N.a.d.
Capitolo revisionato dalla mia Beta Shadeyes (peraltro corretto in un lampo, quindi doppio grazie).
"Ci è sempre stato detto che la libertà è un privilegio riservato a pochi, che si nasce schiavi e non si può morire padroni. Ma si sbagliavano. La libertà è un diritto universale e lotteremo con il sudore e con il sangue per conquistarla."
Gli dèi avevano propiziato un fausto evento, Caecilia ne era certa. Seduta scomodamente su di un piccolo sedile di marmo, tamburellava freneticamente le bianche dita sulla veste, la quale cingeva sinuosamente le sue cosce tornite. Attendeva con ansia il responso dell'oracolo: una gravidanza a lungo desiderata e mai ottenuta; la promessa di un degno erede che portasse il Nomen della nobile gens Furia, famiglia onorata del caro consorte Lucius.
Un sacerdote entrò nell'anticamera, richiudendosi con cura la porta alle spalle, e si diresse rapidamente in direzione dell'uomo. «La tua sposa è nella grazia degli dèi. Cerere ha ascoltato le vostre richieste e, commossa dalle mille lacrime di tua moglie, le ha concesso il dono di una gravidanza propizia».
«Non mi importa che sia gravida», ringhiò l'uomo. Girò lievemente il capo verso la donna che, bramosa di sapere il vaticinio, tendeva l'orecchio in loro direzione e le mostrò uno sguardo corrucciato. In risposta al gesto astioso, Caecilia chinò la testa, tornando a martoriare le vesti pregiate. «Ciò che voglio sapere da voi, adesso, è se colui che porta in grembo è un maschio e se è in salute».
Il sacerdote sbarrò gli occhi, incredulo nel sentir parlare così audacemente l'uomo. Aprì la bocca per replicare, ma si fermò prima che le parole fuoriuscissero, ricordando che il suo compito si limitava nel riportare il verdetto dell'oracolo a chi domandava. Scrollò le spalle, assicurandogli che la donna avrebbe dato alla luce un erede di sesso maschile, forte e in salute.
Il volto di Lucius si rilassò in un grande sorriso e, posando una mano sulla spalla del suo interlocutore, gli riferì qualcosa all'orecchio, concludendo i suoi ringraziamenti con un sacchetto pullulante di danari, i quali furono accettati con un'enfasi tale da dimenticare qualsiasi altra forma di gratitudine.
Lucius si parò davanti alla donna seduta e la invitò a seguirlo fuori dal templio, porgendole il braccio nerboruto. «Onorerai finalmente la mia casa», le disse in tono solenne.
Caecilia annuì, rallegrata nell'udire tante fauste notizie, reprimendo con forza il passato. Non le era di certo sconosciuta la gravosità di una gestazione: conosceva con esattezza gli sbalzi di umore, l'affaticamento nei movimenti, le nausee mattutine, i giramenti di testa e il lungo travaglio a cui ogni donna era costretta. Aveva patito già una volta i dolori lancinanti del parto e, seppur per breve tempo, aveva assaporato la gioia e il visibilio nel poter stringere a sé la propria creatura. Scosse la testa nel tentativo di scacciare reconditi pensieri, facendo sì che parte dei suoi boccoli dorati scivolassero dall'elaborata treccia, costata non poco tempo alla sua fida schiava.
Tuttavia, si ritrovò a ripercorrere con la mente il giorno in cui nacque la sua piccola Ottavia. Un sorriso impercettibile colorò il suo viso perlaceo e rischiarò le iridi cerulee. Un sorriso che si spense pochi attimi dopo quando, nei meandri dei suoi ricordi, venne stordita dalla memoria di una scena particolare: il riconoscimento di sua figlia.
Come da rito, la bambina venne deposta ai piedi del pater familias, il quale, riconoscendola, avrebbe dovuto consegnarla alle cure della madre, facendo in modo che la bambina si nutrisse. Eppure, Lucius non affidò la neonata al conforto di braccia amorevoli. La osservò, in silenzio, con aria di sussiego, incurante dei vagiti della piccola accompagnati da movimenti convulsi delle sue piccole braccia. Si girò, scuotendo la testa, allontanandosi dalla camera. Caecilia provò a parlare, ma venne fermata dalla mano della sua fidata nutrice, la quale sussurrò con voce roca: «Lasciate stare, mia signora. Chiaramente non ha accettato la piccola. Non peggiorate il suo triste fato. Potrebbe farla annegare».
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Schiava di Roma - Giochi di Sangue.
Historical Fiction"Ci hanno sempre detto che la libertà è un privilegio di pochi, che si nasce schiavi e non si può morire padroni. Ma si sbagliavano: la libertà è un diritto universale e lotteremo col sangue e col sudore per conquistarla."