Era marzo quando Valentina lo vide per la prima volta.
Era un giovedì cupo, anonimo e uggioso. Non aveva fatto altro che piovere per giorni e alla fine, non riusciva più a sopportare l'aria rarefatta e stantia della sua immensa casa a città del Vaticano. Del resto, quell'attico che suo padre aveva comprato era così grande per una ragazza di poco più di vent'anni, che aveva appena smesso di studiare. Da bravo avvocato anzi, il miglior penalista di Roma, aveva programmato la vita della sua unica figlia per filo e per segno: avrebbe seguito le sue orme, sarebbe entrata in tribunale, avrebbe fatto carriera e, chissà, magari un giorno sarebbe diventata quel giudice che lui non era mai stato. Ma d'altronde aveva passato tutta la vita a difendere i cosiddetti "indifendibili": assassini, spacciatori, truffatori, ladri. Quasi tutti legati alla mafia, per essere sinceri. E ora non poteva più tirarsi indietro. Ma Valentina aveva tutte altre aspettative: voleva una vita semplice, modesta e tranquilla, proprio come avrebbe voluto sua madre. Ma lei non c'era più, e ora si ritrovava da sola a Roma in una immensa e sfarzosa gabbia dorata che, proprio in quel momento, parve soffocarla. Presa da un attacco convulso di claustrofobia nervosa, la giovane decise che era arrivato il momento di uscire; con o senza il sole. Si avvolse in un cappottino di lana cotta, legandosi un foulard di chiffon nero al collo. Prese una piccola borsetta, dove infilò solamente le cose necessarie per la sua piccola passeggiata pomeridiana. Poi però un pensiero la fece arrestare di colpo, quasi facendole cambiare idea. Posò la pochette sul bancone della cucina, e con cautela si avvicinò alla finestra del salotto che si affacciava direttamente sulla strada principale del suo palazzo. Roma era una città molto caotica, ma quando pioveva le persone sembravano innervosirsi con una facilità quasi disarmante. Le macchine sfrecciavano a grande velocità sulla via asfaltata da piccoli e solidi sampietrini, e le persone passeggiavano lentamente sui marciapiedi brandendo i loro grandi ombrelli. Poi la vide. Una decapottabile rossa, parcheggiata dall'altro lato della strada. Erano già due giorni che la vedeva appostata lì. Due giorni. Proprio da quando suo padre era partito per curare degli affari di lavoro per uno dei suoi clienti importanti e letali. E Valentina non era ingenua. Sapeva che suo padre era stimato tanto quanto era odiato. Si morse piano un labbro, e scostandosi nervosa da quella piccola finestra, si diresse ad ampie falcate verso la sua camera da letto, facendo riecheggiare sui pavimenti di marmo i piccoli tacchi delle due décolleté scure. Con grande decisione e disinvoltura, la giovane si raccolse appena i lunghi boccoli color ebano in una piccola coda disordinata mentre, mettendosi in ginocchio, cominciava a guardare sotto il suo grande letto a due piazze foderato da morbide trapunte color pastello decorate a mano. Ci mise un paio di minuti buoni prima di trovare una piccola custodia rinforzata di metallo che all'interno conteneva una beretta quasi nuova di zecca. Era il regalo di diciott'anni del suo padrino di battesimo, amico di famiglia e cliente fedelissimo di suo padre. Erano passati anni dalla prima volta che l'aveva usata. E il solo ricordo le faceva ancora sentire un sapore amaro in bocca. Non riuscì allora a nascondere un certo tremore nella mani quando se la trascinò dietro per riporla all'interno della sua elegante borsetta. Ma dopotutto oramai era una donna adulta, ed era sola. Avrebbe dovuto cominciare a difendersi, e dimostrare a suo padre di che pasta era fatta.
***
La pioggia picchiava forte sul vetro della sua macchina, quasi a scandire ritmicamente lo scorrere del tempo in quel giovedì di marzo. Inizialmente il Nero non volle crederci alle parole di Nembo Kid, quando quest'ultimo gli affidò il nuovo incarico da parte di zio Carlo. Amava fare quello per cui chiunque altro si sarebbe tirato indietro. Amava l'azione, premere il grilletto al momento giusto. Non aveva paura di niente, neanche di morire, e questo tutti lo sapevano. Eppure questa volta era diverso. Non era una rapina, o un attentato ma giusto il contrario. Doveva "sorvegliare" e "proteggere" una persona. Una donna, per dirla tutta. E questo, onestamente, non gli piaceva affatto. Ma Valentina Bracaglia era pur sempre la figlia del loro avvocato di fiducia, nonché la figlioccia dello stesso boss. E al volere di Zio Carlo non poteva certo rifiutarsi. Per fortuna si trattava solamente di un lavoretto di pochi giorni, il tempo di permettere al padre di risolvere alcune scartoffie in Sicilia. La noia sarebbe presto finita e lui sarebbe tornato ad occuparsi di questioni decisamente più stimolanti. Chiuso nella sua auto da ben due giorni, con la pioggia che cadeva a dirotto, Nero non aveva fatto altro che guardarsi intorno e aspettare, in silenzio. La sua protetta era rimasta sempre in casa senza lasciarsi mai vedere, ma a giudicare dalla fotografia datagli dal collega, la ragazza doveva essere di pochi anni più piccola di lui. Aveva dei lineamenti gentili e molto sinuosi, la pelle chiara e lunghissimi capelli scuri che le incorniciavano il visto e le spalle con onde morbide ed eleganti. Una bella donna, tutto sommato. Non che a lui interessasse più di tanto. Anzi. Quasi non vedeva l'ora di lasciarla alle cure del padre. E se i suoi piani erano corretti, non avrebbe dovuto fare altro che starsene lì ad aspettare per altri due giorni. Poi, tutto sarebbe tornato come prima. Tuttavia, proprio quando aveva appena finito di formulare il suo pensiero, vide il grande portale ligneo del suo palazzo spalancarsi pesantemente, lasciando intravedere una giovane figura slanciata e ben vestita uscire di tutta fretta sotto la pioggia, senza neanche un ombrello. Era stata molto rapida, ma la riconobbe subito dalla folta chioma color ebano, che parve danzare ad ogni suo passo. Sapeva bene che avrebbe dovuto seguirla, ma con la macchina sarebbe stato troppo rischioso. Non doveva lasciarsi scoprire e lui del resto era il maestro della discrezione. Facendo roteare i suoi grandi occhi chiari contro il cielo, quasi con tono scocciato, il giovane si aggiustò la pistola con la canna rivolta all'interno dei pantaloni, per poi sollevare la zip del suo pesante giubbotto di pelle nero. Scese frettolosamente dalla sua auto cominciando subito a pedinarla. Per più di dieci minuti rimase a quasi cinque metri da lei, con le mani nelle tasche e lo sguardo basso. La pioggia era molto fitta, e lo aveva letteralmente travolto, portandogli la frangia scura più volte sugli occhi, quasi impedendogli la visuale. La ragazza, del resto, gli sembrava piuttosto confusa. Camminava a passo svelto e ben modulato, ma cambiava direzione più e più volte, allontanandosi parecchio dalla zona di casa e addentrandosi per i vicoli stretti e trafficati di Trastevere. Era snervante, doveva ammetterlo. La vide poi arrestarsi di colpo all'incrocio con un passetto molto più stretto e dal terreno frastagliato e irregolare. Istintivamente si chiese per quale dannato motivo avesse scelto di addentrarsi proprio lì. Era poco illuminato e con il baccano provocato dalla folla che passeggiava nelle vie principali, non si accorse minimamente che si trattava di un vicolo cieco. Lo capì soltanto quando la seguì al suo interno: c'era un solo lampione mal funzionante che gli fece immediatamente notare un muro alto e ammuffito. L'odore non era nei migliori, probabilmente a causa dei rifiuti addossati agli angoli del viottolo. Eppure lei era lì, a pochi metri da lui con una pistola carica in mano: aveva il volto pallido e ben sagomato, un naso elegante e delle labbra rosee, sottili e quasi tremanti, ma non capì se fosse per il freddo o la paura di ritrovarsi uno sconosciuto davanti. Ma ora che poteva guardarla bene, completamente fradicia da testa a piedi proprio come lui, Nero riuscì a vedere due grandi occhi verdi che parvero ribollire. La ragazza avanzò ad ampie falcate, e senza smettere mai di guardarla, il moro sollevò appena ambo le mani, in segno di resa. Quando c'era ormai a malapena un metro a dividerli, l'uomo abbassò lo sguardo dai suoi fari verdi per osservarle la mano che teneva una beretta con presa salda e decisa. Era armata, lo era sempre stata. Avrebbe dovuto prevederlo.
-Adesso tu mi dici chi cazzo sei e perché mi stai seguendo- la sua voce era calma anche se tutto il suo viso mostrava una certa tensione. Era agitata, ma non aveva paura. Tutt'altro. La vide concentrata e determinata. E questo, doveva ammetterlo, lo stupiva alquanto.
-Io sono il Nero. E non ti stavo seguendo. Zio Carlo mi ha chiesto di tenerti sotto controllo e proteggerti- rispose dal canto suo tornando a guardarla, mantenendo comunque la sua solida compostezza. Aveva una voce calda e vellutata, a tratti quasi rassicurante. E alla sua affermazione, il moro vide la giovane donna inarcare un sopracciglio verso l'alto, quasi in segno di stizza e stupore al tempo stesso:
-Zio Carlo? Me lo avrebbe detto...-
-Evidentemente non voleva allarmarti- alla pronta risposta del Nero, Valentina fissò l'uomo innanzi a lei con una attenzione quasi maniacale. Era di qualche centimetro più alto di lei, spalle ampie ma di corporatura snella. Una folta frangia corvina sembrava colare, assieme alla pioggia, sul suo viso affilato e candido. Ma ciò che la inquietò di più furono i suoi occhi, maestosi e dalla forma languida che la fissavano con una austerità quasi glaciale. Come se, in effetti, fossero totalmente inespressivi. Era titubante, ma doveva ammettere che predisporre segretamente qualcuno che si occupasse della sua protezione era un gesto tipico del suo padrino. La bruna prese allora un bel respiro profondo, e mordendosi piano il labbro inferiore fece calare piano l'arma che poco prima puntava dritto alla testa di quel ragazzo.
-Bene...- disse in un primo momento, -Facciamo che ti credo- aggiunse riponendo l'arma nella sua borsetta.
-Torniamocene a casa ora. Prima che ci prenda un malanno a entrambi. E poi, ti devo almeno un caffè- aveva un sorrisetto saccente ben tirato sulle sue labbra rosee, mentre i suoi occhi non avevano mai smesso di studiarlo. Ma dal canto suo, Nero rimase impassibile, cominciando a camminare al suo fianco, nuovamente verso casa.
-Ti ringrazio, ma preferisco finire il lavoro con calma nella mia auto...- le rispose infilandosi meccanicamente le mani nelle tasche, aumentando appena il passo. Anche se per qualche decimo di secondo lo aveva trovato divertente, probabilmente proprio perché era stato colto alla sprovvista, quella ragazzina gli aveva fatto perdere fin troppo tempo sotto pioggia, e ora cominciava a sentire freddo. Di rimando, la bruna accelerò il passo per accorciare nuovamente le distanze fra i loro corpi, questa volta afferrandogli prontamente il braccio. Al solo contatto delle sue piccole dita sottili attorno al suo arto, il moro si era immediatamente voltato di scatto verso di lei, facendola quasi sobbalzare per la sorpresa quando la fulminò con il suo solo sguardo:
-Senti- la ragazza di schiarì appena la gola, quasi titubante -Mi dispiace per averti fatto scapicollare sotto la pioggia, va bene? Ti dai un'asciugata e te ne torni in macchina a fare quello devi- gli disse fermamente, scostandosi in maniera brusca dal suo corpo, come se nell'esatto istante in cui i suoi occhi si erano incontrati con quelli di lui, una scossa elettrica l'avesse percossa tutta, folgorandola. Non le era mai capitato prima. Ma quel Nero era un tipo strano. La turbava, per certi aspetti. Eppure, e questo era più forte di lei, non riusciva a fare a meno di trovarlo affascinante, in un certo qual modo.
-E poi...- questa volta, il ragazzo vide gli angoli della sua bocca sottile incurvarsi piano verso l'alto, assumendo la forma di un ghignetto dispettoso ma al contempo gentile:
-Non lo sai che un caffè offerto da una donna non si rifiuta mai? - ridacchiò piano, coprendosi le labbra con la mano destra in un gesto del tutto spontaneo ed elegante. Senza risponderle, il Nero osservò quella ragazza superarlo appena, avviandosi nuovamente a passo svelto verso casa. Era una sorpresa, doveva prenderne atto. Ma gli avrebbe causato non poche rogne, se lo sentiva già. Eppure, al solo ricordo del suo sguardo magnetico, del suo carisma e la sua tenacia, non poté far a meno di dipingere, sulla sua perenne maschera, la pallida ombra di un sorriso divertito e compiaciuto.
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Un Gioco Spietato
FanficIspirata alla serie televisiva tratta da "Romanzo Criminale" di Giancarlo De Cataldo. [Dal capitolo 2: Vince solo chi fugge] -Quanti ne hai uccisi?- chiese mostrandosi più diretta e spavalda. E alla sua richiesta, il moro non riuscì ad evitare di i...