Capitolo 19

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Quando vieni bocciata all’esame ti rendi conto che la cosa peggiore del mondo non è essere delusa dalle persone a te care, ma essere delusa da te stessa, dal tuo comportamento, dal tuo voler essere sempre perfetta e non riuscire in niente.
Quella mattina mi sentivo come un T-Rex che prova a toccarsi la testa. Si sforza, persevera, non molla. Ma ad un tratto si rende conto che non ci riesce, non ce la fa e mai ce la farà. Le sue braccia sono troppo corte. Sono sproporzionate in confronto alla sua altezza. Lo stesso era successo a me. Il mio sapere era sproporzionato in confronto all’esame che avrei dovuto sostenere. La mia ansia aveva superato il limite consentito. Si era impossessata di me. E io mi sentivo talmente piccola in quello studio al terzo piano della facoltà. Mi sentivo così piccola seduta su quella sedia in pelle marron nocciola.
Il professore mi fissava. Io vedevo i suoi occhi piccoli e neri attraverso le lenti trasparenti dei suoi occhiali. E aspettava con calma la mia risposta che tardava ad arrivare. Balbettavo qualcosa, ma non ero convinta di quello che stavo a dire. Mi venivano in mente tante altre cose. Le ragazze che urlavano nel corridoio il loro trenta e lode. Il signore che riempiva la macchinetta del caffè. Il proprietario del bar che quella mattina mi aveva servito un’ottima pasta alla crema. Poi pensavo alla domanda che mi era stata rivolta. Niente, vuoto. Sapevo tutto meno quel paragrafo. Quelle righe del libro, nonostante io le avessi lette e rilette fino all’esaurimento, erano sparite dalla mia testa. Vuoto totale. Il mio cervello in quel momento aveva smesso di funzionare. Il mio cervello si era chiuso, aveva appeso fuori dalla porta il cartello “Chiusi per ferie fino a data da stabilirsi”. Il mio cervello mi aveva abbandonato.
Lo studio intensivo degli ultimi giorni era stata la cazzata del secolo.
Chiudermi in casa con quel cavolo di libro non aveva fatto altro che peggiorare la mia ansia.
Ma ormai le cose erano andate così. Era febbraio e il mio libretto era ancora vuoto. Era febbraio e io mi stavo deprimendo. Era febbraio e tornava il mio animo da poeta maledetto. Era febbraio e il peggio si andava disegnando sul mio orizzonte.
“Passerà.” Pensavo.
Certo che passerà. Tutto passa. Ma certe cose ti segnano.
Forse era meglio così. Dopo tutto all’università è normale essere bocciati ad un esame. Dopo tutto dovevo imparare a gestire la mia ansia, a vincere questa battaglia contro me stessa, proprio come aveva detto il professore in sede d’esame.
Passai quella sera in uno stato di semicoscienza sul divano. Stravolta dagli eventi della mattina.
Volevo uscire, svagarmi, divertirmi, ritrovare gli amici. Ma non riuscivo a trovare le forze per alzarmi da quel maledetto divano.
Mi alzai solo verso le nove di sera. Non cenai. Presi la macchina e andai al tabacchino. Chiamai Stefano e gli dissi di raggiungermi.
Ci incontrammo fuori dal tabacchino e ci abbracciammo forte. Un abbraccio che sapeva di consolazione, un abbraccio che sapeva di sincero affetto.
Andammo al parco.
“So io cosa ti ci vorrebbe.” Disse sorridendo.
“Cosa?”
“Niente è meglio di un po’ d’erba per tirarti su di morale e ridere un po’.” Disse ancora.
Io sorrisi, complice.
Tirò fuori una bustina trasparente dal giubbotto, le cartine e un biglietto del pullman. Con parecchia abilità preparò la canna. Io guardavo incantata le sue mani che lavoravano.
“Fatto.” Disse guardandola soddisfatto.
“Sei bravo girando.” Osservai ridendo.
“Accendi.” Sorrise lui.
Presi l’accendino, sistemai lo spinello tra le labbra, e lo accesi. I miei problemi non esistevano più.

Tutte le cose che avrei voluto direDove le storie prendono vita. Scoprilo ora