Miharu lasciò le valigie nell’atrio e fece un giro dell’abitazione. L’ingresso immetteva nel salotto, un’ampia sala con grandi finestre schermate da veneziane. La porta della cucina si apriva sul lato ovest della sala, mentre sul lato est una scala saliva al primo piano, dove si trovavano il bagno, la camera da letto e uno studio. L’arredamento era sobrio e funzionale ma denotava un certo gusto.
Miharu avvertì un tremito alle mani — lo assalirono nausea, vertigini, dolori diffusi e febbre.
Si trascinò in camera e si lasciò crollare sul letto. Artigliando la coperta, il respiro corto e affaticato, piombò in un sonno agitato.
Un raggio di sole lo colpì sul volto. Aprì gli occhi e si ritrovò a giacere, supino, su un tappeto di erba tenera. Un leggero profumo di erba e rose aleggiava nell’aria e il tepore del sole lo riscaldava. Si tirò in piedi e si guardò intorno. Era su una collina con una grande quercia al centro e cespugli di rose tutt’intorno.
Udì una risata infantile. Aggirò l’ampio tronco dell’albero. Una bambina si dondolava su un’altalena di corda fissata a un ramo basso, ridendo divertita. Miharu le si avvicinò.
La bambina sorrise, si diede lo slancio e atterrò a piedi pari di fronte a lui. Indossava un semplice abito bianco di mussola di cotone e un cappello di paglia decorato con un girasole.
“Siediti. Siediti accanto a me.”
Miharu sedette sull’erba, vicino alla bambina, che gli prese le mani. Lui abbassò lo sguardo su quelle mani e immediatamente lo rialzò. Si ritrovò a guardare in volto una ragazza che gli somigliava come una goccia d’acqua.
“Hanabi.”
“Miharu, vuoi davvero portare a compimento questa missione?”
L’espressione di Miharu si fece addolorata.
“Hanabi, tu non sei reale.”
“Non fare nulla di cui poi potresti pentirti, Miharu.”
Miharu aprì gli occhi e si ritrovò, sudato e ansimante, a fissare il soffitto di una stanza che non gli era familiare. Si rigirò nel letto e costrinse il proprio corpo a raddrizzarsi. Reggendosi alla parete scese al piano di sotto, recuperò le valigie, che aveva lasciato nell’atrio, e aprì il bagaglio a mano, nel quale rovistò alla ricerca delle medicine. Aprì tutti i flaconi che Takatsuki gli aveva fornito per il viaggio e prese due pastiglie da ognuno. Si trascinò in cucina e aprì una bottiglia d'acqua con mani tremanti. Mandò giù le medicine e si afflosciò su una sedia, crollando con la testa sul tavolo.
Attese che il malessere passasse prima di trascinarsi di nuovo a letto.
Suonò la sveglia. Hikari allungò pigramente un braccio fuori dalle coperte e la spense. Si rigirò nel letto, tirandosi la coperta sulla testa e abbracciando il peluche, chiuse gli occhi e si riaddormentò, ma di un sonno abbastanza leggero da udire i rumori della casa che si risvegliava e la voce della madre che la chiamava dalla cucina.
“Hikari! Hikari, la colazione è pronta! Scendi!”
Hikari mugugnò una frase di protesta, ma si costrinse ad alzarsi da letto. Non fece neanche in tempo a raggiungere la finestra, per sollevare la veneziana, che udì la porta della propria camera aprirsi e sbattere con un tonfo contro la parete adiacente.
“Hikari! Dì, ce l’hai una gonna da prestarmi?” esclamò sua cugina Chihiro, entrando in camera come una furia.
Hikari si era completamente dimenticata che sua zia e il marito erano partiti per un viaggio di lavoro, parcheggiando i cugini a casa sua.
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Spirito di Vendetta
Science FictionXXII secolo. L'Umanità ha mosso i primi passi oltre il Sistema Solare. Su Jupiter One, colonia orbitale industriale di proprietà delle Industrie Horizon, viene portato avanti il Progetto Ragnarok, un progetto sponsorizzato dai militari per creare de...