A hard day's night

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Il mio primo giorno di lavoro era un giovedì. Avrei lavorato tutte le mattine, dalle 10 alle 18, e avevo un giorno libero a settimana. Questo ritmo mi andava molto bene, non avevo molto da fare, quindi mi bastava un solo giorno di riposo. Mi svegliavo non troppo presto, e quando tornavo casa avevo il tempo di rilassarmi o fare la spesa. Dalle 10 alle 11 preparavo i tavoli, solo dopo aver finito il pub apriva e arrivavano i primi clienti. Il posto non era bellissimo, e non era quasi mai del tutto affollato, ma all'ora di pranzo venivano molte persone a mangiare. Ero sola, ma nei momenti più critici il mio capo mi aiutava a prendere le ordinazioni e preparare i piatti. Si chiamava John, era un uomo sulla 50ina, e mi sembrava molto simpatico. Gli piaceva scherzare, ma sapeva anche essere serio. I primi giorni mi rimase sempre accanto, mi insegnò a preparare i piatti, a dosare la schiuma nella birra e molto altro. In poco tempo conobbi la clientela abituale, erano soprattutto uomini poco più grandi di John, che si riunivano nel pub per parlare di calcio e di lavoro. Dopo soli pochi giorni, ero completamente immersa nella routine, e quel ritmo non mi stava troppo stretto. Trascorrevo molto tempo con i miei coinquilini: parlavamo, cucinavo per loro e spesso uscivamo la sera. Lavorare al pub mi piaceva, non era stressante e mi sentivo parte di una famiglia: conoscevo tutti, e dopo poco tempo mi trattavano già come se mi conoscessero da tempo. Avevo dimenticato tutti i problemi che avevo lasciato in Italia, non stavo più male se la mia famiglia non mi scriveva per giorni, ma a volte ero io stessa a scrivergli e a rassicurarli che stavo bene. Sentivo che stavo andando per la strada giusta, che iniziavo a godermi Londra e che nessuno mi avrebbe più potuto fermare. Stavo rinascendo, stavo tornando la ragazza che ero prima di tutti i problemi, la ragazza sempre allegra e serena, che amava divertirti e portare un sorriso nella vita di chi le era accanto.

Questa corsa verso la felicità si fermò dopo circa un mese dall'inizio del lavoro. La ragazza che si occupava del turno serale, dalle 18 all'1 di notte, si era licenziata, e John aveva trovato un'altra ragazza, ma poteva lavorare solo il pomeriggio, per questo mi aveva chiesto di cambiare il turno. Avrei avuto due giorni liberi, e una volta al mese anche il venerdì o il sabato, e inoltre la paga mi sarebbe aumentata e non di poco. Non sapevo cosa fare, ma dopo averci riflettuto sù per un pomeriggio, accettai l'offerta. Avrei passato meno tempo con i miei coinquilini, anzi, non li avrei quasi più visti, ma avrei avuto due giorni completamente liberi, nei quali potevo dedicarmi a me stessa e a stare con loro, inoltre un aumento di paga mi serviva, mi sarebbe piaciuto comprarmi qualcosa e godermi di più la vita a Londra, senza dover convivere con l'ansia di non arrivare a fine mese.

Il primo giorno di lavoro serale, capii perchè la mia collega si era licenziata. Il pub era completamente diverso: non c'erano più i lavoratori della mattina, ma uomini che non facevano altro che bere e urlarsi contro. Bevevano litri di birra e uscivano dal pub completamente ubriachi, non c'era uno che fosse sobrio. Giocavano a carte e scommettevano di tutto, litigavano per le partite di calcio in toni violenti, e a volte si tiravano bottiglie e bicchieri di vetro. Questo non era tutto, c'era di peggio. Molti di questi uomini spesso mi trattavano male, mi insultavano e facevano battute molto pesanti su di me. Qualcuno di loro mi aveva toccato, di sfuggita, poche volte, ma quello era bastato per farmi allertare. Avevo paura che potesse succedere qualcosa di più grave, qualcosa che mi avrebbe segnato per sempre. Ne parlai con John, ma lui mi disse che non poteva fare niente, senza di loro il pub avrebbe chiuso e lui aveva bisogno di quei soldi.

Non sapevo cosa fare. Avevo bisogno di quel lavoro, ma era impossibile rimanere in quelle condizioni. Non potevo reagire, perchè avevo paura che mi avrebbero fatto male. Non potevo rimanere senza lavoro, senza soldi, perchè sarei dovuta tornare in Italia, e tornare senza un soldo e senza aver fatto nulla di buono era l'ultima cosa che volevo. Non potevo nemmeno continuare a lavorare lì, in mezzo a uomini sempre ubriachi che volevano solo approfittarsi di me. Ero combattuta, e non sapevo a chi chiedere aiuto. L'unico a cui avevo chiesto era John, ma non fu d'aiuto. Non volevo chiedere ai miei coinquilini, non mi sembrava giusto lamentarmi della mia situazione per far loro pena. Dovevo rimboccarmi le maniche, ma dopo due mesi, Londra era ancora un grande groviglio, dal quale non sapevo se potessi uscire fuori.

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