8. Promessa

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Mi scuso per l'immenso ritardo, un bacio e buona lettura.



Un fuoco caldo ardeva, cercava di riscaldare un freddo intenso.
Un freddo che regnava non soltanto all'interno della mura e fuori, nel regno esterno.
Un gelo che dominava, persino, gli animi dei soldati, indebolendoli.
Un gelo che si era impadronito del cuore di Yuno, costringendo la giovane ad inginocchiarsi davanti al calore con, dentro le mani chiuse a pugno, quel che restava di qualcosa di caldo.
Piacevolmente caldo.
E, nonostante tutto quel freddo, il fuoco continuava a vivere, sotto gli occhi di migliaia di persone stanche e spaventate, che lo imploravano di restituire coloro che aveva inghiottito.
Mentre negli occhi di Jean, l'immagine delle fiamme, anch'essa, rimaneva viva.
Dentro al petto, una promessa ardeva.
E magari, quel fuoco avrebbe, presto, sciolto il pezzo di ghiaccio che, tanto tempo fa, aveva preso il posto del suo cuore.

               •••••••

Jean, come di suo solito, camminava a passo svelto, ma per nulla deciso.
Sapeva dove doveva andare, ma non dove aveva voglia di andare.
O forse si, ma non poteva.
Perché anche se avesse avuto il coraggio di recarsi da Yuno, di certo, a quest'ultima l'idea non sarebbe piaciuta.
Avrebbe voluto vederla, parlarle.
Dirle che le dispiaceva.
Anche se, in realtà, questo avrebbe comportato la necessità di mentire, perché a Jean non dispiaceva affatto di aver rimasto Marco tutto solo davanti a quei giganti, e di essersi salvato.
Tuttavia, avrebbe voluto dirle qualcosa.
Qualsiasi cosa che l'avrebbe risollevata.
Ma, alla fine, a cosa sarebbe servito?
Yuno, infatti, odiava Jean.
Oramai, lo odiava con tutte le sue forze.
Eppure Jean l'aveva giurato al suo amico: aveva promesso che l'avrebbe salvata.

               •••••••

Agli occhi del nostro soldato, era già visibile l'abitazione di legno, nella quale era cresciuto assieme ai suoi genitori.
Assieme a Marco.
Jean riusciva a intravedere, adiacente alla sua, anche la piccola casetta dove l'amico d'infanzia era nato, cresciuto.
Dove aveva trascorso giornate belle e altre brutte.
Dove aveva deciso di diventare un soldato.
Ma non uno qualunque.
Il più forte di tutti.
Marco era sempre stato, infatti, un tipo coraggioso, forte.
Il soldato ricordava ancora con quanta dolcezza e volontà sorrideva alla vita.
Alle cose belle e a quelle brutte.
Con quanta gentilezza si avvicinava ai bambini del villaggio, con quanta disponibilità si preoccupava per gli altri.
Jean ricordava, perfettamente, la bontà con la quale si avvicinò anche a lui, quel giorno, e gli tese la mano, dopo aver asciugato le lacrime sul suo viso.
Quando lo invitò a guardare ciò che Jean non ebbe mai il coraggio di osservare.
Quando, insieme, alzarono il volto in direzione del cielo.
Un cielo che, l'avevano promesso, sarebbero riusciti a osservarlo tutto, un giorno.
E quella parte di cielo, che si estendeva fuori dalle mura, la immaginavano, la disegnavano con i pastelli, la sognavano tutte le notti.
Una parte di cielo che soltanto Jean, però, sarebbe riuscito a osservare dal basso, ora che Marco non c'era.
Eppure ne era sicuro: Marco non avrebbe avuto più bisogno di ammirare il cielo.
Ora che tutto il cielo era suo.

               •••••••

"Scemo! Scemo! Scemo!"
Le urla dei bambini del villaggio, che gridavano all'unisono contro il piccolo Jean, alle sue orecchie parevano durare per sempre.
E anche quando, in realtà, nessuno lo trattava male, il bambino si copriva il viso con entrambe le mani e scoppiava in un pianto, senza fine o soluzione.
Quando iniziava a piangere, infatti, nessuno era capace di consolare Jean.
La madre e il padre tentavano in tutti modi di rassicurare il loro figliolo, ma invano: nemmeno tra le loro braccia, il bambino riusciva a sentirsi al sicuro dagli insulti dei suoi compagni.
E anche quel giorno, Jean era rimasto immobile, davanti al gruppetto di ragazzini che lo indicava, lo prendeva a calci, ridendo e divertendosi.
Quel giorno, come tutti, Jean rimase fermo in un angolo e, quando i bulli erano troppo lontani per sentirlo, portandosi le mani in viso, lasciò che, dai suoi occhi, scendessero lacrime.
Le lacrime del codardo.
"Perché te ne stai tutto solo in un angolo?
Sai, ho visto che quelli ti maltrattavano.
Ti hanno fatto male, per caso?"
Alla voce del bambino con corti capelli marroni e lentiggini sulle guance, Jean rispose muovendo, lentamente, la testa prima su e poi giù, annuendo.
A quel punto, il piccoletto, che gli si era avvicinato senza farsi troppi problemi, afferrò la mano di Jean, intenta a nascondere la sua faccia, e la allontanò dal piccolo viso del bambino.
"Io conosco un modo per stare meglio, lo sai?"
A quelle parole, Jean sgranò gli occhi, curioso: anche lui voleva stare bene, per una volta.
Marco, sorridendo, suggerì all'altro di alzare lo sguardo e quest'ultimo obbedì in fretta.
"Lo vedi? Non è bellissimo?"
"Ma io non vedo altro che il cielo..."
"Esattamente. Non credi anche tu il cielo sia meraviglioso?"
"Sarà..."
Jean, deluso, abbassò lo sguardo e lo riportò a terra, mentre una lacrima silenziosa percorse la sua guancia.
Marco se ne accorse, e per un attimo il suo sguardo sembrò triste.
"Devi sapere che il cielo che ora noi stiamo guardando, in realtà, è immenso e si estende anche fuori dalle mura."
"E chi se ne frega? Tanto quello lo possono vedere soltanto i soldat-"
"I soldati."
Gli occhi del castano presero a brillare di una luce intensa, e il suo cuore iniziò a battere sempre più forte.
"Già..."
E la sua mente non era più lì, ma vagava nel monto esterno.
Ne esaminava la bellezza.
"Il mio sogno..."
Marco si voltò, di scatto, verso il suo compagno, che lo guardava annoiato, facendolo sobbalzare per lo spavento.
"...è proprio quello di diventare un soldato!"
Ascoltate le sue parole, Jean non riusciva più a trattenersi, e incominciò a prendersela con il castano.
"Io non diventerò mai un soldato, capito?
Io sono un codardo, lo sanno tutti oramai!
Non so difendere nemmeno me stesso, figurati se riesco a proteggere le persone a me care!
Io mi odio! Mi odio perché sono debole!"
Alle parole cariche di rabbia di Jean, però, Marco non sapeva come rispondere: non gli era mai capitata una cosa simile in tutta la sua vita.
Non sapeva come rispondere, ma allo stesso tempo sapeva cosa rispondere.
E a quel punto, Marco tirò fuori tutto il coraggio e la forza che aveva nell'animo, sfoderò lo sguardo più intimidatorio che conosceva e costrinse l'altro a guardarlo negli occhi.
"Si, è vero. Tu sei debole."
Jean, che pensava di ricevere delle parole dolci e di consolazione, diventò ancora più triste.
"Ma anche io sono debole, proprio come te.
Ed è per questo, che io e te diventeremo dei soldati. Ai forti non interessa niente degli altri, mentre i deboli si preoccupano sempre di aiutare il prossimo. E sai perché ci riescono?"
Jean non lo sapeva.
Non capiva.
"Perché sono forti. Si! I deboli sono i più forti di tutti. I deboli sono più forti di quelli forti!"
E in quel momento, Jean vide scappare colui che sarebbe potuto diventare il suo primo amico.
Mentre il rumore dei passi del castano veniva accompagnato dai singhiozzi di un debole.

Il giorno dopo, il bambino dai corti capelli castani e dalle tante lentiggini era impegnato a osservare il cielo sul muretto, che separava casa sua da quella di Jean, quando il suo amico uscì dalla piccola abitazione di legno.
Si muoveva a passi svelti, ma poco decisi, come di suo solito.
Eppure, quel modo di camminare Marco lo adorava.
Il modo di camminare dei deboli.
"Te lo prometto. Io diventerò un soldato!
Diventerò forte e allora potrò difendermi da chi mi tratta male e non mi rispetta!"
Marco sorrise, ma senza prestare molta attenzione a quello che l'amico aveva da dirgli.
Perché, infondo, lui sapeva cosa Jean stava blaterando, anzi, avrebbe voluto dire al suo compagno la verità.
Ciò che pensava veramente di lui.
Ma il bambino non gli diede il tempo di farlo, perché se ne andò via, arrabbiato.
Eppure, il castano ne era sicuro, Jean era forte.
Era forte perché era debole.

               •••••••

La promessa che aveva fatto al suo vecchio amico viveva nel cuore di Jean, ma assieme ad un altro giuramento.
Uno ancora più vivo.
"Marco, io non sono forte, e non so se lo riuscirò mai a diventare. Ma io te lo giuro. Io proteggerò Yuno!"
E Jean si rivolse al vento.
Al vento che muoveva il suo mantello verde e che faceva battere le ali della libertà.

E se mai non fosse riuscito a vedere il cielo, sicuramente gliene avrebbe parlato Marco.
O l'avrebbe fatto Yuno.
Perché lei, Jean lo aveva promesso, lei ce l'avrebbe fatta.
E il ghiaccio del suo cuore era stato, finalmente, sciolto, da una promessa che ardeva nel suo cuore.

Soldato [Completata]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora