"Se non li puoi convincere, confondili"
_ Legge di Truman _
Il giorno della partenza arrivò assieme a una lieve emicrania.
Mi vestii, mi diedi una rapida occhiata allo specchio e non rimasi affatto sorpresa nel constatare che avevo l'aspetto di uno zombie: occhiaie violacee e pelle cadaverica.
Del resto non ero riuscita a dormire più di qualche ora, in preda all'ansia per il gran cambiamento che stavo per compiere: una città tutta da scoprire, una nuova casa, inaspettati incontri, tante aspettative e la storia con Stefano in sospeso... Davvero troppo da digerire!
Quella mattina presi dal comodino il biglietto e controllai per l'ennesima volta l'orario: partenza alle 8.05 da Venezia e arrivo previsto alle 9.50 all'aeroporto Charles de Gaulle.
L'idea di salire su un aereo mi rendeva sempre nervosa, anche se non era la prima volta per me."Un'ora e quarantacinque minuti di volo, andrà tutto bene", meditai, continuando a fissare quei due pezzi di carta.
Cercai di migliorare il mio aspetto con correttore e fondotinta, mi vestii in fretta e scesi a fare colazione.
Non appena entrai nella sala da pranzo, trovai mia madre che borbottava contro la caffettiera.
La osservai, sorridendo. «Buongiorno! Ti serve una mano? Che ti ha fatto quella povera moka?»«Tuo padre l'ha chiusa di nuovo troppo forte e ora questo aggeggio infernale non ne vuole sapere di aprirsi! Mi sa che dovrai accontentarti di un tè questa mattina», sbottò lei, sconsolata, tentando invano di svitare la parte superiore.
Avanzai di qualche passo nella sua direzione. «Non fa nulla, ma', vorrà dire che lo berrò in aeroporto». Mi posizionai al suo fianco, afferrai il bollitore d'acciaio dall'isola, lo riempii d'acqua e lo misi a scaldare sul fornello.Mia madre mi scrutò, scioccata. «Devi essere proprio felice di partire oggi, se non fai una tragedia per la mancanza del caffè. Di solito dai di matto quando non c'è. Non vuoi nemmeno che ti si rivolga la parola, se prima non ne hai bevuto una tazza fumante».
«Hai indovinato. Oggi è una bellissima giornata e niente e nessuno potrà guastarla», mi affrettai a replicare, poi tuffai la mano nel sacchetto dei biscotti e ne sgranocchiai uno.
Mia mamma corrucciò la fronte, meditando sulla mia risposta. «Perché sei così felice di scappare dai tuoi genitori?»
Alzai gli occhi al cielo, frustrata. «Ma', ne abbiamo già discusso. Non sono felice di lasciarvi, sono solo entusiasta di questa nuova opportunità. Lo sai quanto sia importante per i miei studi e poi starò via solo dieci mesi. Tu e papà potete sempre venirmi a trovare!»
Per tutta la settimana mamma si era aggirata per casa in preda all'ansia, che era aumentata man mano che si era avvicinata la data della partenza. Avevo dovuto fornirle continue rassicurazioni, mostrarle almeno venti volte le mail tra me e la mia nuova padrona di casa nel tentativo di calmarla, ma non era servito a nulla. Persino mio padre era esausto a causa delle incessanti rimostranze di quella donna.Lei rimuginò sulla cosa, combattuta tra il desiderio di tenermi al sicuro e la consapevolezza che era un'esperienza utile per il mio curriculum scolastico. Sospirò e poi cominciò con il solito interrogatorio pre-viaggio: «Hai messo in valigia dei vestiti pesanti? Hai preso i documenti necessari? Hai contattato il tutor dell'università? Hai memorizzato nel telefono i numeri da chiamare in caso di emergenza? Hai...»
Alzai una mano in segno di stop e la interruppi. «Mamma, ti prego, ho ventidue anni ormai, non sono più una bambina! Apprezzo la tua preoccupazione, ma per favore, abbi un po' di fiducia!» mi lamentai, massaggiandomi le tempie.
Lei scrollò le spalle, afferrò la sua borsa e la mise a tracolla. «Hai ragione, mi sto facendo sopraffare dall'ansia, ma cerca di capire! Parigi è così lontana e io sono tua madre, il mio compito è preoccuparmi per la tua incolumità!»
Abbassò il capo, rovistò nella sua borsa, estrasse le chiavi dell'auto e tornò a guardarmi. «Ora va' a prendere le tue cose prima che cambi idea e decida di tenerti al sicuro qui con me. Dobbiamo anche passare a prendere la nonna. Io intanto vado a tirar fuori l'auto dal garage».
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A Parigi tutto può succedere
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