Capitolo 1

474 17 1
                                    

Lisandra era seduta in un banco in quella classe. Era obbligata ad andarci cinque giorni su sette, anche quando era malata: cercava di passare il meno tempo possibile con la sua "famiglia". Non voleva vedere Oliver, suo padre adottivo, picchiare Anna, sua madre adottiva.

Anna era veramente gentile con lei, non le diceva mai nulla di offensivo, al contrario, cercava di comprenderla e darle dei consigli. Ma il problema non era lei, ma Lisandra che non parlava, non diceva mai quello che provava perché nessuno glielo aveva insegnato.

Lisandra non comprendeva come una donna che soffriva così tanto volesse aiutarla. Ma applezzava il fatto che Anna pensasse a lei, era l'unica persona che cercava di comunicare con lei.

Trovava affliggente che un uomo potesse picchiare la sua donna, quella che lui aveva scelto.
Una volta Lisandra cercò di difendere Anna, ma peggiorò soltanto la situazione, Oliver finì per schiaffeggiarla e le disse di non mischiarsi più nei problemi altrui. Da quel giorno imparò a tacere e a non ascoltare gli altri, ma agire. Ogni volta che Oliver le alzava le mani, lei prendeva il suo vecchio telefono e chiamava la polizia. Quella era una delle sole cose che faceva.

Pure Lisandra, come tutti gli esseri umani, aveva dei sogni, solo che i suoi erano un po' più complicati da realizzare.

La campana suonò, e Lisandra si alzò dalla sedia dirigendosi verso la porta per andare a lavorare.
Quello era ciò che faceva da più di tre anni: si alzava, andava a scuola, usciva, andava a lavorare... finché il "padrone" non decideva di farla uscire.
"

Padrone", lei non doveva chiamarlo così perché non era il proprietario non aveva tempo per venire, dato che ne dirigeva più di uno, quello gli dava il cambio.

Ma quello a Lisandra non importava, a lei importava lavorare per i soldi che doveva poi dare a Oliver.

Tirò fuori le cuffie ed il telefono per ascoltare la musica e per distrarsi da questo mondo del quale si era stufata anche solo a pensarci.
Ascoltava "Say You Won't Let Go", era una canzone triste che Lisandra ascoltava ogni volta che si dirigeva verso il suo triste lavoro. Guardava tutti i bambini con i loro genitori che le passavano davanti, avevano la voglia di vivere, volevano passare del tempo insieme, avevano la possibilità di farlo. Questo non voleva dire niente per lei, come tutto il resto d'altronde.

Dopo cinque minuti finalmente arrivò al posto dove lavorava. Aprì la porta per poi entrare. Osservava tutta la gente che veniva a diffondere tutti i loro problemi con l'alcool al posto di agire e di trovare delle soluzioni. Ma quali erano i loro più gravi problemi? Avevano tutti l'aria d'esser ricchi, con vestiti cari, di avere tutti una vita perfetta.. qual era la loro preoccupazione?

Lisandra tolse il suo vestito posizionandolo nello spogliatoio. Normalmente doveva avere un' uniforma poco decente ai suoi occhi, riuscì a convincere il padrone a lasciarla lavorare con i suoi abiti molto confortevoli. Uscì dallo spogliatoio e iniziò il lavoro. Voleva finire il più veloce possibile per uscire da quel posto per niente adatto alle ragazze innocenti come lei.

Vide un uomo che non smetteva di fissarla; un'altra cosa che detestava di quel posto, tutti gli uomini la guardavano come se fosse una ragazza poco di buono.

Lisandra detestava vedere il desiderio nei loro occhi, le dava una sensazione di nausea.
Iniziò a fissarlo pure lei, per mostrargli che non aveva paura, cercava di sbarazzarsene.
Lui non abbassava lo sguardo, lui amava questo gioco, lei lo fissava, non aveva paura del fatto che si potesse avvicinare, e non aveva neanche la minima idea di chi potesse essere quell'uomo con gli occhi verdi, quegli occhi completamente vuoti, senza alcuna espressione, senza alcuna emozione, senza alcun sogno.
Tutto come lei.

BLURRED (Traduzione Italiana)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora