Capitolo 4

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«Ecco, tieni, questa dovrebbe andare.» Disse Lucas lanciando ad Aaron una maglietta bianca presa da un armadio a dir poco disordinato.
Era un po' grande per il fisico asciutto di Aaron, però non aveva alternative: la sera prima Fanny aveva fatto a brandelli la sua maglietta per apporgli un sigillo sul petto. Gli erano rimasti solo i suoi jeans e le scarpe, tutti macchiati in più punti di sangue ormai rappreso.

Aaron si infilò rapidamente la maglietta, sorpreso ancora una volta dalla totale assenza di dolore: dieci minuti dopo che il priore se n'era andato lasciandolo a riflettere su tutto ciò che gli aveva rivelato, una ragazza minuta -che si era presentata come Alice- gli aveva tolto la fasciatura sul petto e, dopo avergli messo al collo un ciondolo identico alle pietre rosse che i benim portavano ai polsi, aveva preso a fare vicino alla ferita quegli strani gesti che Fanny aveva usato la sera in cui era stato attaccato da Eris. 
Come in un video riprodotto all'indietro, i lembi frastagliati della ferita si erano uniti tra di loro chiudendo in un paio di minuti completamente la ferita, di cui rimase solo una linea chiara appena visibile.

«Tu trasudi  energia e i sigilli dei benim comuni non hanno quasi effetto su di te. Con questa rebis» indicò la pietra al collo del ragazzo «i tuoi poteri verranno contenuti fino a che non saprai controllarli. Per questo il sigillo curativo stavolta ha funzionato.» Aveva spiegato Alice ad un Aaron meravigliato «Alcuni di noi benim rifiutano di combattere e si specializzano nelle arti mediche e, poco modestamente, io sono la migliore, qui dentro.» Sorrise, incurvando appena un angolo della bocca.

"Mi sa che aveva ragione..."
Pensò Aaron divertito mentre si tastava ancora incredulo il punto dove fino a meno di un'ora prima provava un dolore lancinante.

Qualcuno bussò alla porta della stanza di Lucas. Un istante dopo fece il suo ingresso il priore, il quale parlò con voce allegra: «Oh, bene! vedo che il nostro giovane Lucas è riuscito a trovarti qualcosa da mettere.» Sorrise amabilmente giungendo le mani dietro la schiena «Ora dovresti seguirmi, figlio di Galael, dobbiamo recarci presso il Consiglio: trovarti è stato un traguardo enorme e dobbiamo fare rapporto.»
Malgrado la gentilezza con cui aveva parlato, non attese risposta alcuna e si incamminò nella direzione opposta rispetto all'infermeria.
Aaron non poté far altro che rivolgere un breve cenno di saluto a Lucas e seguire l'uomo.


«E questa è la palestra, qui è dove ci alleniamo nell'utilizzo delle armi e nel combattimento corpo a corpo» Disse il priore indicando una grossa porta a due battenti in legno scuro da dietro la quale provenivano indistinti suoni di lotta.

Stavano camminando da un paio di minuti, durante i quali il priore Doeth aveva deciso di fargli una breve panoramica di quella che lui aveva definito "la Casa".
Da quel che aveva capito Aaron, la Casa era una specie di quartier generale dei benim sul territorio e ne esistevano migliaia in tutto il mondo: a Shima c'era solo quella in cui si trovavano ma ce n'erano circa cinquanta in tutta Insel, malgrado fosse solo un'isola poco più grande dell'Islanda nel bel mezzo dell'Oceano Atlantico.
Mentre si aggiravano tra i larghi corridoi dell'edificio, Aaron notò con disappunto come i benim che gli passavano di fianco continuassero a fissarlo quasi fosse un fenomeno da baraccone.

«Non farci caso.» Disse Doeth come leggendogli nel pensiero «I figli di Galael nascono con dei secoli di distacco l'uno dall'altro, quindi sei una specie di leggenda vivente.» Sorrise notando lo sguardo torvo che Aaron rivolgeva a chiunque lo fissasse troppo a lungo «Pensa che la tua ultima incarnazione risale al tardo diciottesimo secolo, quando nascesti come Napoleone Bonaparte.»
Ad Aaron andò quasi di traverso la saliva per la sorpresa.
«Mi sta dicendo che tutti i grandi uomini della storia sono in realtà figli di Galael?»
«No, solo alcuni. Di solito noi benim ci teniamo fuori dallo scenario pubblico degli umani, però a volte qualcuno lascia la Congrega -l'insieme di tutti i benim- e sfrutta i propri poteri per facilitarsi la vita come umano. Eccoci alla porta.»
Si fermò.

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