005 - Letti che raccontano

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Sentiva le palpebre pesanti, gli occhi che quasi gli bruciavano e un grave cerchio alla testa che continuava a stringersi. Sbatté a fatica le ciglia, assottigliando lo sguardo e cercando di nascondersi dalla luce che filtrava. Osservò il soffitto, che però a quanto pareva non era un soffitto, bensì la rete e il materasso del letto sopra di lui. Spostò leggermente lo sguardo verso destra, sempre puntandolo verso l'altro, e finalmente vide il vero soffitto bianco sporco, un po' macchiato; pian piano iniziò a notare più dettagli mentre i suoi occhi cominciavano ad abituarsi, come i rivestimenti in legno delle pareti, dei separé color prugna che circondavano l'area dove si trovava e vari letti a castello vicino a lui e poi... una figura seduta sulle coperte del suo letto, indossava i pantaloni grigi di una tuta e una canotta nera macchiata di... Era tempera o salsa quella? Ah, ma che uomo pignolo a soffermarsi su certe cose, piuttosto, quando mise meglio a fuoco, notò i lunghi capelli mossi, la barba scura incolta e i grandi occhi azzurri che lo fissavano.

Fu preso dal panico. «Oh, no, sono a casa tua» emise Alexandre in un lamento, chiudendo gli occhi istintivamente in quella che sembrava sofferenza spirituale e lasciandosi sprofondare nuovamente nel cuscino su cui aveva dormito.

«Buongiorno, principessa» lo salutò ironicamente Anthony Orwell. Ok, forse neanche troppo ironicamente, ammettiamolo.

«Non mi piace per niente che sia a casa tua, vuol dire che non potevo tornare da me perché è successo qualcosa di brutto» sputò il biondo tutto d'un fiato e con una voce gravemente preoccupata, quasi a diventare più acuta.

Il maggiore roteò gli occhi. «Diciamo che sì, la storia è più o meno questa. Anche se sono offeso per il tuo continuo non voler restare a dormire qui.»

Alexandre aprì di nuovo gli occhi, incrociò le braccia al petto e- ok ma stava indossando una canotta di Tony? Si fermò un attimo per sentire se aveva dei pantaloni e sì, li aveva ed erano piuttosto comodi.

«Ti ho cambiato io» rispose il moro, anticipando i pensieri del ragazzo, che arrossì. Oddio ma che pudico. «I tuoi vestiti sono di là.»

Alexandre gli lanciò un'occhiata ancora più preoccupata. «Cos'è successo?»

«Oh, sì, ignoriamo pure i miei sentimenti sul tuo astio verso quest'appartamento» rispose l'Orwell, fingendosi offeso.

«Tony!» squittì involontariamente l'altro. «Lo sai che m'imbarazza dormire con la tua famiglia che mi fissa!»

«Ok, effettivamente è stato imbarazzante, ma solo perché eri ubriaco e non ti rendevi conto di quel che stavi facendo» confessò.

Alexandre impallidì. «Oh, cielo, cos'ho fatto? Anzi no, non dirmelo, non verrò mai più qui e non vedrò mai più la tua famiglia. Mi dispiace, ma i pranzi di Natale dovremmo farli separati.»

Tony cercò di interrompere quel flusso di coscienza. «Prima di tutto, ti sei ubriacato.»

«L'avevo immaginato» ammise il biondo.

Il maggiore gli lanciò un'occhiata accusatoria. «Ti avevo detto di non farlo perché so cosa ti succede dopo.»

Alexandre abbassò lo sguardo, sentendosi un po' vulnerabile. «Volevo solo che non ti deprimessi al bancone e che stessi con me.»

Tony abbandonò la sua vecchia espressione per rimpiazzarla con un sorriso e uno sguardo da pesce lesso innamorato- mio dio vi prego censuratelo, non voglio vivere assieme a quest'uomo. «Se ti può consolare, quando ho capito che stavi degenerando, ho lasciato subito tutto per cercare di riportarti a casa.»

Il minore s'intristì ancor di più. «No, non mi consola.»

Tony alzò le spalle. «Ci ho provato.»

La gente fa coseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora