Il lunedì è un giorno tragico. Sempre. Indipendentemente da cosa succede, lo è e basta, punto.
Vedete, il Creatore-della-settimana era una persona molto ma molto sadica e, quando decise di realizzare la sua opera, ci pensò molto bene.
Il lunedì è tragico perché è l'inizio di tutto: il lavoro o la scuola, la settimana di merda che verrà a seguire... insomma, è richiesto a tutti di essere attivi quando invece ci si deve ancora riprendere dal coma del giorno precedente.
Il martedì stessa storia, solo più lieve, non ci si abitua ancora alla routine ed è sempre un colpo al cuore quando si pensa a quanto rimanga prima del weekend.
Il mercoledì sta in mezzo, un po' come il cazzo, quindi sinceramente ci interessa poco.
Il giovedì va un po' meglio, anche se il giovedì, non so voi, ma ho notato che succede sempre qualcosa di brutto. Però il giovedì si pensa positivo, è quasi finita la settimana, quindi fare uno sforzo in più costa di meno.
Il venerdì è felicità, felicità pura. I più fortunati possono dire addio al loro lavoro e trascorrere la sera come preferiscono; i meno fortunati hanno ancora il sabato che li aspetta, ma lo affrontano con più positività.
Il sabato è il giorno in cui una volta a casa non si vuole sapere più niente, nessuno esiste più per nessuno, esiste solo l'egoismo di voler passare il resto del giorno come più si desidera.
Ma, se il venerdì è la gioia per il sabato e il sabato la gioia per la domenica, la domenica è la tristezza. Se il sabato non si vuole ricordare che la domenica aspetta le persone in lutto, quando arriva il fatidico giorno tutti sono costretti ad affrontare la realtà e a doversi preparare per il traumatico lunedì.
Così anche quel lunedì era un lunedì™.
Questa frase ha poco senso ma è vera.
Come sappiamo, al numero dodici del quarto piano di quello che oramai era nominato da tutti come Il Condominio™ (in questa storia ci sono un bel po' di ™), viveva una famiglia che avrei voluto davvero tanto non incrociare mai nella mia vita. Come tutti i lunedì, Wade Orwell, il primogenito, finiva di prendere il suo caffè nero, aspettando i fratelli per uscire e salire in macchina, pronto per un'altra giornata di lavoro. Con lui vi erano Philip Orwell, il quintogenito, che quella mattina aveva lezione, e Theodore Orwell, il sesto e ultimo – per fortuna – della famiglia, che invece cominciava un'altra settimana di merda al liceo, tipica degli adolescenti.
Anthony Orwell era ancora a casa col gesso, Alexandre aveva portato il caffè per tutti quella mattina ed era pronto anche lui per il lavoro, a momenti. Di Peggy e Robin, invece, nessuna traccia, ma non era una novità.
Un'altra cosa che sappiamo, però, è chi viveva vicino a loro. No, non l'appartamento di sinistra, bensì quello di destra, il numero undici. Mentre gli Orwell mattinieri si apprestavano a scendere dalle scale, una figura li spiava dalla spioncino della porta. Capelli rossi, toga di seconda mano... dovresti essere un Weas- no, no, stiamo parlando di Ernest Stages.
Ernest Stages in qualche modo – e non siamo ancora riusciti a trovare una spiegazione scientifica a questo fenomeno – riusciva sempre ad essere presente quando qualcosa accadeva.
Ma facciamo un passo indietro. Chi o cosa era Ernest Stages e, soprattutto, com'era finito a vivere nel Condominio™?
Sebbene il suo carattere burbero e il suo disgusto verso l'umanità, quella di Ernest era stata una scelta; a differenza di molti che erano obbligati a stare lì dentro di malavoglia, Ernest comunque odiava lo stesso tutti gli altri abitanti del palazzo, però sì, aveva scelto lui di abitarci.
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La gente fa cose
HumorMentre da una parte nel mondo Andrea e Giuliano incontrarono Licia per caso, in un'altra parte sempre molto super random qualcuno mi chiese mi raccontare una storia. Sinceramente non ne avevo proprio voglia, però sapete com'è, non avevo niente di me...