La giovane camminava lungo l'unico binario della piccola stazione, in bilico sul ciglio della banchina. Metteva con cautela un piede davanti all'altro mentre apriva le braccia per tenere l'equilibrio, già compromesso dal pesante zaino sulle sue spalle; e intanto pensava.
Pensava che avrebbe potuto farla finita lì con una facilità quasi ridicola. Sarebbe bastato sbilanciarsi un po' a sinistra, cadere sul binario e lasciare che un treno la travolgesse. Quella sottile linea di pietra che stava percorrendo era in quel momento il confine tra la vita e la morte.
Se lo avesse fatto, avrebbe sentito prima l'impatto, poi un vento caldo che la trascinava verso la locomotiva e infine l'agognata pace eterna.
Niente più dolore, niente più ansia, niente più paranoie, niente più attacchi di panico, niente più tristezza, solo tranquillità."Impatto, vento caldo, pace" ripeté un paio di volte nella testa, gustando a fondo il suono di ogni parola e un lieve sorriso spuntò sulle sue labbra screpolate.
Non smetteva mai di meravigliarsi di come la morte fosse presente in ogni secondo, in ogni parte della terra, pronta a ghermire chiunque con i suoi freddi artigli; eppure, per quanto lei l'avesse cercata nei modi più disparati, era ancora lì ad aggirarsi nel terribile mondo dei vivi.
Ma questa volta, questa volta si sarebbe uccisa e lo avrebbe fatto bene, nel modo in cui voleva lei, senza che nessuno glielo impedisse.
La campana della stazione suonò, segno che stava arrivando un treno. La ragazza alzò lo sguardo dal binario e guardò la locomotiva grigio metallizzato che si avvicinava a lei, inanimata e inespressiva. La fissò a lungo e poi, all'ultimo istante, si sottrasse all'oblio con una leggera piroetta, che la riportò oltre la linea gialla.
Sentì una risata leggermente isterica risalirle la gola e uscire dalla sua bocca."Non oggi, cara mia, non oggi!" Si ripeteva, per cercare di non cedere alla tentazione.
Si sentiva molto più viva del solito, sebbene l'ansia le schiacciasse i polmoni e le sussurrasse parole velenose all'orecchio, spalleggiata dalla depressione e dalla sua grande voglia di farsi male. Aveva voglia di urlare, ma non urlò -lei non urlava mai- e cercò di concentrarsi sui giorni successivi, i suoi ultimi giorni.
Adesso avrebbe preso il treno e sarebbe andata a Venezia per salutare quella città che l'aveva tanto sconvolta e dove sarebbe rimasta non più di cinque giorni, per poi prendere l'aereo, arrivare a Dublino e lanciarsi dalle colline di Howth, nel gelido mare irlandese.
Aveva scelto proprio quelle alture per farla finita perché era lì che, quasi un anno prima, aveva desiderato morire per la prima volta. Era stato un pensiero durato pochi istanti, giusto l'immagine di lei che cadeva nel vuoto, ma l'aveva spaventata e al contempo attratta a tal punto, che quel luogo le era rimasto marchiato a fuoco nell'anima. Per un anno si era sentita svuotata da tutte le emozioni, salvo dolore, tristezza e agitazione, nessuna attività, neanche quelle che più adorava, erano riuscite a smuoverla da quella buia apatia e quella fantasia era divenuta sempre più sospirata, fino alla sua decisione di compiere quel viaggio.La sua prima idea era stata quella di prendere direttamente l'aereo per la fredda capitale irlandese, ma il pensiero di non poter rivedere Venezia l'aveva assalita con una violenza tale, che aveva avuto attacchi d'ansia per tre notti consecutive. Così, durante una lezione di filosofia, subito dopo l'ennesimo violento litigio con la sua fidanzata, aveva ideato il suo piano definitivo. Nelle giornate successive non aveva parlato con nessuno, concentrata com'era a definire ogni dettaglio in maniera perfetta. Tremava leggermente, la paura che qualcosa potesse andare storto urlava nella sua mente come un bambino capriccioso, facendole venire voglia di piangere e vomitare. Preparò le valigie di nascosto e comprò i biglietti con i suoi risparmi, poi un sabato mattina, in cui i suoi genitori e suo fratello erano via, si decise a scappare.
Aveva lasciato un biglietto sul tavolo in soggiorno con su scritto "Starò bene, non cercatemi.", mentre alla sua ragazza aveva mandato un messaggio: "Scusa, non ce la faccio. Non cercarmi."
Sapeva che era inutile, non appena si fossero accorti della sua scomparsa, avrebbero iniziato a cercarla in ogni angolo, avrebbero scritto a tutti i giornali e avrebbero mandato in televisione il loro appello:
"Alessia, ti prego, parliamone. Torna a casa."
Cazzate, non ne avrebbero mai parlato, le avrebbero solo urlato in faccia quanto fosse stupida e imperfetta e quanto si vergognassero di avere una figlia come lei. Per questo si era decisa a non tornare sui suoi passi, neanche se esortata dall'Italia intera. Ormai aveva deciso: sarebbe ritornata a casa solo dentro una bara.Quando salì sul treno tirò un sospiro di sollievo, nessuno si era ancora reso conto della sua fuga. Il vagone era semideserto e i pochi viaggiatori erano assopiti o immersi nella lettura.
"Meglio così -pensò- nessuno si metterà a fare conversazione con me."
Prese posto vicino al finestrino e posò lo zaino sul sedile accanto al suo, sperando che questo avrebbe scoraggiato chiunque dall'avvicinarsi. L'unico che le rivolse la parola fu il controllore che, non appena le chiese il biglietto, guardò lei e il suo bagaglio con curiosità. Alessia si fece piccola piccola nella sua felpa oversize, sperando che la sua lunga frangia di capelli scuri le camuffasse il volto.
"Oggi niente scuola signorina?" Le chiese l'uomo, sollevando un sopracciglio.
"No -mentì lei con un filo di voce- assemblea sindacale."
"Dove sta andando con quello zaino così grande?""Oddio, ma perché doveva capitarmi proprio il controllore con la parlantina? !"
"Vado a fare una gita." Rispose, fredda e lapidaria.
Se l'uomo le avesse fatto un'altra domanda era quasi certa che lo avrebbe insultato. Invece l'uomo disse solo:
"Voi donne, dovete stare via per due giorni e vi portate dietro vestiti per due settimane."
Poi se ne andò.Il treno partì subito dopo.
"Ora non posso più tornare indietro." Si disse, dimenticando all'istante la fastidiosa conversazione di poco prima.
Eppure il pensiero non la spaventò, finalmente se ne stava andando da quella microscopica città che tanto odiava, da quel manipolo di persone false che l'avevano solo ferita. Non credeva sarebbe mai successo, era quasi certa che sarebbe morta in quel posto.
Ora invece il mondo si stava aprendo d'innanzi a lei e la ragazza si sentì microscopica davanti al paesaggio che vedeva scorrere dal finestrino.
Sprofondò nel sedile e infilò le cuffie."Buon ultimo viaggio, cara mia."
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La fragilità della felicità
Fiction généraleAlessia, 17 anni, vuole morire. Vittima di bullismo a scuola, incompresa a casa, i suoi unici amici sono depressione, ansia e il conforto dei tagli. Così, al culmine della disperazione, decide di compiere un ultimo viaggio per salutare le due città...