visto solo la facciata e già la adoro.- Dico entusiasta.
-Vedrai dietro. Se la adori adesso, dopo non vorrai più andartene.- Dylan mi bisbiglia all'orecchio prima di sorpassarmi con la sua valigia nera. Sale i tre gradini di pietra circondati da aiuole fiorite e piene di colori e seguendo il padre entra nel maniero. Papà mi si avvicina e poggia una mano sulla mia spalla, stringendola leggermente. -Tuttto bene Sienna?-
Annuisco e metto una mano sopra la sua, battendo dei colpetti, poi entriamo anche noi.
Direttamente alla nostra sinistra si apre il salotto, diviso dal corridoio. Io e papà gli diamo uno sguardo veloce, poi proseguiamo. In fondo sulla destra sia apre la porta della cucina, il cui pavimento cambia dal legno scuro di mogano a delle piastrelle bianche e squadrate. Sono orrende, così guardo papà per vedere se ha avuto la mia stessa impressione. Ha la fronte corrugata e le sopracciglia sono una l'opposto dell'altra; osserva il pavimento e poi ride, incamminandosi vero le scale che si trovano a qualche metro dalla cucina. Papà sale le scale facendo un rumore bestiale con il suo trolley, ma io aspetto un attimo, perché ho notato una cosa strana nel corridoio in fondo alla casa, che passa proprio dietro al salotto e alla cucina. Sulla sinistra, c'è una porta che dà verso l'esterno, credo sul giardino del maniero, mentre a destra, sul pavimento di legno scuro c'è un anello di metallo. Suppongo sia una botola, ma potrebbe anche essere una specie di sgabuzzino, visto che non è chiuso a chiave. Ci penserò dopo, quando avrò sistemato le mie cose. Salgo le scale, passo un piccolo pianerottolo, con una finestra gotica che fa vedere l'esterno. Pensavo ci fosse un giardino, invece ci sono parcheggiate tre auto. Una jeep grigia e abbastanza sporca, una Camaro blu e una Ford mustang nera nuove di zecca. Mi spiaccico contro il vetro e sto lì a guardarle per almeno cinque minuti. Sono belle lucide e pulite, i cerchioni che splendono e i motori silenti che aspettano solo di poter ruggire.
Riprendo a salire e trovo papà e Dylan che parlano della camera da prendere in un corridoio strano, a forma di clessidra. Nella parte più stretta di sinistra vedo una porta dove entra Roberto.
-Tranquillo, non ti fare problemi, prendi pure la mia stanza, così quando tu e mio padre dovrete parlare di affari io Sienna non vi daremo fastidio.- Papà ringrazia con un cenno del capo ed entra in una stanza a destra, la cui porta non è nella parte stretta del corridoio, ma è vicina a delle altre scale, molto più strette di quelle da cui sono salita. Dylan comincia a salire e io lo seguo, osservando che siamo tornati sul davanti della casa, che si può vedere dalle finestre accanto alla scaletta.
Mi ritrovo al terzo e ultimo piano, in cui c'è un piccolo salottino con dei divani piuttosto antichi, ma dall'aria morbida. Mi ci siedo e sprofondo nella comodità. Dylan fa lo stesso sul divano davanti al mio. Dalla mia postazione vedo due porte, una proprio dritta davanti a me e una nell'angolo tra due muri.
-Allora, cosa te ne pare?-
-Per quel poco che ho visto direi che è particolare, ma mi piace tantissimo.-
Dylan sorride e poi si alza. -Forza, non vuoi scegliere la tua stanza?-
-Uh, posso scegliere?- Batto le mani contenta come una bambina ed entro nella prima a destra, quella nell'angolo. È una stanza molto spartana, ma è carina. Nascosta alla vista da un armadio c'è un'altra porta, che conduce in un bagno. Esco velocemente sotto lo sguardo cristallino e divertito di Dylan ed entro nell'altra, sorpassando il salottino. Proprio davanti a me c'è l'antibagno e sulla destra c'è la porta della camera da letto.
Appena entro so già che questa sarà la mia stanza. Un letto enorme è posizionato davanti a tre finestre che danno sulla foresta. Vado subito a osservare e mi incanto. -Ok, ho capito, io prendo l'altra.- Ride Dylan.
Mi siedo sul letto e nel frattempo sento uno zampettare sul legno, segno che Felpato si è svegliato. Lo chiamo e lui arriva, un po' correndo, un po' zoppicando per via del tranquillante che ha ormai esaurito il suo effetto. Salta agilmente sulla panca imbottita di cuscini che si trova direttamente sotto le finestre a forma di mezzo esagono che sporgono dalle pareti del maniero.
-Non uscirò mai più da questa stanza, garantito.-
Mi sdraio sul letto a due piazze e Felpato mi raggiunge, leccandomi la faccia. Lo coccolo un po', poi sento Dylan entrare e sdraiarsi accanto a me. -Allora, ti piace?-
Mi giro a guardarlo e sorrido. -Come potrebbe non piacermi? È enorme, ariosa e luminosa, ma rispetta anche la privacy. Non che sia possibile guardare dentro da chicchessia, visto che siamo in mezzo al bosco.
-Beh, sono contento. Benvenuta a casa mia.-
-Grazie Dylan. C'è una cosa che volevo chiederti.-
-Dimmi tutto.- Si mette comodo, allacciando le dita tra di loro e mettendole sotto la testa. Io mi alzo sui gomiti per poterlo vedere bene in faccia. -C'è una botola al piano terra, dietro alla cucina, dove porta?-
-Sei incorreggibile e non perdi tempo, vero curiosona?- Scuote la testa e sorride.
-C'è il sotterraneo per le armi e una piccola palestra per allenarsi.- Alla parola palestra sbuffo. Chi mai ha voglia di fare così tanto esercizio?
-Capito. E li sopra invece?- indico il soffitto della sporgenza di pietra semi-esagonale.
-Non ti sfugge niente eh?- Sia alza e si dirige verso la botola del soffitto, aprendola e tirando giù una scaletta di legno. Comincia a salire e mi invita a seguirlo.
Ci ritroviamo sul tetto e quello che vedo mi lascia quasi senza parole. Davanti a me posso vedere chiaramente tutte le casette che ci sono sotto di noi, e più avanti, dopo un paio di isolati, c'è una piccola rimessa per le barche. Dietro di noi invece si apre la foresta, che copre tutta la montagna.
-Beh, io da qui non me ne vado più.- Rido e rimango a osservare il panorama e il viavai di gente a piedi o in macchina, anche se sono pochi.
Dylan torna dentro, ma lascia aperta la botola per me. Mi perdo via completamente nei miei pensieri, sul fatto che dovrò cominciare una nuova scuola, in un continente diverso e dovrò stare a contatto con altra gente. La cosa non mi piace per niente. Vado a sedermi sull'orlo del tetto e faccio dondolare le gambe nel vuoto.
Dei passi mi avvisano che qualcuno si avvicina a me e capisco che è papà dal suo passo leggermente strascicato.
-Cosa ci fai quassù Sienna?- Mi chiede, mettendo un braccio intorno alle mie spalle.
-Pensavo.- Rispondo vagamente.
-A cosa?-
-Niente di particolare.- Non gli dico la verità perché non voglio che si preoccupi per me e perché so che ce la posso fare da sola a superare queste cose.
Papà mi osserva, non è convinto di ciò che dico, però non ribatte. -Vieni, ho una sorpresa per te.- Sia alza e mi tende la mano, così la afferro e scendiamo fino al piano terra, dove usciamo dalla porta che si trova dietro al salotto.
La jeep è sparita, ma ci sono ancora quelle nuove. -Una delle due è tua. Quale?-
-Oh mio dio, che figata!- Comincio a saltellare come una scema intorno alla Ford mustang nera e lucida.
-Grazie pà!- Lo abbraccio con forza. Poi mi sorge il dubbio. -Ma io non ho la patente internazionale.- So guidare benissimo la macchina, ma se sei minorenne in Italia la patente ti fa ciao ciao con la manina.
-Ne ho fatta fare una.- Tira fuori i documenti falsi dalla tasca dei pantaloni e mi sorride furbescamente.
Rido e poi papà mi lancia le chiavi.
-Dai, andiamo a fare un giro.-
Esulto come una pazza, ma alla fine mi sistemo sul sedile di guida e partiamo. Il rombo del motore è così familiare e potente che mi rilassa in men che non si dica. Esco dal vialetto e faccio fare un giro alla mia bambina, nuova di zecca.
Sulla via del ritorno passiamo davanti a una pizzeria, così ci fermiamo e ne ordiniamo quattro da portare via.
Tornati a casa ci mettiamo subito a tavola. Dylan appena sente che c'è cibo in tavola corre giù per le scale, rischiando di rompersi l'osso del collo.
-Dov'è, cos'è e perché?-
-È pizza!- Gesticolo davanti alla sua faccia come se stessi facendo una magia e poi vado a sedermi.
Passiamo una serata ridendo e scherzando, tralasciando il fatto che la pizza faceva schifo, visto che al posto del pomodoro c'era il ketchup. Ma soprattutto ho la sensazione che potrei abituarmi più in fretta di quanto pensavo. E non è per niente male.

Bentornate ragazzuole. Ho fatto uno sgarro al mio studio, visto che a breve avrò un altro esame e ho scritto un altro capitolo.
Dal prossimo prometto che le cose cominciano seriamente a movimentarsi!
Alla prossima, Beffii

L'orma del lupoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora