7. Poisoning Memories

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Ciao a tutti,

vi prego, non linciatemi. E' stato un periodaccio. L'università e problemi di varia natura mi hanno risucchiato via l'anima. Ma sono di nuovo qui, ho trovato finalmente il tempo per rivedere questo capitolo e iniziare il successivo. Spero vi piaccia e spero che vi interessino ancora i miei aggiornamenti. Mi scuso ancora per il tremendo ritardo.

Come sempre, se avete qualche domanda, sono disponibile.

Baci.

L

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Le giornate di Heaven non avrebbero potuto essere più monotone. Si alzava presto ogni mattina, andava in lavanderia dove spolverava e lucidava gli strumenti, dopodiché riordinava i capi pronti e smistava quelli sporchi a seconda delle macchie che avevano. A metà pomeriggio si occupava della casa e dopo aver finito correva a far visita a Cassandra. Dall'incidente, aveva aperto gli occhi solo due volte. Una quantità affatto necessaria a stabilire le sue condizioni. Non restava che sperare, le dicevano i medici. In Heaven però ciò che non cessava di crescere, erano i sensi di colpa e il dolore per quello che era capitato alla sua amica. Rivedeva quella scena ogni notte prima di addormentarsi, cercando volta per volta un dettaglio che spiegasse il motivo dello stato di trance in cui si trovava l'amica. Ma niente tranne terrore, fumo e puzzo. Erano quelle le sensazioni che accomunavano quei pensieri rivolti a quel maledetto pomeriggio in cui uno schifoso demone aveva predetto il suo futuro e al contempo aveva rovinato quello di Cass.

Si asciugò una lacrima solitaria e tornò alla scrivania, giocherellando con la spillatrice mentre osservava le gocce di pioggia abbattersi violentemente sui passanti spazientiti, che si dispersero immediatamente come un branco di formiche terrorizzate.

Il rumore del campanellino scosso dalla porta, la avvisò che qualcuno era appena entrato nel negozio. Si schiarì la voce e raddrizzò la schiena.

-Salve, in cosa posso esserle utile?- recitò cortesemente la frase di circostanza.

-Buongiorno! Anche se non si direbbe con questa pioggia- lo sconosciuto poggiò l'ombrello fradicio nel portaombrelli accanto all'uscio e si voltò.

-Già!- sorrise a quell'affermazione.

-Piccola Heaven, sei tu?- chiese, aggrottando le sopracciglia.

La giovane alzò gli occhi e incontrò quelli dell'infermiere che le era stato accanto durante i lunghi giorni di permanenza in ospedale. David. Era ancora più bello di quanto ricordasse: indossava un jeans sbiadito, un maglione di lana color avorio e un impermeabile blu notte. Fra le mani reggeva una busta contente, di sicuro, la ragione della sua visita.

-David! Che... sorpresa!- affermò, piena d'imbarazzo.

-Come stai? Hai riacquistato colore!- sorrise dolcemente e strinse la pallida mano della ragazza. A quel contatto Heaven rabbrividì.

-Sì, sto molto meglio. Grazie .-

Seguì un lungo silenzio, interrotto dall'insistente scrosciare della pioggia. Heaven avrebbe voluto continuare a parlare con David del più e del meno, ringraziarlo ancora per essersi preso cura di lei in quel grigio ospedale. Ma l'imbarazzo le serrò la bocca.

-Da quanto lavori qua, Heaven?- fu lui a parlare per primo.

-C-circa quattro anni- si grattò la nuca, interrompendo il contatto visivo con il giovane dall'altra parte della scrivania.

-Oh, è un bel po' di tempo!- disse sorpreso, guardandosi intorno.

-Già.- annuì lei.

Un tuono squarciò il cielo ed Heaven rabbrividì. Odiava i temporali, odiava il cielo tetro di Londra e la malinconia che suscitavano in lei quelle buie giornate. David non si scompose, non aveva distolto lo sguardo da lei neppure per un secondo. L'insistenza dei suoi occhi le ricordava tanto... no! Si era ripromessa di non pensare più all'incontro con quello strano ragazzo. Non dopo quel sogno. Quel paio di iridi color del ghiaccio l'avevano guardata, seguita, violentata per un'intera notte e lei non aveva fatto nulla per fermarlo.

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