My Demons

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  L'acqua gli inzuppava i jeans strappati all'altezza del ginocchio ma nemmeno una parte di lui ne avvertiva la sensazione di umido contro la pelle. L'unica cosa che sentiva in quel momento era la vita di Boyd che gli scivolava nelle vene e l'unica cosa che vedeva erano i suoi occhi arrendersi alla morte imminente.

Mi dispiace, mi dispiace tanto ... - biascicò cercando di svellere lentamente gli artigli dal suo petto ansante che tremava di sangue e sofferenza.Va tutto bene. – la voce di Boyd si faceva sempre più roca fino a trasformarsi in un rantolo pietoso – Ti perdono.

Era su questa nota che gli si spegneva davanti cancellando ogni colore, ogni calore.
Era su questa nota che i suoi demoni venivano a prenderlo.
Derek poteva sentirli mentre lo circondavano con le loro ombre viscose e i denti di ferro, bestie tanto più terribili perché portavano addosso le maschere di visi ben conosciuti.
Erano Paige e poi Laura e sua madre e ... Boyd.
Lo accerchiavano sempre più dappresso, come un branco di lupi all'attacco, e urlavano di grida strazianti, assetate di vendetta contro chi ne aveva provocato la morte.
Derek ne poteva sentire le mani addosso mentre lo stringevano in un abbraccio gelido che sapeva di disperazione.
Rabbia e disperazione.
E quell'abbraccio diventava stretto, sempre più stretto, fino a soffocarlo in un abisso da cui non c'erano vie d'uscita.


Il fiato gli uscì di colpo dai polmoni mentre le lenzuola si piegavano stizzite agli artigli con cui le stava lacerando; percepiva gli occhi lampeggiare nel buio e cercò di rallentare i battiti per placare la trasformazione involontaria.
Era successo ancora.
Derek si passò una mano sul viso cercando di concentrarsi solo sulla sensazione dei polpastrelli ma aveva le mani ghiacciate e quel tocco non faceva che fargli rivivere l'orrore del sogno. Quella dannata visione, che tanto onirica non era, quella disperazione, il lacerante senso di colpa e quei demoni spietati erano più reali di quanto l'apparenza non mostrasse.
Perché non avrebbe mai dimenticato quelle persone, quelle vittime.
Le sue vittime ...
Il respiro gli si accorciò nuovamente e le mani presero a tremargli convulsamente mentre cercava di trattenerle dallo strofinarle tra loro per lavare tutto quel sangue ...
Quel sangue che mai si sarebbe potuto lavare via ...
Scosse di botto la testa e si liberò delle lenzuola con unico gesto stizzito, doveva uscire di lì, aveva bisogno di aria, aveva bisogno di allontanarsi dallo spirito di Boyd.
Non ci pensò due volte e abbandonò il loft cominciando a correre verso il bosco.
Sentiva i piedi pestare furiosamente il suolo e le gambe che cercavano consolazione nella trasformazione per rispondere allo sforzo che il suo cuore straziato imponeva al corpo, ma non permise al lupo di prendere il sopravvento. Corse e lo fece a perdifiato, come un fottuto umano qualsiasi, gioendo dell'acido lattico che gli mandava fitte ovunque, incurante di qualunque altra cosa che non fosse il movimento in sé.
Correva, e sempre più forte perché sapeva che quei demoni sarebbero stati veloci, molto più veloci di lui e invece lui non voleva più sentirne le fauci metalliche chiudersi sulla propria umanità.
Quella maledetta umanità con cui non aveva più saputo fare i conti, che dopo la morte di Paige era diventata decisamente di troppo e con la comparsa di Stiles fottutamente inopportuna. Quella umanità che aveva sempre respinto e allontanato come una malattia terribile e mortale, quella stessa umanità per cui aveva barattato solo rabbia, odio e solitudine.
Aveva accolto questi sentimenti come salvatori ignorando che lo avrebbero condotto proprio fra quelle braccia putrefatte che ora si tendevano per afferrarlo; aveva cacciato invece tutto quello che gli avrebbe mostrato luce e calore allontanando la morsa gelida che lo attanagliava.
Si era rifugiato nell'oscurità come un maledetto topo, credendo di poterla governare, trovandosi a proprio agio in quel buio a tinta unita in cui non c'erano via di mezzo.
Assoluto e inesorabile come voleva essere lui stesso.
L'oscurità però lo aveva beffato e ora ne pagava il debito, un debito di sangue e follia; tuttavia prima si era permesso un ultimo atto di vera lucidità allontanando Stiles da sé.
Non poteva trascinarlo in quel fango che sapeva solo di rame, non aveva voluto trascinarlo in quel fango.
E questo pensiero in qualche modo lo teneva sospeso sull'orlo del baratro, poteva vederne la luce soffusa, e la volontà inconscia di raggiungerla gli impediva di calare definitivamente sul fondo.
Finalmente, sulle note calde e rassicuranti di questa riflessione, si fermò a riprendere fiato e rimase stupito di trovarsi proprio dinanzi alla vecchia tenuta degli Hale. Alzò il capo lentamente e stava dedicandole un ultimo saluto silenzioso prima di tornare al loft quando la vide: una tenue luce azzurrina lanciava riflessi di vetro sulle imposte frantumate creando immagini distorte lungo tutto il secondo piano. Istintivamente volse lo sguardo al cielo ma uno spesso banco di nuvole scure eclissavano la luna che comunque era poco più di un timido spicchio; quella luce veniva dall'interno, non c'era altra spiegazione.
Perplesso, tese al massimo i propri sensi da lupo ma la notte rimaneva muta e immutata, senza nemmeno un alito di vento.
Se fossero stati dei ragazzini li avrebbe sentiti schiamazzare o, per lo meno, mormorare qualcosa; la possibilità che fossero ladri non lo sfiorò nemmeno, cosa avrebbero potuto voler rubare in un rudere?
Non stette molto a porsi tali quesiti come certamente, se ci fosse stato, avrebbe fatto Stiles; si sarebbe posto mille domande, magari a voce alta con quel tono saccente che avrebbe dovuto mascherare la preoccupazione e che invece lo faceva solo gesticolare più furiosamente con quelle mani pallide e piacevolmente affusolate ...
Scosse la testa e relegò quest'ultimo pensiero nel fondo del cuore, potevano esserci dei cacciatori lì dentro ed era davvero stupido mettersi a pensare a cose del genere. Doveva riprendersi, immediatamente.
Strinse i denti e mosse i primi, silenziosi passi verso la casa tenendo sempre d'occhio la luce azzurrata che ne colorava tutto il piano superiore ma, non appena mise piede sulla veranda, il barlume argentato scomparve di botto, estinguendosi come un fuoco fatuo.
Derek aggrottò le sopracciglia, c'era qualcosa di decisamente poco umano che si era infilato nella sua vecchia casa, poteva sentirlo riverberargli le ossa come un brivido e lui avrebbe scoperto di cosa si trattava. Si spinse dunque verso l'ingresso e dischiuse delicatamente l'uscio che lanciò un lungo gemito prolungato che lo fece trasalire, era abituato a quel suono ma quella sera, non sapeva perché, gli faceva venire la pelle d'oca. Decise di ignorare bellamente quella sensazione e proseguì verso le scale iniziando a salirne cautamente i gradini, aveva il netto presentimento di essere osservato e il lupo dentro di lui scalpitava inquieto cercando di localizzarne la fonte. La casa però era nuovamente buia e silenziosa tanto che gli venne da pensare di essersi immaginato la cosa, ma Derek non era un tipo impressionabile o da fantasie vane. Sebbene fosse sconvolto era certo che quella luce ci fosse e si trovasse proprio a pochi metri da dove ora si trovava lui.
Fu in quel momento che lo sentì.
Un alito gelido gli solleticò la nuca facendolo voltare di scatto e ... e non riuscì a muovere un muscolo dallo stupore: davanti a lui, precisamente dinanzi alla porta di quella che era stata la sua camera, c'era una giovane donna. Aveva lunghi capelli lisci che le scendevano lungo il vestito di foggia antica, strappato e rovinato in più punti, ed era intenta a passare una mano piccolissima sulla porta sbreccata accarezzandola come se fosse un tenero felino. L'elemento più inquietante tuttavia era che la donna brillava di una tenue luce argentea e che, soprattutto, Derek riusciva a scorgere una buona parte della parete che le stava dietro, il che significava, ovviamente, che la donna era incorporea.
A quel punto non resistette più e lasciò che la trasformazione gli si adagiasse sul corpo con un caldo tocco rassicurante, ma, non appena la mutazione fu completa, la donna si voltò di scatto e mutò anch'ella davanti ai suoi occhi in un istante. I lunghi capelli le si sparsero disordinatamente attorno al viso che si allungò in una smorfia disumana, fino ad assumere una forma quasi triangolare, mentre le mani si dotavano di grotteschi artigli ricurvi.
Derek indietreggiò e portò istintivamente le braccia davanti al viso, mossa che si rivelò assolutamente utile visto che l'attimo più tardi si ritrovò catapultato fuori dalla finestra da un urlo disumano la cui onda d'urto fece tremare gli alberi tutt'intorno.
Il giovane uomo lupo ne sentì l'eco forargli i timpani sensibili e si tappò le orecchie con le mani mentre si allontanava dalla radura con tutta la velocità che le sue gambe piene di pezzi di vetro gli consentivano. Camminò, barcollando, fino al limitare del bosco prima di accasciarsi sull'erba morbida e gettarsi uno sguardo alle spalle. La selva sembrava tranquilla e silenziosa come al solito ma, dopo quell'incontro, Derek poteva avvertire distintamente un cuore malvagio pulsare lentamente fra le felci.
E non poté impedirsi di pensare nuovamente ai propri demoni.


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