Capitolo 1

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No, you don't know what it's like
When nothing feels alright
You don't know what it's like to be like me
To be hurt
To feel lost
To be left out in the dark
To be kicked
When you're down
To feel like you've been pushed around
To be on the edge of breaking down
And no one's there to save you
No, you don't know what it's like
Welcome to my life.
                         Simple Plan -Welcome to my life

Un raggio di luce mi colpisce gli occhi, facendomi contrarre il volto in una smorfia infastidita e costringendomi così a svegliarmi. In realtà non ho mai avuto problemi ad alzarmi la mattina, è solo che detesto essere svegliata da quella stupida stella, ma come un'idiota mi sono dimenticata di chiudere le persiane ieri sera. Mi alzo dal letto infastidita, prevedendo già una pessima giornata. Sì, io decido se sarà una bella giornata o meno da come inizia. Il fatto che, oltre al brutto risveglio, abbia rovesciato il caffè, rotto il mio braccialetto preferito, rischiato di rompermi l'osso del collo cadendo dalle scale e finito i miei amati biscotti dopo averne mangiati a stento due intensifica ancora di più questa sensazione. Forse dovrei soltanto tornare di corsa sotto le coperte, ma non posso perdere due ore di matematica. È una materia in cui ho la sufficienza per bontà divina e, se perdessi due intere ore di spiegazione, sono certa che non riuscirei più a recuperare e la prossima settimana abbiamo un compito in classe.

Dopo essermi preparata e aver pensato di fare un paio di riti scaramantici (pensiero scartato immediatamente), esco di casa con lo zaino che sobbalza sulle mie spalle ad ogni passo. Ovviamente vedo l'autobus passarmi davanti con assoluta nonchalance e rinuncio in partenza ad inseguirlo, sapendo già che farei soltanto una corsa inutile. Dannato autista mattiniero, ma non poteva incontrare, che so, un panda che gli bloccasse la strada? La London High non è molto lontana da casa mia, ma farò sicuramente tardi, così me la prendo con comodo.

Una volta davanti al cancello grigio, decido di aspettare l'inizio della seconda ora prima di entrare. Mi appoggio al muretto e incrocio le braccia al petto, concentrandomi sulle parole di Disenchanted dei miei amati My Chemical Romance. Okay, forse è una canzone troppo deprimente per iniziare la giornata, ma cosa posso farci se è la mia preferita e la mia forza di volontà troppo debole per cambiarla?
Chiudo gli occhi al ritornello, sentendo la pelle d'oca scorrermi sulle braccia e sorrido involontariamente.
Ma vi pare che, proprio oggi che la giornata si è preannunciata tanto funesta, possa godermi due minuti di pace? Ovviamente no. Infatti, quando riapro gli occhi mi ritrovo il volto di quel microcefalo di Daniel Morrison e sobbalzo, spaventata.

-Ma sei idiota?-
Sbotto mentre lui se la ride bellamente. Vorrei davvero tanto colpirlo con qualcosa di pesante.
Non mi sorprendo di vederlo fuori dal cancello a quest'ora: i ritardi di Morrison ormai sono assolutamente nella norma.
-No, sono Daniel-
Evito di commentare, che è meglio. Okay, ammetto che, quando ho aperto gli occhi, mi sono presa un istante per ammirare l'azzurro delle sue iridi. Non ho problemi ad ammettere a me stessa che sia un bel ragazzo, insomma, capelli neri come il carbone, un viso d'angelo, fisico muscoloso, ma al punto giusto...non per niente tutta la popolazione femminile e non (in alcuni casi) gli sbava dietro. Ma la sua bellezza comincia e finisce con l'aspetto esteriore. Non appena apre bocca, infatti, dà sfogo a tutto il suo egocentrismo e al suo sarcasmo pungente. Ma naturalmente questo riguarda soltanto me, dato che con chiunque altro è la gentilezza e la simpatia fatta persona. Non ho mai capito da cosa derivasse il suo odio verso di me, ma di certo non mi lascio mettere i piedi in testa.
-Senti, perché non sparisci per un po'?-
Borbotto passandomi una mano tra i capelli. Non ho davvero voglia di litigare di nuovo con lui. La giornata non è nemmeno iniziata e io sono già stanca, che record. Mia nonna Julie è più attiva di me e lei è rinchiusa in una casa di riposo, bombardata di farmaci che la fanno dormire la maggior parte del tempo.
Il ghigno beffardo che affiora sulle labbra di Daniel non promette nulla di buono, però.
-Brutta giornata, Reynolds?-
Mi chiede e io annuisco, sospettosa. Mai aspettarsi qualcosa di buono se Daniel Morrison si mostra gentile con te.
Intanto la campanella è suonata, così entro in quella sottospecie di carcere strascicando i piedi.
-Allora cercherò di starti il più vicino possibile oggi, in modo da portare un po' di sole in questa tua grigia giornata-
Esclama teatralmente. Lo fulmino con lo sguardo e scuoto la testa.
-No, grazie. Probabilmente faresti arrivare solo un tornado o qualcosa del genere-
Il tono è più acido di quanto voglia, ma lui non sembra prendersela molto dato che scoppia a ridere.

Entriamo nell'aula di matematica continuando a punzecchiarci con frecciatine stupide. Mi aspetto che vada a sedersi accanto ad una delle solite barbie presenti in aula, invece prende posto accanto a me. Non è la prima volta, ogni tanto capita che si sieda vicino al mio banco solo per torturarmi. Di solito capita nei giorni in cui sono più scazzata.
Prendo un profondo respiro e mi impongo di ignorarlo. Insomma, ho diciotto anni, sono una ragazza matura ormai.
Inutile dire che questo onorevole proposito dura circa cinque minuti. È comunque un record.

Daniel mi sta punzecchiando il braccio con la matita e non riesco a resistere. Gli prendo la matita e la spezzo sotto i suoi occhi, gettandone poi via le due parti. Lui mi guarda fingendosi offeso e sconvolto, gli occhi azzurri sgranati.
La sua espressione è così buffa che, lo ammetto, ho fatto non poca fatica a restare seria.
Torno a concentrarmi sulla lezione, prendendo appunti e tentando riuscire a capirci qualcosa di tutti quei numeri e lettere scritte alla lavagna. Ma che diamine! Perché devono esserci anche le lettere? Siamo a lezione di letteratura, per caso?

D'un tratto, mi arriva un bigliettino sul banco e so di chi è prima ancora di aprirlo.
"Sembri un criceto quando ti concentri"
Alzo gli occhi al cielo ed evito di rispondere, spostando il foglio di lato. Tempo due minuti e me ne arriva un altro.
"Sai, potresti fare qualcosa di più interessante che far finta di capire qualcosa"
So che non la smetterà finché non gli risponderò, così scrivo sotto al suo messaggio velocemente.
"Del tipo?"
Gli ripasso il foglio e lui non perde tempo a scrivere.
"Beh, potresti andare a scavare nelle caverne insieme a Giles"
Mi volto confusa verso il mio compagno di classe e lo trovo intento a scaccolarsi. Inutile dire che devo trattenere il fiato per non dargli la soddisfazione di vedermi ridere, così mostrai solo la mia faccia disgustata.
Immagino che ora starà buono per un po'. Ovviamente no.
"Sai, potresti anche ridere ogni tanto. Non ti mangio mica"
Ecco cosa recitava l'ennesimo bigliettino.
"Non riuscirai mai a farmi ridere, Morrison"
È la mia lapidaria risposta. Quello che scrive lui, però, mi lascia perplessa.
"Scommettiamo?"
Mi mordo il labbro inferiore, come faccio sempre quando sono indecisa. Se c'è qualcosa a cui non so resistere sono le scommesse. Per quanto possano essere stupide e insensate, non riesco a fare a meno di accettare e mettermi in gioco.
"Cosa scommettiamo?"
"Se vinco io, sarai la mia schiavetta fino alla fine dell'anno scolastico. Ti trasferirai da me, ovviamente. Il lavoro sarà a tempo pieno. Se invece vinci tu, non ti parlerò né farò qualsiasi altra cosa, farò finta che tu non esista. Ci stai?"
Okay, da un lato c'era la possibilità che potessi perdere e dare inizio al mio peggior incubo, ma dall'altra non mi sarebbe mai più capitata un'occasione del genere: liberarmi di Daniel era il mio sogno nel cassetto dal primo anno di liceo. Se poi ci aggiungiamo la mia passione per le scommesse...
"Ci sto"
Il bigliettino con la mia risposta atterra sul suo banco e faccio in tempo a vedere i suoi occhi brillare e le sue labbra stendersi in un sorrisetto soddisfatto.
Non so perché, ma ho la sensazione di aver appena firmato la mia condanna a morte da sola e vorrei ritirare tutto, ma il mio orgoglio non me lo permette.

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