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Alle prime luci dell'alba, due figure solitarie procedevano sulle mefitiche e strette stradine della Suburra. Si percepiva un lezzo insopportabile di urina, data la cattiva abitudine degli abitanti delle insulae più alte di gettare dalla finestra i secchi di piscio, anziché portarli al pianoterra affinché gli addetti passassero a ritirarli per portarli alla fullonica più vicina, dove sarebbero serviti per il lavaggio degli abiti.

L'uomo e la donna non avrebbero potuto apparire più minacciosi. Nonostante indossassero i loro abiti "civili", si capiva lontano un miglio che non era quello il loro aspetto abituale. E non solo dalle cicatrici che costellavano i loro volti e le loro membra, esposte sotto la grezza tunica di feltro. Il loro stesso passo aveva un che di militare: calibravano attentamente il peso del corpo dal tallone alla punta, con falcate larghe ma rallentate, come se si preparassero a scattare al minimo segnale di pericolo. Le loro teste restavano immobili, ma i loro occhi guizzavano a controllare ogni ombra che si muovesse nel buio. Le loro orecchie erano tese, le loro mani vibranti, come se fremessero dal desiderio di serrarsi sull'elsa di una spada.

Ce l'avevano, una sica, anche se non avrebbero dovuto. Dendra l'aveva nascosta in un posticino particolare; per Bruto sarebbe stato troppo doloroso imitarla, ma aveva lasciato perdere il suggerimento beffardo dell'amica dicendo che non avrebbe comunque avuto bisogno di un'arma. Aveva le sue mani, e tanto bastava.

Si sarebbe potuto pensare che fossero sicari di ritorno da una missione pericolosa. Ma la loro conversazione allegra avrebbe smentito immediatamente tale ipotesi.

«Non era niente male la tua puttana» commentò Dendra, barcollando leggermente per il troppo vino bevuto quella notte.

Bruto si strinse nelle spalle. «Nulla di eccezionale.»

«Vuoi uomini non riconoscete mai le doti di una donna.»

«Riconosco le tue.»

«Intendo doti sessuali.»

Lui le strizzò l'occhio. «Sono sempre pronto a nuove esperienze, lo sai.»

«Quando ti cresceranno due belle tette sode e due capezzoli tutti da mordere, fammi un fischio.»

Era un loro vecchio scherzo. Bruto fingeva di trovarla attraente, ma Dendra avrebbe spaventato qualsiasi cazzomunito in cui si fosse imbattuta. Aveva l'aspetto di una selvaggia, con quei capelli simili a setole di maiale, il grugno sfondato dai pugni e l'orecchio mancante che le era stato asportato durante un combattimento.

Dendra gli diede un colpo con la mano al petto muscoloso, fermandosi. «A proposito di tette. Quelle non sono niente male.»

Erano arrivati in vista di una coppietta di giovani. Lei era bassina e sensuale, nella sua tunica rosso rubino, i lunghi capelli biondi acconciati sotto un velo, alla moda delle vergini. Lui era alto e allampanato, con una zazzera di ricci da poeta e il viso appuntito.

Le stava facendo una corte spietata. Anche se i due gladiatori – quella era difatti la loro professione – erano troppo lontani per udire le loro parole, potevano ridere dei tentativi del ragazzo di suscitare la curiosità della fanciulla, mentre lei sbadigliava annoiata o gli rivolgeva occhiate infastidite e commenti secchi.

«Povero bambino» commentò Bruto. «Ha ancora le labbra sporche del latte di sua madre e cerca di corteggiare una troietta.»

«Lo facevi anche tu, a tuo tempo.»

«Non ho mai dovuto corteggiare nessuna donna. Mi cadevano tutte ai piedi. E come biasimarle? Le facevo bagnare con una sola palpata.»

«È successo così anche con la tua Aurelia?» lo stuzzicò Dendra, sapendo di toccare un nervo scoperto. «Ma allora perché non sei riuscito a farle firmare le tabulae

La vestale e il gladiatoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora