Racconto epica: Odissea. Odisseo e le sirene

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Un altro racconto epico, questa colta con l'Odissea. Questa volta ho immaginato un finale diverso, come sarebbe andata a finire con Odisseo e le sirene se lui si fosse slegato dall'albero? 

Buona lettura. XD 

Novelty02

Immaginate di stare in un luogo immerso nella natura , con ricca vegetazione, pieno di vivaci colori, con ninfe leggiadre che volteggiano intorno, una musica leggera, pacata che vi avvolge. Atmosfera ineffabile, e siete felici, non desiderate lasciare più questo luogo incantato. Era questo quello che provavo, in ben dissimili circostanze. Era questo quello che sentivo ascoltando la voce di miele delle sirene. Era morbida, vellutata ed estremamente piacevole all'udito. Ed io non volevo sentir altro che la loro melodia... Melodia idilliaca, degna di essere consacrata agli dei. Erano bellissime loro, avvolte nella spuma bianca del mare, con le pinne della coda che sinuosamente si spostavano nell'acqua. Alcuna di loro era invece seduta oziosamente su qualche scoglio, con la coda celeste ben in vista, rimirava l'orizzonte e poi spostava lo sguardo ancora su me e la mia nave. Continuavano a cantare tutte insieme, mi chiamavano, mi reclamavano, bramavano che io le raggiungessi. Volevo farlo, disperatamente, ma ero legato all'albero maestro. Non riuscivo a liberarmi dei legacci che mi tenevano fissato alla base dell'albero. Tentavo di liberarmi, mi dimenavo a tentoni. Ordinai ai miei compagni di slegarmi, urlai loro, arrischiai perfino la mimica facciale per far cenno di scogliere i nodi delle corde. Ogni mio tentativo era valso a nulla. Inutilmente mi dibattei, mentre sentivo la voce delle sirene che mi guidava nelle mie azioni.

<<Vieni da noi, Odisseo glorioso>> cantavano con voce suadente ed ammaliatrice. Ero totalmente perso, mi sembrava come se improvvisamente il canto delle sirene fosse diventata la mia fonte vitale, come se non potessi farne a meno. I miei compagni remavano imperterriti, senza fermarsi, senza riposare neppure un istante, e spedita proseguiva la nave. Ma io non potevo perdere le sirene, io non potevo andarmene da lì. Non ancora e non volevo. Con un ringhio animalesco, ripresi a dibattermi con maggior foga mentre sentii stridere le corde contro la mia carne, pungevano. Serrai la mascella resistendo al dolore, che non era nulla in confronto a ciò che avrei provato se me ne fossi andato da lì. Fu improvviso ma lo percepii chiaramente, lo sentivo contro la mia pelle: il duro ferro della mia spada. Se solo fossi riuscito a prenderlo e a sfregarlo contro quelle maledette corde... Dovevo solo abbassare il braccio e prenderne l'elsa, potevo farcela, ma dovevo adempiere in fretta. Ponderai bene la mia idea, se avesse funzionato, ma non ebbi modo di ragionarci oltre: i miei compagni remavano con ancora più foga.

Il sangue mi salì alla testa mentre una strana forza, che non avrei saputo spiegare, mi percorreva da capo a piedi, una strana frenesia. Tirai leggermente il busto in avanti, cercando di allentare le corde per poi avere almeno un minimo di libero movimento. Fu per grazia degli dei o forse no, ché la mia idea funzionò ed ebbi così modo, dopo aver riappoggiato la schiena al tronco dell'albero, di tirare i bracci all'indietro allentando ancora i legacci e come meditato riuscii a muovere di poco il braccio sinistro per, infine, afferrare in malo modo l'elsa della spada e tirai in su, riuscii a liberarla di poco dal fodero e iniziai a sfregare velocemente contro le corde. Le sirene mi incitavano, mi incoraggiavano, ripresero a chiamarmi quasi con acclamazione. Sentii il chiaro schiocco di una corda tagliata e la vidi cadere a terra, ai miei piedi. Provai un moto di soddisfazione verso me stesso, ma durò ben poco. Ci stavamo muovendo ancora, ancora un po' e avremmo superato gli scogli. Mi affrettai a recidere le altre corde fino a liberarmi. I miei compagni, così presi nella navigazione e con i tappi di cera che io stesso avevo fatto per loro, non si accorsero di me ed io agii indisturbato. Ormai libero da qualsiasi ostacolo impediente, mi diressi immediatamente al parapetto della nave, richiamato dalla voce soave delle incantatrici marine.

<<Odisseo, raggiungici in mare, non andare via...>> sentii mormorare sempre melodicamente da una giovane sirena che, velocemente, aveva raggiunto me al parapetto della nave. Era al di sotto, nuotando nell'acqua cristallina. Era bellissima, come le sue compagne. Di una bellezza innaturale, inumana, bensì sovrumana. Dai bei occhi azzurri come il cielo senza alcuna nuvola, un viso rotondo e pulito, sembrava che l'acqua non l'avesse bagnata, la sua pelle era asciutta senza alcuna imperfezione e alla vista pareva tantomeno morbida e vellutata. Con i riccioli dorati come il grano che cadevano sulle spalle e sul petto, coprendo le vergogne. Con un sorriso che sapeva di gioia futura, che sapeva di promesse, che sapeva di sogno mi incitava a venire da lei. Ed io volevo raggiungerla, avevo aspettato tanto. Non un suono, se non un flebile <<Si>> abbandonò le mie labbra.

<<Odisseo, NO!>> udii l'urlo dei miei compagni, uno di loro tentò perfino di afferrarmi prima che potessi raggiungere le sirene. Ma nessuno doveva mettersi in mezzo tra me e loro, nessuno. Fui fulmineo a lanciarmi in mare, nemmeno uno ebbe il tempo di fermarmi. Mi ritrovai circondato dalle sirene, perfino quelle che, pur cantando, si erano tenute in disparte sugli scogli. Tutte bellissime, tutte attorno a me. Ero completamente ebbro: del loro canto, di loro, del mare, avevo perso tutto ciò che veramente importava.

La sirena riccioli d'oro posò delicatamente le mani intorno al mio viso e mi attirò a sé. In contemporanea altre sirene volteggiavano intorno a noi, costituendo un cerchio. Un'altra posò le mani alle mie spalle spingendomi verso la sua compagna. Vidi un sorriso genuino formarsi sulle labbra rosse della fanciulla, figlia del mare.

<<Resta con noi...>> sussurrò allora la fanciulla bionda come un canto, accostando le labbra minute e carnose al mio orecchio. Inebriato da quell'atmosfera pacata, mi lasciai guidare da lei. La sirena attirò me contro le sue labbra a cui era impossibile resistere, ma non le sfiorai neppure: qualcosa cambiò. La sirena ad un soffio dal mio viso, fece un sorriso, sorriso che divenne un ghigno, un ghigno che divenne un ringhio e infine la sua bocca si aprì mostrando dei denti aguzzi tali da lacerare qualsiasi cosa. Il loro canto smise d'improvviso, lo stesso canto che tanto mi aveva ammaliato e tornai padrone di me stesso. Presi coscienza di ciò che era accaduto, e di ciò che di lì a poco sarebbe accaduto ma non feci in tempo a gridare ai mie compagni aiuto ché la mano palmata della sirena mi bloccò la bocca. Sentii, un istante dopo, una presa ferrea sulle mie gambe sott'acqua e venni trascinato giù, in fondo al mare. Nonostante i tentativi di liberarmi, scalciando ferocemente, non ottenni nulla. Ero stato così stolto, mi ero lasciato ammaliare.

L'acqua mi avvolse in un abbraccio freddo che sapeva di morte, gli orecchi tappati da cui non usciva un misero suono e i miei bracci che annaspavano per raggiungere in fretta la superficie, invano. La mia bocca era serrata, provavo a trattenere più fiato possibile. Le sirene mi trascinavano sempre più giù e la luce del Sole Iperione era solo una meta irraggiungibile. Sentii il mio petto iniziare a bruciare, chiedendo aria, aria che non potevo concedermi. Mi mossi più velocemente che potevo ma non riuscivo a salire neanche di un minimo. Ero finito.

Aprii la bocca perché costretto, in cerca di aria, ultimo istinto che mi condannò alla rovina totale: l'acqua oltrepassò la bocca finendo giù per la gola occupando lo spazio sufficiente per l'aria che non potevo raggiungere. Stavo soffocando, lentamente, o almeno avevo l'impressione che tutto avvenisse piano. I miei movimenti divennero sempre più lenti e allo stesso modo sempre più disperati. Osservai la superficie dell'acqua lontana, mentre i battiti del mio cuore diminuivano col passare del tempo.

Questa volta ero arrivato al punto di non ritorno. Maledissi la mia sete di conoscenza, maledissi la decisione di aver ascoltato il loro canto divino, e mi maledii per non aver messo anch'io quegli stessi tappi di cera che avevo creato per i compagni: li avevo creati io stesso e non ne avevo usufruito. Se solo lo avessi fatto, ora non sarei morto. Soffocato e poi divorato dalle belle incantatrici delle acque. 

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