Percepisco il sole filtrare dalle persiane della mia camera. Non ho dormito molto, ma per quello che conta ho dormito più del solito. Ho passato intere notti sveglio, a camminare per la stanza, a prendere a pugni i muri e a tirare calci ai mobili.
Sto attraversando l'inferno disarmato, con un peso insopportabile sul corpo che mi stringe i polmoni e mi impedisce di respirare. Per quanto la mia vita possa essere inutile e per quanto non mi meriti di continuare a vivere c'è qualcosa che mi tiene legato al mondo, un filo invisibile che mi spinge a sopravvivere.
C'è stato solo un momento, durante questi giorni infernali, in cui mi sono sentito vivo. In cui per un attimo non ho sentito il senso di colpa attanagliarmi le vene, non ho sentito dolore, non ho avuto la sensazione di mandare tutto a puttane. Mi sono sentito vivo, come non mai.
Poi però è svanito tutto. Sono uscito dal suo corpo come un caduto in guerra, le lacrime che le rigavano il viso mi hanno riportato alla realtà. L'ho usata, ho usato Eva per scordarmi, anche solo per un attimo, di tutta la merda che mi circonda. E la cosa peggiore è che sono stato bene.
Mi faccio forza per riuscire ad alzarmi, sono debole a causa dei lividi e delle botte e di certo non dormire e mangiare poco non aiuta.
Mia zia è tornata ad Oslo, dopo aver recuperato alcune cose da casa, e per ora si è trasferita qui. Ovviamente finché mio padre non torna e ci caccia entrambi.
Oggi non è solo il giorno del funerale di mia madre, è anche il giorno del mio crollo definitivo. Perché già lo so, non mi troveranno in un buono stato appena sarà finito.
Mia zia bussa alla porta, una volta, poi una seconda. Le dico di entrare e lei affaccia appena la testa.
<<Volevo sapere se fossi sveglio, tra poco dobbiamo andare>>
Tira su dal naso, come se avesse appena finito di piangere e poi noto tra le mani un fazzoletto di carta appallottolato. Richiude subito la porta, ma i suoi singhiozzi mi arrivano dritti alle orecchie.
Piangere. Non ho ancora versato una lacrima.
Non ci riesco, non ne sono capace. Mi è impossibile. Non è così che funziona il mio corpo. Mai neanche una lacrima. Eppure sto soffrendo terribilmente, così tanto da non sentire nemmeno più la terra sotto ai miei piedi.
Sto vivendo in questo stato di torpore da giorni ormai, senza capire niente. Non so nemmeno se io mi sia reso conto o meno di ciò che mi circonda. Non metto piede fuori casa da quando sono uscito dall'ospedale e non faccio una doccia da altrettanti giorni. Mi limito a trascinare le mie gambe da una parte all'altra della casa, a scolarmi qualche birra finché non mi accascio da qualche parte e per un po' mi dimentico di tutto.
Poi però mi sveglio ed il dolore è ancora più forte, sembra essersi triplicato e la cosa mi fa andare fuori di testa.
Oggi però è diverso, il dolore non si è solo triplicato, mi ha totalmente invaso, mi sta facendo affogare in un mare scuro e deserto.
Non ho intenzione di farmi una doccia e tanto meno di sistemarmi, prenderò i primi vestiti dall'armadio e uscirò di casa. Tanto cos'ho da perdere?
La porta bussa di nuovo.
<<Mi sto preparando zia, sono sveglio>> mi limito a risponderle.
Preferirei che non entri, ma la porta si apre comunque.
Una testa rossa si infila tra la porta e lo stipite e mi guarda con quegli occhi sempre tristi.
<<Non sono tua zia>> incurva leggermente le labbra e solleva le spalle in un gesto timido.
STAI LEGGENDO
One more fight - Chriseva
FanfictionChris ha diciotto anni, è popolare nella sua scuola e ha tanti amici. Conosce tantissime ragazze che sarebbero disposte a tutto pur di avere un suo bacio. Ma Chris non conosce l'amore. Nessuna di loro ha mai conquistato il suo cuore. Nessuna ha mai...