Il risveglio

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Il ragazzo schiuse gli occhi.

Non ricordava niente.

Più si sforzava di ricordare più sentiva i ricordi scorrergli via dalla mente.

Non capiva nemmeno dove si trovasse.

Un campo?

Una prateria?

Sentiva dell'erba graffiarli le gambe attraverso gli strappi dei jeans.

Doveva per forza essere un prato o qualcosa di simile.

Tutto ciò che riusciva a vedere era una distesa grigia, piatta come un foglio.

Era forse il cielo?

Dopo tutto era riverso per terra con la faccia verso l'alto, sentiva il terreno duro e l'erba solleticante sotto la sua schiena.

Doveva essere il cielo.

Era davvero così grigio?

E come c'era finito poi?

Non riusciva a ricordare.

Come si chiamava?

S... Sì, era sicuro iniziasse per S il suo nome.

S... S... Sam? Sheldon? 

Non lo sapeva.

Mosse le braccia, facendole scorrere sull'erba ispida, lasciando che gli pizzicasse la pelle.

L'erba non faceva rumore.

Non c'era rumore intorno a lui.

Stese le mani verso il cielo, lasciando che quegli arti ancora colorati decorassero quella distesa di grigio che era ora il suo cielo.

Si guardò le mani, così fini, e le dita, così affusolate.

Si muovevano sinuose in quello spazio grigio senza vento, colorandolo.

Già, mancava anche vento, se ne era appena accorto.

Tutto pareva così statico, tutto tranne le sue belle mani, che continuavano a danzare in quel mare grigio.

Ruotò i polsi, aspettandosi una pelle candida come quella del dorso delle sue belle mani.

Due rigagnoli di sangue scorrevano interrotti da una moltitudine di taglietti profondi che tappezzavano entrambi i polsi.

Non fece nulla per tappare la ferita, né rimase impressionato.

Sospirò pesantemente, un sospiro che nessuno in quel silenzio statico poteva sentire, e abbassò le mani, abbandonandole lungo i fianchi.

Ora ricordava.

Ricordava tutto.

O meglio, quasi tutto.

Sebastian Michael Rockfeller, 17 anni.

Nato e cresciuto in Scozia, ad Aberdeen.

Appassionato di matematica e scienza sin da piccolo.

Malato di miopia e dalla postura perennemente curva e scorretta.

Vittima del bullismo da non sapeva più quanti anni, potevano essere due così come cinque, non lo sapeva, ma di sicuro i ricordi che aveva appena riacquistato non gli mostravano momenti di felicità.

L'ultimo di questi era il culmine di una catena di disgrazie che lo vedevano sfortunatamente protagonista.

Una lametta di ferro premuta sul suo polso destro, poi sul sinistro.

Dolore.

E poi l'oblio.

Non ci voleva un gran cervello per capire cosa tutto ciò significasse. 

Era morto.

Si era suicidato.

E, dopo i ricordi che aveva visto, trovava di averne avuto pieno diritto.

Non voleva altro che andarsene, cadere in un sonno profondo.

Ma quello in cui si trovava ora... Quello non era un sonno profondo.

Non lo era affatto.

Prese coraggio e si tirò su.

Una sconfinata distesa d'erba e cielo grigio si estendeva nel suo campo visivo.

Qua e là il monotono paesaggio era punteggiato da scure silhouettes immobili o erranti, immerse nel silenzio.

Pareva lontano anni luce dalle altre figure, come se fosse diverso anche da loro.

Si guardò intorno.

Tutto pareva fotocopiato, non c'era un angolo diverso dall'altro, era immerso nel prodotto di una gigantesca fotocopiatrice.

Solo una cosa stonava in quel paesaggio così uguale e monotono.

Una delle tante figure, una figura femminile, stava accucciata di fronte a lui, gli occhi immobili fissi nei suoi.

In qualche modo, conosceva il nome di quella bella ragazza dai lunghi capelli biondi e gli occhi color nocciola.

Sapeva il suo nome, come se l'avesse già vista, già incontrata, come se ci avesse già parlato.

Annette, questo era il nome della ragazza.

Ne era sicuro.

Di più, non ricordava.

Le sue altre memorie erano cadute in qualche sorta di oblio non appena la ragazza l'aveva guardato.

E gli aveva sorriso.

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